lunedì 23 ottobre 2023

Enjoy the silence

L’opera di cui andremo a parlare oggi, il cui titolo strizza l’occhio ad una vecchia canzone synth pop, non è un romanzo, e forse nemmeno un racconto. Sono una cinquantina di pagine mal contate che potremmo intendere come una raccolta di appunti sparsi o forse, ancor meglio, come un piccolo tutorial, una specie di “manuale di istruzioni per principianti della vita”. Nulla di universale come ciò che fece
Georges Perec, che proprio su un manuale di istruzioni costruì la sua notorietà, ma un “manuale”, quello di Marta Dieffe, destinato prevalentemente a un target di giovanissimi, e non necessariamente femminile.
Cosa c’entro quindi io, vi starete chiedendo, che l’adolescenza l’ho vissuta in un secolo ormai terminato? Beh, diciamo che quella di tentare un articolo è una specie di sfida con me stesso. Una sfida nella quale un membro della cosiddetta Generazione X (uno tra i primi, tra l’altro, a potersi fregiare di questo, sempre più scomodo, titolo) cerca di rintracciare delle similitudini tra la sua esperienza personale e quella di chi è venuto al mondo giusto quella manciata di decenni più tardi. Avrei forse fatto prima a osservare i miei nipoti, con tutte le loro insicurezze e le loro piccole manie, ma certamente, mi sono detto, non avrei potuto aprire certe porte che, di regola, a uno zio sono giustamente precluse (non che ve ne fosse bisogno, visto che probabilmente sono le stesse porte che io stesso mi indaffaravo a tener sigillate). 
Un testo scritto, tuttavia, specie se posto sotto forma di autoanalisi, e realizzato da una completa sconosciuta, qualche sguardo oltre la soglia potrebbe consentirmelo, e così eccomi qua. Com’è andata? Non benissimo, visto che le mie idee sono ancora piuttosto confuse, ma bene, per i motivi che vi spiegherò alla fine. Per il momento posso solo dirvi che “Enjoy the Silence” è stato in grado di confermarmi che non sono le generazioni ad essere diverse le une dalle altre, e questo in parte mi era già chiaro, ma sono solo le scenografie entro le quali esse si muovono a cambiare vorticosamente. 

Una sera di ottobre mi accingo quindi ad aprire il mio reader e a immergermi in “Enjoy the Silence” guidato da un impulso di curiosità mista a sospetto. Il testo è presentato sotto forma di diario, un diario che Penny, la protagonista, inizia a scrivere alla vigilia della scuola media e porta avanti tra mille incertezze per una ventina d’anni. La tecnica a scansione temporale diaristica non è affatto nuova in letteratura e, anzi, alcune tra le opere più importanti dell’ultimo secolo sono divenute tali proprio per l’aver utilizzato tale tecnica. Mi riferisco, giusto per portare qualche esempio noto, ad Anna Frank o a Primo Levi, ma non vanno dimenticati i diari di Cesare Pavese, Thomas Mann, Franza Kafka, Robert Musil, Sibilla Aleramo, Virginia Woolf, Anaïs Nin e chissà quanti altri che al momento mi sfuggono. I diari di Marta, o meglio quelli della sua alter-ego letteraria, sono ovviamente lontani anni luce, ma non siamo qui per una gara, per cui li prendiamo per quello che sono e ce li ficchiamo in tasca nel bene e nel male. 

La scelta della forma diaristica, tuttavia, mi sorprende: ritenevo che il concetto stesso di diario fosse ormai ampiamente superato a favore di altri mezzi nei quali riporre i propri pensieri. Già negli ultimi decenni del secolo scorso, ricordo, il diario era qualcosa di mitologico che nessun adolescente avrebbe mai osato rispolverare (se non in totale segretezza, pena la completa riprovazione sociale). Mi trovo quindi del tutto spiazzato nell’accingermi a leggerne uno scritto oggi, e dall’impasse non vengo fuori se non convincendomi che altro non sia che una soluzione artistica come un’altra. 
La scrittura dell’autrice del diario appare subito incerta e telegrafica. I primi anni vengono liquidati via in fretta, in poche righe, al punto che ci si chiede perché si parta da così lontano. Ciò che segue non è da meno: la protagonista inizia l’anno scolastico, incontra qualcuno, si prende, si molla e l’anno scolastico finisce senza nessun dettaglio su quello che c’è stato in mezzo. Eppure qualche spunto interessante c’è, come la differenza d’età in amore o il classico tradimento da parte dell’amica del cuore (ah, come poco sono cambiate certe dinamiche!). Ammetto di essere stato più volte tentato d’interrompere la sterile (almeno in apparenza) lettura, ma qualcosa mi diceva che dovevo continuare e così ho fatto. La domanda che mi stavo ponendo, per inciso, è se “Enjoy the Silence” fosse solo una bella copertina con il nulla dentro o se fossi magari io ad essere “sbagliato”. 

Continuo quindi a leggere. La protagonista accenna rapidamente a quello che sembra essere un tentativo di stupro andato storto e da quel momento inizia la sua discesa negli inferi dell’anoressia, dell’alcolismo e del (tentato) suicidio, ma io lettore ancora non riesco né a provare alcun trasporto, né a immedesimarmi in lei, come feci per esempio ai tempi di Christiane F., altra celebre creatura borderline anni Settanta. 
Penny, la protagonista di “Enjoy the Silence”, non si sforza affatto di rendere piacevole la lettura del suo diario, anche perché, correttamente, il diario non è destinato a quello scopo. Anzi, ripete pedissequamente formule strabusate come “imbottirsi di farmaci” (ne ho contate almeno una decina), segnale evidente di un vocabolario, quello di Penny, piuttosto limitato. Attenzione però a non confondere lo stile di quest’ultima con quello dell’autrice, ed è proprio su questo sottile e pericolosissimo filo di rasoio che si muove Marta Dieffe. Eh già, perché come accennato in precedenza, la lettura di “Enjoy the Silence” ha rischiato più volte di venire abbandonata proprio a causa di quel lessico così essenziale, e a tratti irritante, che da me, come immagino da molti altri, è stato ritenuto in prima battuta appartenere a chi le parole le ha messe in bocca alla protagonista. E nemmeno ci sarebbe da stupirsi, considerata la mole di immondizia che sommerge il variegato mondo delle autopubblicazioni, ma ecco invece che arriva il delizioso twist che mi fa ricredere, e arriva, badate bene, oltre la parola fine. 

È nel momento delle postfazioni, o dei ringraziamenti finali, che Marta Dieffe cala la maschera e inizia a parlare con la sua voce, con la proprietà di linguaggio che ovviamente ci si aspetta da lei, con l’irruenza di una figlia dei suoi anni, con la lucidità di chi si rivolge a un pubblico complesso ed eterogeneo, e con il coraggio di una ragazza che ha indiscutibilmente scelto la strada più impervia per entrare nel burrascoso mondo dell’editoria. Prima di chiudere proviamo però a rispondere all’annosa questione che mi ero posto all’inizio: può “Enjoy the Silence” essere definito un ritratto delle nuove generazioni, a uso e consumo dei vecchietti che vogliono provare a capirci qualcosa? 
La risposta è ovviamente no. Ed è no per almeno un paio di buoni motivi: il primo è che, come detto, non c’è alcuna differenza apprezzabile tra la mia generazione e quest’ultima. Entrambe apparteniamo a un’epoca, quella emersa dai fermenti del Sessantotto, in cui in cui i giovani hanno assunto una nuova autorità all’interno della comunità, una comunità dove le dinamiche di apprendimento sono bidirezionali (gli adulti danno e ricevono allo stesso tempo) e non più, con la sola eccezione di piccole comunità a carattere religioso e ideologico, dipendenti da quegli eterni e immutabili schemi del passato. La seconda ragione è che, come lo fu Christiane F. o l’anonima protagonista di “Alice, i giorni della droga”, anche Penny non è rappresentativa di una generazione. Penny è una persona debole, esattamente come lo furono le sue “antenate” letterarie (solo si affida a sballi diversi), ma non può che essere un’eccezione alla regola.
 
Marta Dieffe, nome d’arte di Martina Di Franco, di origini calabresi ma romagnola di adozione, ha 35 anni e coltiva la scrittura sin dagli anni della scuola, nel corso dei quali già aderiva con entusiasmo ai più svariati concorsi letterari. “Enjoy the Silence” nasce su Facebook una decina di anni fa, sotto forma di piccoli ma calibrati “assaggi”, e diventa solo oggi qualcosa di veramente concreto (lo trovate, come spesso accade, su Amazon. Se volete seguire Martina la trovate invece, un po’ come il prezzemolo, dappertutto sul web (partendo da qui).

2 commenti:

  1. Le nuove generazioni, per quanto vedo da padre e zio, sono per certi aspetti paragonabili agli hippie, ma con molta tecnologia in più, nessuna voglia di rinunciare alle piccole comodità consumistiche che pur criticano, e un'ingenuità che la metà sarebbe già troppa...
    Non penso che daranno un gran contributo al futuro del nostro paese...

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    Risposte
    1. E' quello che temo anch'io e ciò è abbastanza evidente guardandosi attorno. Non voglio comunque dare loro la colpa. E' la società stessa, per come si è ridotta, ad averli incanalati sull'unica strada possibile, quella che tutto va bene purché si lo si faccia a cervello spento e ci si assicuri di uniformarsi alla massa lasciando fuori qualsiasi pensiero critico. Non è la tecnologia in se, o gli strumenti social dove tutti danno il peggio che possono, ma è il nuovo modello di occidente, quello che abbiamo creato noi "grandi", un modello che gli ficcano in testa fin dai primi anni di scuola, e che presto o tardi capitolerà, e allora saranno ca##i per tutti.

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