Incontrai Monelle mentre vagavo nella pianura, e lei mi prese per mano. Non aver timore, disse, sono io e non sono io; ci ritroveremo di nuovo e ci perderemo; e un’altra volta ancora verrò in mezzo a voi. Pochi infatti mi hanno vista e nessuno mi ha capita. E tu ti dimenticherai di me e poi mi riconoscerai e ancora mi dimenticherai. E Monelle disse ancora: ti voglio parlare delle piccole prostitute e tu conoscerai il principio delle cose. (Marcel Schwob, il libro di Monelle).
Secondo la scarna pagina che gli dedica la Wikipedia italiana, Marcel Schwob fu uno "scrittore di stile innovativo" il cui nome "è ricordato fra i grandi della letteratura francese come Stéphane Mallarmé, Octave Mirbeau e André Gide". Può essere che il redattore di quella pagina abbia ritenuto conveniente sintetizzare la questione con parole abbastanza ovvie (nel senso che sono parole che potrebbero ben adattarsi a qualsiasi scrittore francese), ma la realtà è che Marcel Schwob oggi non è affatto ricordato al pari di tali autori; anzi, direi piuttosto che, perlomeno al di fuori del suo paese, non è ricordato affatto. E ciò nonostante sia ormai assodato che due grandi autori della letteratura moderna abbiano preso molto più di una semplice ispirazione da un paio di libri di Schwob: in "Mentre morivo" (1930) di William Faulkner e in "Storia universale dell'infamia" (1935) di Jorge Luis Borges è facile ritrovare i temi affrontato rispettivamente ne "La crociata dei bambini" (1896) e in "Vite immaginarie (1896)". Non solo: anche "Il libro di Monelle" (1894), argomento del post di oggi, sarebbe stato ampiamente saccheggiato da André Gide per "I nutrimenti terrestri" (1897), episodio che fece particolarmente infuriare il nostro eroe.
Marcel Schwob fu certamente un grande scrittore, ma fu condannato a rimanere nella grande schiera degli autori minori da una serie di sfortunate circostanze. La prima di queste, probabilmente, era che Schwob non si sapeva vendere bene come i suoi più illustri colleghi, la seconda è legata alla genesi stessa de "Il libro di Monelle" che, a detta dei suoi contemporanei, narrerebbe di una reale, quanto scandalosa, vicenda amorosa tra l'autore e una prostituta tredicenne. La protagonista dell'opera non è infatti null'altro che una prostituta e Schwob la descrive appunto come una bambina di 13 anni, ma la realtà è che l’alter ego di Monelle era una ventitreenne e perciò una donna pressoché coetanea dello scrittore francese.
Bonaparte lo squartatore, appena diciottenne, conobbe sotto le porte di ferro di Palais-Royal una piccola prostituta. Era pallida in viso e tremava dal freddo. “Bisogna pur vivere” gli disse lei. Né tu né io conosciamo il nome di questa ragazza che Bonaparte si portò in camera una sera di novembre, in un albergo di Cherbourg. Veniva da Nantes, città di Bretagna. Stanca e debole, era stata da poco piantata dal suo amante. Era semplice e buona e aveva una voce dal suono dolcissimo. Bonaparte serbò il ricordo di tutto questo. E io penso proprio che, più tardi, il ricordo della voce di lei l’abbia commosso fino alle lacrime; e penso anche che l’abbia cercata a lungo, d’inverno, la sera, e che non l’abbia mai più rivista.
Quando aveva venticinque anni, Marcel Schwob incontrò infatti (ed entrò in intimità con) una giovane e fragile prostituta di nome Louise che ebbe una profonda influenza sulla sua vita e sul suo lavoro. Allo stesso tempo santa e ninfetta, la giovane Louise si innamorò dello scrittore di un amore tenero quanto possessivo. I due si incontrarono tutti i giorni per mesi finché lei morì – tra le braccia di Schwob, a quanto pare – di una tubercolosi mai curata il 7 dicembre 1983, all'età di 25 anni.
Il "Libro di Monelle", testo che suo malgrado ha dominato i pochi resoconti della sua vita, potrebbe quindi essere definito un omaggio all'amata, o in parte omaggio e in parte elogio, in parte celebrazione e in parte consolazione. Non è semplicemente la storia di una giovanissima puttana, bensì quella di una sorta di profeta biblico che a sua volta narra le gesta di altre giovanissime puttane intrappolate tra il mondo fuorviante della fantasia infantile e il mondo amaro della realtà, come nel caso della ragazza senza nome che avvicinò Bonaparte, o come quella di Anna, che soccorse Thomas De Quincey.
Anna si precipitò in aiuto di Tommaso De Quincey, il mangiatore d’oppio, che stava sul punto di svenire sotto i grossi lampioni accesi della strada larga di Oxford. Gli occhi bagnati di lacrime, essa gli accostò alle labbra un buon bicchiere di vino dolce, e stette lì’ a baciarlo, a coccolarlo. Poi si dileguò nel buio. Probabilmente morì poco dopo. Aveva la tosse l’ultima sera che la vidi, disse De Quincey. Chissà, forse è rimasta in giro per le strade; eppure, per quanto egli l’abbia cercata con tutta la sua passione, affrontando e sfidando lo scherno della gente a cui si rivolgeva, Anna fu perduta per sempre. Quando, più tardi, ebbe una casa confortevole, spesso, con le lacrime agli occhi, egli pensava che la povera Anna avrebbe potuto vivere lì, insieme a lui; mentre invece se la immaginava ammalata o moribonda o afflitta, in mezzo al sudiciume senza scampo d’un bordello di Londra, e lei, proprio lei aveva portato via con sé tutto l’amore, tutta la pietà del suo cuore.
Quando Marcel Schwob lo pubblicò nel 1894, "Il Libro di Monelle divenne immediatamente la Bibbia non ufficiale del movimento simbolista francese, ammirata da contemporanei come Stephane Mallarmé, Alfred Jarry e André Gide. È un libro assolutamente straziante, bellissimo nel tormento e nella sofferenza che si manifestano attraverso le sue parole. Un intreccio accurato di leggende, aforismi, fiabe e filosofia nichilista. Non potevano ovviamente mancare accenni a Sonja e a Nelly (Elena), due delle più celebri giovani prostitute descritte in letteratura: la prima, il cui destino si legò indissolubilmente a quello di uno studente squattrinato macchiatosi della colpa di aver ucciso un’usuraia, appare in "Delitto e Castigo"; la seconda, che, in "Umiliati e Offesi", viene presa in carico da una maitresse sotto la veste di un aiuto umanitario, ma che di fatto la vuole offrire a clienti pedofili.
La piccola Nelly era uscita dalla sua casa infame per andare incontro al galeotto Dostoevskij; e, devastata dalla febbre, l’aveva guardato a lungo con i suoi immensi occhi neri e pieni di paure. La piccola Sonja (è esistita anche lei come le altre) aveva baciato l’assassino Rodiòn subito dopo la confessione del delitto. “Ti sei rovinato!”, gli disse con accenti disperati. E balzando di colpo in piedi, gli si era gettata al collo; e mentre lo baciava, gridava in uno slancio colmo di pietà: “ No! Ormai al mondo non c’è nessuno più disgraziato di te!” Poi a un tratto era scoppiata in un pianto dirotto. La piccola Nelly, al pari di Anna e della ragazza senza nome che venne incontro al giovane e messo Bonaparte, scomparve anch’essa, inghiottita dalla nebbia. Dostoevskij non disse mai cosa ne fu della piccola Sonja, così pallida, così smunta. Né tu né io sappiamo se essa seppe fino in fondo aiutare Raskòl'nikov durante la sua espiazione. Penso proprio di no. Se ne sarà andata via piano piano, per aver sofferto troppo, amato troppo, stringendosi nelle proprie braccia.
Il libro è strutturato come una sorta di trittico. La prima parte, scritta in uno stile che evoca Friedrich Nietzsche, si chiama "Le parole di Monelle", e inizia con la piccola prostituta che incontra il narratore mentre quest'ultimo vaga nella pianura. È facile immaginare il narratore (si pensi allo stesso Schwob), smarrito e turbato, che vaga nel dolore della perdita dell'amata. Una volta che arriviamo a "Le sorelle di Monelle" il tono cambia. È strutturato in un certo numero di racconti scritti in forma di fiabe/parabole, parti dei quali sono estratti da racconti già esistenti. Le fanciulle al centro di ogni frammento sembrano tristi e rassegnate, ma allo stesso tempo desiderose di fuggire da una realtà che sta loro stretta. La terza parte, intitolata semplicemente "Monelle", è quella più personale e piena di dolore: il narratore ritrova Monelle dopo averla persa solo per sentirsi dire che non può stare con lei. Venire a patti con la perdita evidentemente per Schwob non è stato possibile, ma riletto oggi, cent'anni più tardi, appare chiaro come Schwob sia riuscito a mantenere in vita la sua Louise, rendendola immortale attraverso Monelle.
Nelly nell'orribile casa, Sonja accasciata ubriaca su una panchina del viale, Anna mentre riporta dal negoziante di una viuzza buia il bicchiere di vino, possono essere state oscene e crudeli. Sono creature di carne. Ma vedi, per fare dono, sotto il lampione acceso della strada maestra, di un bacio pietoso, esse vengono fuori da un vicolo cieco e buio. In quel momento lì erano divine.
Il tema dell'amante-prostituta è presente spesso nella letteratura francese.
RispondiEliminaQuello che più mi ha colpito è stato "La donna e il fantoccio" di Pierre Louys (anche se ha una fittizia ambientazione spagnola) dove la donna è realmente un personaggio inquietante, altro che tenera e affettuosa.
C'era un tempo in cui andare a putt@n€ era abitudine consolidata per molti, non solo per gli scrittori francesi. Non solo lo si faceva, ma si aveva l'approvazione di tutti. Oggi per fortuna non è più una cosa di cui vantarsi, ma di contro probabilmente la letteratura ne ha risentito...
EliminaInteressante questa tua recensione, non conosco questo autore, al contrario degli altri a cui viene accostato nella superficiale pagina di Wiki che hai citato. Il tema è indubbiamente intrigante, ed è facile sorvolare sulla superficie potenzialmente difficile da accettare della storia che si basasu un rapporto con una prostituta (forse perché quantomeno non minorenne, come hai specificato).
RispondiEliminaIl tema è particolare e probabilmente all'epoca ha contribuito a relegarlo in panchina. Oggi fortunatamente facciamo attenzione ad altre cose.
EliminaQuesto post mi ha interessato. Ho comprato il libro... poi trovare il tempo per leggerlo sarà un altro discorso, purtroppo
RispondiEliminaOk, spero ti piacerà, altrimenti mi sentirò in colpa... ^_^
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