lunedì 27 novembre 2023

Il mistero della stanza 1046 (Pt.1)

È un fatto singolare, ma forse non più di tanto, che un numero spropositato di omicidi, il più delle volte irrisolti, siano andati in scena tra le mura impersonali di una camera d’albergo. Credo di non essere completamente fuori strada se dico che è l’ambiente stesso dell’hotel, così freddo, anonimo, distaccato, a essere ispiratore dei crimini più efferati. Il suo essere uno spettatore imparziale, testimone silenzioso di piccoli frammenti di esistenza che durano lo spazio di una notte e poi finiscono, per lasciare il posto ad altri frammenti, diversi ma uguali nella sostanza, lo rende uno scenario perfetto per irrompere nelle vite delle persone e farle a brandelli, spesso anche in maniera non figurata. 
Basti pensare al famigerato Cecil Hotel di Los Angeles, che nell’arco di un secolo ha ospitato un paio di serial killer e ha assistito a oltre quindici fra omicidi, suicidi e strani incidenti che hanno finito per appassionare migliaia di detective da tastiera e ispirare serie tivù come “American Horror Story” e, più recentemente, la docu-serie Netflix “Sulla scena del delitto”, incentrata sul caso di Elisa Lam
Abbiamo ampiamente parlato di quest’ultimo caso (che, per inciso, non è nemmeno il più recente avvenuto tra le mura del Cecil) anni fa qui sul blog, così come abbiamo altrettanto ampiamente parlato della strana, e per certi versi analoga, morte di Kenneka Jenkins, avvenuta tra le pareti del Crowne Plaza O'Hare di Chicago. I casi appena citati sono indiscutibilmente tra i più terrificanti e per certi versi attraenti di questo inizio di secolo, e, come sono sicuro di aver già detto in passato, sono stati i casi, assieme a quello di Midlothian, in cui il coinvolgimento emotivo del sottoscritto, mentre giravo tutte le carte e ne scrivevo per il blog, è stato assoluto. 
Oggi provo a gettarmi a pesce su un altro misterioso delitto ad ambientazione alberghiera. Siamo sempre negli Stati Uniti (ovviamente, mi verrebbe da aggiungere), ma ci allontaniamo decisamente dalla costa per tuffarci nelle atmosfere più rarefatte del Midwest, e più precisamente presso l’Hotel President di Kansas City, Missouri. Ma c’è un’altra non trascurabile differenza tra questo caso e quelli di Chicago e Los Angeles narrati in precedenza: qui non abbiamo videocamere di sorveglianza installate e pertanto nulla che ci possa portare una testimonianza di prima mano di quanto è realmente accaduto. Non che sia servito a molto poter disporre di riprese video, nei casi Lam e Jenkins, ma sicuramente gran parte del loro essere “intriganti” deriva proprio da quel particolare. 

Un'immagine del "Massacro di Kansas City" del 17/6/1933 nei pressi del deposito ferroviario di Union Station  
A Kansas City non ci sono invece telecamere e il motivo è molto semplice: siamo negli anni Trenta del ventesimo secolo. La città, all’epoca, non era molto diversa dalla Kansas City odierna, per lo meno in termini demografici (già allora contava 400.000 abitanti), ma era sicuramente molto diversa la vita che conducevano i suoi cittadini. Kansas City, come d’altra parte tutta la contea di Jackson, era alla mercé di Thomas Joseph Pendergast, un imprenditore locale di estrazione democratica che utilizzava la sua influenza per garantirsi lauti guadagni attraverso ogni sorta di possibile attività illegale, dal gioco d’azzardo al commercio di alcolici. Erano gli anni successivi alla ratifica del XVIII emendamento, che stabiliva il divieto di fabbricazione, vendita e consumo di alcolici in tutto il paese. Il cosiddetto proibizionismo, nome con cui è meglio nota la modifica costituzionale voluta dal deputato Andrew Volstead, aveva visto la crescita di grandi imperi mafiosi per i quali l’atto, destinato a moralizzare la società americana, fu un'inaspettata occasione di guadagno. 
Mentre tra New York e Chicago il sistema era controllato da gangster di assoluta fama, sui quali anche il mezzo cinematografico si sarebbe in seguito spesso soffermato, nella “piccola” Kansas City Thomas Pendergast faceva il suo senza il fastidioso fardello dell’attenzione mediatica nazionale. 

Harry S. Truman, a sinistra, con Thomas J.
Pendergast alla Convention Democratica del 1936
Grazie a vari intrallazzi e alla corruzione dell’intero corpo di polizia, Pendergast riusciva a gestire i suoi affari alla completa luce del sole, a collocare, attraverso elezioni pilotate, molti dei suoi amici (tra cui Harry Truman, che dieci anni più tardi sarebbe diventato il 33° Presidente degli Stati Uniti) ai vertici delle istituzioni, e tramite questi a esercitare una forte influenza sul governo dello stato e, per estensione, dell’intero paese. In cambio di tali favori, le aziende di sua proprietà potevano ottenere importanti contratti governativi, da cui derivava nuova ricchezza e nuovo potere, in un circolo senza fine. 
In uno scenario del genere, risse e sparatorie fra le vie della città erano ovviamente all’ordine del giorno, ed è indiscutibilmente in questo contesto che andrebbero letti gli avvenimenti di cui andremo fra poco a parlare. Siamo però già nel gennaio del 1935 e l’era del proibizionismo si è conclusa tredici mesi prima con l’abrogazione del famigerato emendamento. 
Se da un lato migliaia di gangster videro andare in fumo, da un giorno all'altro, un business da milioni di dollari, dall’altro lato milioni di americani poterono finalmente acquistare alcolici liberalizzati e regolarmente tassati. Ma, è cosa nota, in provincia i cambiamenti ci mettono un po’ di più ad arrivare e all’inizio del ’35 Kansas City era ancora un paradiso di dissolutezza, un luogo dove i club rimanevano aperti fino all'alba e il vizio dilagava sovrano sotto l’occhio attento e imperturbabile del suo padrino. 
Kansas City era, in altre parole, il tipo di luogo che avrebbe attirato un ragazzo di vent’anni, un ragazzo che nel primo pomeriggio di mercoledì 2 gennaio 1935 si registra come Roland T. Owen alla reception dell’Hotel President, proprio nel cuore del Power & Light District, un quartiere che ancora oggi rappresenta il polo della movida cittadina. 

...nel primo pomeriggio di mercoledì 2 gennaio 1935 un ragazzo si registra come Roland T. Owen...
Ma facciamo un piccolo salto in avanti. Sono le 7 di mattina del 4 gennaio. Della Ferguson, la centralinista del President, si accinge a chiamare la stanza 1046, in quanto l’ospite la sera prima aveva richiesto la sveglia a tale ora. Vedendo il telefono della camera sganciato, la Ferguson incarica un fattorino di nome Randolph Propst di recarsi al decimo piano e bussare alla porta. Sulla porta della stanza un cartello "Non disturbare" è appeso alla maniglia. Il fattorino decide comunque di bussare e, qualche minuto più tardi, una voce dall'interno lo invita ad entrare; tuttavia, ciò non si rivela possibile, poiché la porta è chiusa a chiave. La stessa voce gli dice, dopo pochi istanti, di accendere le luci, evidentemente ignorando il fatto che il fattorino fosse ancora nel corridoio. Alla fine, Propst decide che l’ospite della 1046 sta smaltendo una sbronza e si allontana, non senza prima consigliargli, attraverso la porta, di riagganciare il telefono. 
Alle 8:30 il telefono è però ancora sganciato. Un altro fattorino, Harold Pike, viene mandato al decimo piano con un passepartout per verificare se l’ospite abbia, per caso, bisogno di aiuto. La porta è sempre chiusa e il cartello "Non disturbare" è ancora al suo posto. Pike, dopo aver bussato inutilmente, seguendo le istruzioni ricevute apre la porta ed entra. La stanza è completamente al buio. La luce del corridoio illumina solo una piccola porzione della stanza, ma quanto basta affinché Pike possa notare un uomo sdraiato nudo sul letto e delle strane macchie scure sulle lenzuola. Invece di accendere la luce, Pike si avvicina al mobiletto del telefono e nota che quest’ultimo è caduto a terra. Lo risistema rapidamente al suo posto e altrettanto rapidamente si allontana chiudendosi la porta alle spalle, senza guardarsi in giro, senza farsi troppe domande e senza riferire alcuna stranezza in reception. 
Alle 10:30 il telefono è ancora sganciato. Randolph Propst, il primo dei due fattorini, viene inviato nuovamente alla 1046, questa volta con un passepartout. Tutto sembra identico a prima, ma questa volta Propst può entrare e, bontà sua, decide di accendere la luce e getta uno sguardo all’interno. La scena è raccapricciante. 

Una planimetria dell'epoca della camera 1046
C'è sangue ovunque, sul letto, sul pavimento, sulle pareti, persino sul soffitto. Anche il bagno adiacente all’ingresso è completamente impregnato di liquido ematico. L’ospite della 1046 è proprio lì, a mezzo metro da Propst, a terra carponi, completamente nudo, vivo ma con un'orribile ferita alla testa. Il fattorino per un attimo rimane stordito da quella scena drammatica, poi arretra, si volta e si precipita giù per le scale alla ricerca di aiuto, non senza prima chiudersi prudentemente la porta alle spalle. Pochi istanti dopo Propst è di nuovo di fronte alla porta della 1046, con il vicedirettore dell’albergo giunto in suo soccorso. La porta questa volta si apre con difficoltà poiché l’ospite, nel frattempo, è crollato a terra e sta ostruendo il passaggio. Riescono comunque a entrare e a soccorrere il malcapitato, che non solo è ancora vivo, ma addirittura cosciente. I due notano che l’uomo ha polsi e caviglie legati da una corda da bucato: lo aiutano a sedersi sul bordo della vasca da bagno, mentre il detective Otto Higgins, del dipartimento di polizia di Kansas City, e il dottor Harold Flanders, del Kansas City General Hospital, vengono allertati. 

Roland T. Owen è gravemente ferito, ricoperto di sangue ma lucido. Quando il dottor Flanders arriva, nota anche degli strani segni attorno al collo, chiaro indizio di un tentativo di strangolamento andato a vuoto. Sono evidenti anche numerose ferite da arma da taglio al petto, alcune solo pochi centimetri sopra il cuore. Una di queste ferite, si saprà più tardi, gli ha perforato un polmone. Le ferite più gravi restano comunque quelle alla testa, tre diverse fratture al cranio provocate evidentemente da un oggetto contundente. Il dottor Flanders, accingendosi a liberare i polsi di Owen, gli chiede “Chi ti ha fatto questo?”. “Nessuno”, risponde Owen con un filo di voce. Alla domanda, poi, sui motivi di tutto quel casino, Owen risponde di essersi ferito accidentalmente, cadendo in bagno e sbattendo la testa contro la vasca. Dopo quelle parole, l’uomo perde conoscenza. Morirà in ospedale poco dopo la mezzanotte del 5 gennaio. 
Questa è la storia dell'omicidio di Roland T. Owen, avvenuto nella stanza 1046 del President Hotel di Kansas City, Missouri, in una fredda mattina di gennaio del 1935. 





2 commenti:

  1. Un omicidio misterioso e "nascosto" nell'ambito dell'epoca del gangsterismo suona curioso, erano tempi in cui sparavano a sangue freddo, in mezzo alla strada, di fronte a numerosi testimoni, senza neppure coprirsi il volto. Però suppongo che il boss politico locale non volesse assolutamente scene del genere perché potevano essere una cattiva pubblicità per lui e la sua encomiabile amministrazione della città...

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    1. Se la guardiamo da quel punto di vista è bizzarro, hai ragione. Se gli avessero sparato in mezzo alla strada probabilmente tutti se ne sarebbero dimenticati nel giro di dieci minuti e oggi noi non staremo qui a parlarne. Evidentemente, al di là del mistero che c'è attorno, il luogo scelto per il delitto era uno di quelli intoccabili...

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