mercoledì 24 dicembre 2025

Armand, o la geometria proibitiva del nuovo cinema norvegese

In questa mattina di dicembre, a poche ore dal Natale, mi ricollego dopo una lunga latitanza dal blog per una sorta di senso di colpa. Mai prima d’ora avevo lasciato la mia “creatura” così abbandonata a se stessa, quasi come se improvvisamente la creatività (ma anche la voglia di fare) avesse deciso di lasciarmi e spostarsi altrove. Decido di rientrare proprio oggi, approfittando di qualche giorno di ferie, spinto dalla voglia di scrivere qualcosa a tema cinematografico, qualcosa a proposito di un film su cui sono inciampato qualche settimana fa e il cui ricordo fatica a sbiadire. Un grande film, se non lo si fosse capito. Mi occorreva qualcosa per chiudere quell’esperienza ed è proprio il post di oggi, il cui scopo è cercare di mettere a terra questa babele di pensieri, e che mi consentirà, almeno mi auguro, di passare finalmente ad altro. Altre volte in passato mi era capitato di rimanere colpito da una visione, non tanto da ciò che attraverso di essa viene raccontato, ma dalla forza delle sue immagini. C'è stato un tempo in cui avevo anche inaugurato una piccola serie di post etichettata “Obsploitation Visions” sotto il cui cappello, vado a memoria, avevo infilato opere enigmatiche, esoteriche e iniziatiche come “The Capsule” (2012), della regista greca Athina Rachel Tsangari. e “Les Garçons sauvages” del francese Bertrand Mandico. La logica qui è molto simile, il cinema e le sue immagini, spesso fortemente simboliche, prendono il sopravvento e si lasciano alle spalle ogni forma di intrattenimento.
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