L’uomo dai capelli tinti ci propone invece un protagonista alienato e, in definitiva, vittima di se stesso, tutte caratteristiche che permettono di accostarlo sia al Tomasz Odonicz de Lo sguardo che al protagonista senza nome del grabińskiano Saturnin Sektor. Ma forse, a pochi mesi di distanza dal mio speciale su Stefan Grabiński (che trovate qui), e quindi con la mente ancora fresca, queste associazioni per me sono semplici quanto poco opportune.
Ad ogni modo il dottor Arsenius, il nostro uomo dai capelli tinti, è preda di uno scherzo assurdo generato in qualche piega remota del suo stesso cervello, uno scherzo che di pagina in pagina assumerà contorni sempre più surreali, fino ad esplodere in un finale sorprendente quanto magnifico nella sua ideazione. "La polizia internazionale è in movimento per rintracciare un pericoloso anarchico, che a Chicago si faceva chiamare John Willis, e che è accertato essere l’autore del terribile incendio all’Union Theatre, dove morirono tante persone, dell’alta borghesia e dell’alto commercio, alcune settimane or sono: incendio che sinora si credeva accidentale. Il Willis è sparito da quel tempo e si ha ragione di credere che si trovi in Europa. I suoi connotati sono: statura alta, complessione magra, quasi fantastica, mani sottili, scheletriche, occhi grigi. Un neo sulla tempia sinistra. Il riconoscimento, però, è reso difficile da una circostanza: la sua chioma, ch’era abbastanza imbiancata, deve essere stata tinta, e abilmente.".
Per quale motivo il dottor Arsenius si ritrova a sospettare di essere lui stesso 'quel' John Willis? È sufficiente quel generico identikit riportato dai giornali per arrivare a convincersi, giorno dopo giorno e in misura sempre maggiore, di essere braccato dalle autorità? Come se qualche elemento a lui ignoto si stesse facendo beffe della sua coscienza, alterando e pilotando a piacimento la sua percezione delle cose, nel giro di breve tempo il dottor Arsenius si ritrova immerso in un incubo senza apparente via d’uscita. Tutto sembra giocare contro di lui. Anche Isacco Brown, proprietario della bottega di tinture nella quale il nostro si è sempre servito, sembra far parte del complotto, se di complotto si può parlare. Il vero problema è la memoria. Dottor Arsenius oppure John Willis? Com'è possibile non essere certi nemmeno della propria identità?
Per quale motivo il dottor Arsenius si ritrova a sospettare di essere lui stesso 'quel' John Willis? È sufficiente quel generico identikit riportato dai giornali per arrivare a convincersi, giorno dopo giorno e in misura sempre maggiore, di essere braccato dalle autorità? Come se qualche elemento a lui ignoto si stesse facendo beffe della sua coscienza, alterando e pilotando a piacimento la sua percezione delle cose, nel giro di breve tempo il dottor Arsenius si ritrova immerso in un incubo senza apparente via d’uscita. Tutto sembra giocare contro di lui. Anche Isacco Brown, proprietario della bottega di tinture nella quale il nostro si è sempre servito, sembra far parte del complotto, se di complotto si può parlare. Il vero problema è la memoria. Dottor Arsenius oppure John Willis? Com'è possibile non essere certi nemmeno della propria identità?
La risposta forse è da ricercarsi altrove, magari tra le righe di un altro racconto, quel La scoperta del capitano che, per primo, aveva teorizzato il concetto di memoria cancellabile e/o trasferibile. Siamo quindi ancora da quelle parti? La risposta l’avremo naturalmente solo nelle ultime righe. "Ma egli sentiva che qualche altra cosa si andava maturando nell’animo suo, qualche cosa ancora più terribile: un’idea che gli era balenata alla mente in una notte insonne e che egli si era affrettato a seppellire sotto una folla di ragionamenti ammucchiati in fretta, come i mobili di una barricata improvvisata per tagliare la via a un nemico. Pensò di distrarsi, di dimenticare […] ma l’idea, la nemica formidabile e insidiatrice, lo aspettava, imboscata nelle pagine di un piccolo libro: un’acuta e originale monografia d’uno psichiatra russo su certi casi di allucinazione: e un nome balzò fuori, come in agguato, da quelle pagine, e lo colpì, in un lampo di luce livida che gli fiammeggiò nel cervello.".
Chiude l’antologia l’unico racconto veramente anomalo del gruppo: Ben Haissa. Anomalo perché, a differenza dei sette racconti sinora descritti, è l’unico a non contenere alcun vago riferimento, diretto o indiretto, agli altri racconti. "Fui preso, allora, lo confesso, da un accesso di viltà: avrei potuto gridare, strepitare, far accorrere gente, ma mi parve che le mie facoltà volitive fossero state d’un tratto spezzate, che io non potessi, che io non sapessi far altro che gettarmi sul letto, con le mani sugli orecchi, per non sentire più nulla, né rumori, né gemiti, né gridi, né, soprattutto, quella orribile, mostruosa risata, che pareva un ghigno diabolico.". Queste parole, così simili alle parole che Marrama ha già messo in bocca ad altri suoi protagonisti, potrebbero sembrare il frutto del delirio di un folle, ma la realtà, lo scopriremo solo alla fine, è ben diversa e in un certo qual modo assolutamente originale. Giunti all’ottavo racconto avevamo pensato di esserci ormai fatta una chiara idea della prosa di Daniele Oberto Marrama, avevamo immaginato di poter prevedere, conoscendo la tecnica dell'Autore, lo sviluppo di quest'ultimo racconto, rimanendo solo nel dubbio, peraltro trascurabile, di quale tipo di finale tra quelli già visti lo avrebbe degnamente concluso. Al contrario, anche Ben Haissa si rivela un racconto sorprendente e tutt'oggi, nonostante il tempo trascorso da quando fu scritto, mantiene intatta la sua freschezza originale.
La storia è incentrata su un uomo, ospite per una notte in una solitaria camera d’albergo, il cui sonno è tormentato da una voce femminile proveniente dalla stanza accanto, una voce femminile intenta a cantare una ninna nanna ad un bambino. L’iniziale disappunto cederà il posto all’angoscia quando dall’altra parte del muro gli avvenimenti inizieranno a prendere una piega inaspettata. "Ma subito dopo trasalii al grido del bimbo; quel grido aveva qualche cosa di sinistro, direi quasi di cosciente: pareva che la creaturina, ancora ignara di ogni cosa della vita, vedesse qualche cosa di spaventoso, di terribile. Che fare, mio Dio? Come intervenire? Come evitare quello che, fino a quel momento, forse, non era ancora avvenuto?". Non vi racconterò il finale, ma credo di potervelo fare intuire dicendovi che Daniele Oberto Marrama, dalla sua piccola Napoli di inizio Novecento, aveva anticipato di cinquant’anni le vicende narrate in uno dei più grandi successi di Alfred Hitchcock.
Questa lunga recensione termina qui. Non era mia intenzione dilungarmi così tanto quando, qualche settimana fa, decisi di affrontare una lettura entusiasmante come quella di questa antologia della Cliquot. Anche perché, tenendo conto della sua lunghezza complessiva (virtualmente meno di un centinaio di pagine), sono riuscito a scrivere un articolo che è quasi più lungo del volume al quale esso è dedicato. Come già dissi in occasione dello speciale su Grabiński, “spesso si ricercano le novità letterarie, il che è giusto e sacrosanto, ma ci sono vere e proprie gemme nascoste già lì, a portata di mano, che meriterebbero altrettanta attenzione”. Questa cosa è ancora più vera per Daniele Oberto Marrama, un personaggio praticamente sconosciuto che una piccola realtà editoriale ha scovato e riproposto, restituendo il giusto ruolo ad un pioniere del fantastico del quale, da italiani, dovremmo essere orgogliosi.
Ma complimenti!!!! Come vedi da napoletano apprezzo doppiamente il tuo sforzo, credo che tu abbia effettuato una riscoperta eccezionale di un autore del proto-horror inaspettato, inconsueto e stranamente, ancora moderno.
RispondiEliminaIl merito di questa riscoperta in realtà non è mio. Ha fatto tutto Cliquot
Elimina"L'uomo dai capelli tinti" mi ha incuriosito davvero perché i personaggi che perdono certezze sulla propria identità sono tra quelli che prediligo. In generale, come dice Nick hai fatto un bel lavoro di divulgazione.
RispondiEliminaEffettivamente è un tipo di personaggio piuttosto curioso. Stavo per scrivere kafkiano, ma non è proprio del tutto vero.
EliminaHo capito bene che la Cliquot si finanzia con il Crowfunding?
RispondiEliminaCosì sembrerebbe da quello che leggo sul loro sito. In realtà ne so quanto te.
EliminaOps ho scritto quel che penso su pt.3
RispondiEliminaMi chiedevo infatti cosa significasse quel tuo commento. Anzi, in realtà continuo a chiedermelo ancora adesso.... ;-P
EliminaSignifica che nel mio piccolo sono mesi che diffondo materiale di altri sui social, molti nemmeno se ne sono accorti, nel tuo specifico e quello di alcuni altri più assiduamente assiduamente. Mi ripeto, quest'ultima serie di articoli è da antologia, merita.
EliminaTwitter è Facebook sono per me due oggetti misteriosi. Niente di più facile che non me ne sia accorto. Ti ringrazio ora in maniera cumulativa di tutte le condivisioni passate, presenti e future!
EliminaIl grazie cumulativo non è dovuto perché è un piacere, sempre. Datosi che sono una personcina educata al cumulativo grazie rispondo con 8 kili e mezzo di prego hahahaha
EliminaBeh, gran finale! *__* Sempre più convinta di leggerlo (in futuro, ma sicuramente, recuperando anche Grabiński; magari in occasione del Natale finiranno nella lista - desideri :D)
RispondiEliminaEntusiasta di questo speciale, grazie mille *_*
...praticamente lo indicherai nella letterina a Babbo Natale... ^_^
EliminaArsenius/Willis mi fa tornare alla mente Pascal/Meis, dove a un certo punto nemmeno lui riusciva più a riconoscersi in questo Meis che si era inventato per sfuggire alla vita di Pascal.
RispondiEliminaNon ci avevo proprio pensato al Mattia Pascal. Ottimo spunto!
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