LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI
Per riallacciarci alla prima parte di questo post, abbiamo appurato che la relazione del Giappone
con la morte volontaria non riguarda solo la famosa pratica del seppuku, il suicidio rituale dei
samurai, o le missioni suicide degli aviatori giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale; è
una pratica se possibile ancor più antica, il cui ricordo permane nell’immaginario collettivo della
nazione e di tanto in tanto ritorna in auge, se pur camuffato da narrazione distopica. Un esempio
recente è il film del 2022 "Plan 75" di Chie Hayakawa, ambientato in un futuro in cui il Paese
del Sol Levante inaugura un programma di suicidio assistito gratuito per gli anziani ultra
settantacinquenni. Prima che la narrazione prosegua concentrandosi su pochi personaggi,
vediamo come la proposta susciti l’attenzione degli anziani per i motivi più disparati: c’è chi ha
perso il lavoro, si sente inutile e sente di pesare sulle casse dello stato, chi vuole uscire di scena
quando ancora è autosufficiente per non creare problemi ai parenti, chi è allettato dalla somma
messa a disposizione dallo stato agli anziani per soddisfare i loro ultimi desideri o pensa di
lasciarla in eredità a figli e nipoti, chi semplicemente è solo e non ha nulla e nessuno per cui
continuare a vivere. A partire dall’incipit, in cui viene mostrato un attentato contro una casa di
cura per attirare l'attenzione sul problema dell’invecchiamento della popolazione (“il crescente
numero di anziani sta distruggendo l'economia del nostro paese”, dice l'attentatore prima di
togliersi la vita), il film è un crescendo di angoscia e di profonda commozione mostrati col tipico
minimalismo giapponese.
Come già nelle due trasposizioni de "La ballata di Narayama", qui
l’eutanasia non segue alcun criterio medico o fisico e non c’è alcuna valutazione dello stato
psicofisico degli anziani, o eventualmente anche del loro recupero, per una possibile utilità
materiale o morale per la società: semplicemente, le persone vengono eliminate come si
rottama un vecchio elettrodomestico all’avvento di uno più performante. L’assistenza psicologica
fornita agli anziani (una sorta di “telefono amico”) ha lo scopo dichiarato di non far cambiare
idea agli aderenti e, in generale, non sorprende troppo che tutti gli impiegati della “filiera” siano
estremamente gentili e non sembrino far caso alle implicazioni etiche del proprio lavoro, se non
quando ormai è troppo tardi: forse somigliavano agli attendenti ai campi di concentramento e ai
carcerieri di ogni tempo e luogo, o almeno ad alcuni di essi.
L’invecchiamento della popolazione è un dato reale e incontestabile in varie altre parti del
mondo, oltre al Giappone. Sebbene l’Occidente non abbia mai spartito con l’Oriente
l’orientamento al sacrificio personale più o meno estremo per la collettività, i recenti avvenimenti
sul piano sanitario hanno scombinato un po’ il comune sentire.
L’insistenza sul “bene comune” e
sul “fare la cosa giusta” ha caratterizzato come un mantra gli anni della pandemia, e lo stigma
morale ha colpito coloro che non hanno voluto cedere la sovranità sul proprio corpo e rinunciare
all’autodeterminazione sanitaria, con tutto quel che ne è derivato anche sul piano dei diritti civili:
una china odiosa e anche insidiosa, perché sempre passibile di recidiva. Rammento bene
anche chi, davanti ai dati delle ospedalizzazioni, non trovava di meglio da fare che parlare
dell’incremento dei costi sanitari, suggerendo senza dirlo apertamente che ogni morte fosse in
fondo un sollievo per le casse dello stato. La contraddizione insita in questo modo di pensare è
che da un lato si spinge alla protezione degli anziani e dei fragili anche a discapito di se stessi,
dall'altra si suggerisce neanche troppo velatamente che arriva un momento nella vita in cui è il
caso che ognuno di noi si tolga di torno, di sua sponte o meno.
Al di là delle finzioni letteraria e cinematografica, l’eutanasia è infatti una pratica già ampiamente
sdoganata da anni, con modalità differenti, in paesi come Svizzera, Belgio, Olanda, Germania,
Spagna, parte degli Stati Uniti, Australia e Canada, solo per citarne alcuni. Particolare il caso del
Canada, dove è in vigore dal 2016 il cosiddetto Medical aid in dying (Maid - Aiuto medico alla
morte), e dove nel 2021 anche le persone con problemi mentali, inclusa la depressione, sono
state incluse nel programma, suscitando un vespaio di polemiche perfino da parte di un
quotidiano tutt’altro che reazionario come il Toronto Star. Il programma per i malati mentali è
stato sospeso all’inizio del 2024 per la carenza di medici aderenti, ma nel frattempo ha già fatto
numerose vittime (si parla di oltre 13.000 persone solo nel 2022). Se il fine del suicidio assistito
può sembrare nobile (non intendo certo affermare che si dovrebbe negare il fine vita a chi sta
morendo o soffrendo senza possibilità di recupero e lo richieda nel pieno possesso delle sue
facoltà mentali), è innegabile il rischio che a usufruirne non siano solo persone realmente
convinte di questa scelta, ma anche quelle più fragili, individui esasperati dalla negazione di
assistenza regolare e cure palliative, problemi abitativi, depressione, oppure disabili e anziani
soli, sollevando il problema della responsabilità morale dello stato verso i suoi cittadini e
riesumando l’angosciante spettro dell’eugenetica.
Come tutti sanno, a dare nuova linfa alla discussione sul fine vita in Italia fu la morte di Eluana
Englaro, la giovane rimasta in stato vegetativo a seguito di un incidente stradale il cui caso
aveva diviso l’opinione pubblica e il parlamento italiano per più di un decennio. I genitori di
Eluana consideravano l'alimentazione forzata, che teneva in vita la figlia, una forma di
accanimento terapeutico, e portarono avanti una battaglia legale per anni affinché questa
venisse sospesa, fino alla sentenza della Corte d'Appello di Milano del 2008 che accolse
l’istanza: sentenza che venne attuata pochi mesi dopo, nel febbraio del 2009. Nel 2024, quindici
anni dopo, la regione Emilia Romagna ha emanato una delibera regionale con le linee guida per
l’accesso al suicidio assistito e istituito un Comitato regionale per l’etica allo scopo di esaminare
le richieste. Leggendo la notizia non ho potuto fare a meno di ricordare un tempo in cui
l’argomento (come molti altri) era tabù, e qualunque accenno all’eutanasia, anche se al di fuori
dei confini nazionali, veniva apertamente censurato e si attirava gli strali di una Chiesa oggi
penosamente silente. Ma per ogni persona che voglia farsi uccidere, c’è qualcuno che
materialmente deve prendersi carico di questa uccisione e quel che avviene è a tutti gli effetti un
omicidio legalizzato; mentre la parola eutanasia viene sempre più spesso accantonata in favore
della più accettabile locuzione di suicidio assistito, nell’errata convinzione che modificando il
linguaggio si modifichi anche la realtà, il consenso dei morituri potrà forse alleviare qualche
coscienza. Non sono certo il primo a dirlo, ma questo è un terreno minato, perché una volta
dichiarato che la vita è un bene disponibile tutto diventa lecito, i criteri che determinano chi vive
e chi muore rischiano di divenire quantomai ampi e superficiali e, un giorno, il diritto di morire
potrebbe trasformarsi nel dovere di morire.
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