giovedì 7 febbraio 2019

Uomo a mare

Mentre lo storico e mai abbastanza compreso contenitore social  dalla "G" maiuscola sta ormai preparandosi al preannunciato trapasso, e in attesa di capire quali conseguenze possa avere l'azzeramento dei contenuti postati negli anni da qualche miliardo di utenti (oltre tre, secondo wiki), decido di andare a dare un'occhiata nel mio account per capire se c'è qualcosa che valga la pena di essere salvato dalla Grande Cancellazione. 
Immagino di non essere l'unico in questi giorni ad aver ricevuto notifica del fatto che è possibile scaricare sul proprio computer molti dei contenuti postati sul "social-coso". Mi sbaglio?
Ad ogni modo, non mi è stato difficile rendermi conto che è praticamente tutto pattume quello che a breve verrà smaltito. 
Inizialmente avevo anche creduto nelle possibilità che si sarebbero potute creare entrando a far parte di G+, che guarda caso aveva visto la luce più o meno negli stessi giorni in cui anche Obsidian Mirror aveva alzato il sipario. Mi ero iscritto a decine di "communities", avevo iniziato a seguire utenti che mi pareva avessero qualcosa di interessante da condividere, ma poi col tempo ho lasciato perdere. Il "social-coso", mi sono accorto (e vi sarete accorti), non è affatto quel luogo social di cui si favoleggiava. Non so nemmeno se lo sia mai stato. A me pare solo un grosso cassonetto dove gettare i propri stracci affinché possano venire ritirati la mattina dopo. 

Frugando nel cassonetto, però, una cosettina interessante l'ho ritrovata: un breve racconto che avevo scritto sei anni fa, che avevo postato su G+ e di cui mi ero totalmente dimenticato. Prima che sia troppo tardi vale la pena di trarlo in salvo; non tanto per il suo valore (per carità), quanto per il suo rappresentare quel blogger che ero e che ora forse non sono più. 
Il tema del racconto, secondo le regole stabilite dal moderatore di quel gruppo, avrebbe dovuto essere marinaresco. Ci ragionai un attimo e, di getto, buttai giù quello che andrete a leggere tra poco.
Post Scriptum: successivamente questo stesso racconto sarebbe stato riproposto sul blog Word in Progress ma, considerato che anche quello ormai è divenuto un blog fantasma, lo ripropongo qui prima che vada perso per sempre.

UOMO A MARE

Acqua. Solo acqua. Acqua tutto intorno a me. Mi guardo attorno e non vedo altro che acqua. La sento sulla mia pelle. Mi entra nelle orecchie, nel naso. Cerco faticosamente di tenere fuori la testa, cerco di muovere le braccia, ma è così difficile. Il mio corpo è come prigioniero. Dove mi trovo? Come sono capitato qui? Non me lo ricordo. Chiudo gli occhi e cerco di rimandare la mia mente agli avvenimenti trascorsi. Non che serva a molto, considerata la situazione. Presto le mie forze si esauriranno e inevitabilmente l’acqua mi porterà via con sé. Devo forse morire? Mio Dio... Ha quasi il sapore di una beffa la circostanza che uno come me, nato in mare e vissuto per mare, possa finire così, travolto da questo ambiente divenuto improvvisamente così ostile. 

Mi ero imbarcato su un peschereccio, questo lo ricordo bene. Avevo trovato lavoro presso una di quelle cooperative che reclutano giovani apprendisti allo scopo di aiutare i pescatori del villaggio. Il mio compito era semplice: non dovevo far altro che quello che mi sarebbe stato chiesto. Piccole mansioni, niente che richiedesse una benché minima specializzazione, tanto meno in quelle che, così mi avevano detto, venivano chiamate tecniche di pesca. Ed eccomi quindi marinaio mio malgrado. Non mi sarebbe stato difficile affrontare l’incertezza di quel ruolo. Dopotutto non era la prima volta che mi capitava. La vita mi aveva insegnato la preziosa arte di arrangiarsi e il mio fisico, modestamente, era in grado di reggere qualsiasi fatica. Inoltre, mi avevano raccontato una volta i miei genitori, io stesso ero nato a bordo di una barca e ciò in un certo qual senso faceva di me un uomo di mare. 

Apro gli occhi ma subito sono costretto a richiuderli. Devo fare qualcosa per tenere l’acqua lontana dal mio viso, ma non so cosa fare. Comincio ad essere stanco, i muscoli mi fanno male. Qualcuno una volta mi ha detto che facendo “il morto” è possibile addirittura dormire galleggiando. Non ci ho mai creduto, ma sicuramente è meno faticoso che starsene qui a muovere braccia e gambe. Ci provo. Per un attimo provo una sensazione di relax. Mi immergo nuovamente nei miei pensieri. 

Il peschereccio non aveva ancora lasciato il porto che già avevo in mano straccio e spazzolone. Beh, che altro potevo aspettarmi? Di buona lena iniziai la mia opera dal ponte di poppa mentre a prua alcuni altri stavano confabulando sommessamente tra loro. Mi sforzai di tenere lontano lo sguardo. Non volli nemmeno cercare di cogliere qualche frase o qualche parola. Dare troppo nell’occhio, mi avevano insegnato, non era prudente. E poi quelle facce non mi piacevano un granché. Passarono parecchie ore prima che la barca levasse gli ormeggi. Avevo già pulito tutto da cima a fondo e mi ero seduto a riposare in un angolo, in attesa di nuove istruzioni. L’imbarcazione prese velocemente il largo. Cullato dalle onde e vinto dalla stanchezza, ben presto mi addormentai. 

Inizio a sentire freddo. L’acqua mi sembrava quasi tiepida solo qualche minuto fa, ma improvvisamente è come se la temperatura fosse calata rapidamente. Stringo i pugni. È questo forse l’inizio della fine? Chi avrebbe mai detto che sarebbe andata così? Ho fantasticato tante volte sul mio destino ma questo, dannazione, questo è terribile! Solitudine. Nient’altro che acqua e solitudine. E una strana sensazione di intorpidimento che comincia a salire lungo le braccia e le gambe. 

Spalancai gli occhi, mi guardai attorno e quindi mi alzai in piedi. Ero sveglio. Attorno a me il silenzio. I motori erano spenti. L’imbarcazione si era fermata. Dove diavolo erano finiti tutti? Che scherzo era quello? Guardai dappertutto, correndo affannosamente avanti e indietro. Nessuno. La mia mente andò quasi automaticamente a quelle vecchie storie di barche alla deriva e di equipaggi svaniti nel nulla. Verrebbe quasi da ridere, pensai. Sì, come no? Altro che ridere. Improvvisamente smisi di pensare, smisi di quasi di preoccuparmi. Mi sembrò di scorgere un movimento a prua e feci per avvicinarmi. Fu allora che sentii un grosso colpo alla testa. Poi più nulla. 

Non ricordo altro. Praticamente non ricordo nulla. Non ho la più pallida idea di cosa possa essere successo dopo. Quello che so è quello che vedono i miei occhi. Acqua. Solo acqua. Acqua tutto intorno a me. Se una barca c’era, ora non c’è più. Provo un brivido... Qualcosa di viscido mi ha toccato! Un pesce? Un mostro marino? C’è qualcosa sotto di me!! Sono bolle quelle che sento salire lungo la schiena ed affiorare? 
Adesso mi sembra quasi di sentire una voce. Poco più che un mormorio. Sarà la mia immaginazione? Com’è possibile? Ecco, adesso la sento più distintamente. È una voce femminile. Si avvicina. Adesso riesco a distinguerla dai rumori dell’ambiente. Mi sembra di riconoscerla. È la voce di mia madre…. 
«Tesoro? Sbrigati! Sei lì dentro da più di un'ora. Si può sapere cosa stai facendo?? Ti cresceranno le pinne! E muoviti, che la cena è in tavola! Esci dalla vasca!»
Controvoglia mi alzo in piedi e afferro l’accappatoio. Peccato. Era una bella storia.

16 commenti:

  1. Dai, non era mica così male come raccontino...

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    1. Neanche così male: un raccontino semplice, forse un po' ingenuo, ma che mi dispiaceva perdere... Bentornato, by the way... ^_^

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  2. Concordo con Marco... era da salvare.
    Per quel che mi riguarda, non controllo neppure... tutta immondizia che lascio smaltire senza problemi.

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    1. Forse all'inizio qualcuno ci aveva anche provato a rendere G+ un posto interessante, ma negli ultimi anni era diventato solo un deposito di spam.

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  3. Dispiace, ma l'immondizia prima o poi bisogna buttarla ;)

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    1. Non ne sentiremo di sicuro la mancanza. Spero solo che non mi incasinino blogger, piuttosto.

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  4. Non mi sarei mai immaginata un finale così...di sollievo! Ogni tanto ci vuole, direi.

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  5. Udivo echi di "Moby Dick" e "La linea d'ombra" prima del finale... effettivamente c'erano le premesse per una bella storia, se la moglie non fosse stata così solerte ;-)
    Ci credi che io non lo neppure cosa "perdo" con la scomparsa del social googliano?

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    1. Mica potevo mettermi in concorrenza con Melville e con Conrad! Ahaha

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  6. Il racconto era piacevole e ben costruito, in quanto alla G col Plus, devo dire che pur essendo stato il primo social coso dove mi sono iscritto devo dire che mi mancherà poco, non per sé stesso ma perché da mesi ci passavo poco.

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    1. Nessuno nemmeno si accorgerà della sua mancanza . Forse solo quei blogger che avevano collegato i commenti di Google+ al loro blog (c'è stato un periodo in cui lo facevano in tanti)...

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  7. Racconto divertente.
    G+ non mancherà a nessuno, credo, anche se devo dire che è stato grazie a quello che ho ampliato la cerchia dei blogger conosciuti. Ma oggettivamente c'era poca interazione, era più un fossato dove gettare post che un social.

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    1. Si, all'inizio era un modo per scoprire nuovi blog (possibilmente "affini") e per provare a costruirsi appunto una "cerchia" (mai nome è stato più azzeccato). Eventuali rose sarebbero poi fiorite altrove e G+ presto abbandonato.

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  8. Io su Google Plus mi limitavo a condividere i post che scrivevo sul post e poco altro.
    Però attraverso le notifiche mi era utile perché comunque i post arrivavano ad una cerchia maggiore.
    Si può vivere anche senza, comunque.

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    1. All'inizio anch'io "spammavo" alla grande in mille gruppi praticamente tutti uguali e indistinguibili. Ad un certo punto poi mi sono detto "ma che diavolo sto facendo"....

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