domenica 19 gennaio 2020

Queho: l'uomo nero dell'ovest

Lo dichiaro sin da subito: ho sempre avuto un rapporto conflittuale con il genere western. Da un lato, ancora bambino mi sono lasciato affascinare dalle grandi saghe western con protagonisti gli eroi bonelliani, al punto dal poter oggi ancora vantare una discreta collezione di albi a fumetti che, non senza fatica, è scampata al tempo e alla polvere. Dall'altro lato, ho sempre mal sopportato quei vecchi film che mio papà mi imponeva una sera sì e l'altra pure alla televisione (in questa "mal sopportazione" ci metto dentro anche i capolavori di Sergio Leone, che sarà anche un essere mitologico, non lo nego, ma andrebbe gustato a dosi più controllate).
Sembra illogica la questione, detta così, ma c'era un motivo ben preciso che rendeva gli scenari calpestati da Tex, Zagor e Kit Teller (il piccolo ranger, ndr) per me così affascinanti, ovvero le frequenti contaminazioni con l'horror.
Ecco perché mi ha incuriosito immediatamente questo progetto editoriale indipendente presentato pochi mesi fa da Christian Sartirana, che tra l'altro è una vecchia conoscenza di questo blog. L'altro elemento catalizzante è stato il personaggio stesso che presta il suo nome al titolo all'opera: Queho, un nativo americano che insanguinò il Navada nei primi anni del secolo scorso e che finì per guadagnarsi il titolo di primo serial killer mezzosangue della frontiera (se non il primo in assoluto, certamente il primo a creare attorno a sé un alone di leggenda).

Potrei dilungarmi per ore sulla misteriosa figura di Queho, magari dedicandoci un articolo, ma mi limiterò ad alcune nozioni di base, rimandandovi per approfondimenti a ciò che trovate in rete e all'ottima postfazione "Queho: un viaggio nel weird west tra serial killer, mummie e giganti" che Gian Mario Mollar ha scritto per Christian Sartirana.

Non si conosce molto di Queho, se non che dovrebbe essere nato attorno al 1880 a Cottonwood Island, nei pressi della città di Nelson, in Nevada, da padre sconosciuto; la madre, Cocopah, morì subito dopo il parto. Fu un reietto sin dalla nascita, quindi, mezzosangue e orfano e senza un preciso posto nel mondo. Ad aggravare la sua posizione, una malformazione congenita a un piede (il cosiddetto piede equino) che sarà di grande aiuto ai suoi inseguitori nel momento in cui Queho, braccato dai cacciatori di taglie, tenterà di darsi alla fuga.
Alcune storie, sebbene mai confermate, racconterebbero di alcuni suoi delitti messi in atto sin dall'adolescenza, ma i resoconti sui giornali non iniziano fino al novembre 1910, periodo in cui Queho diviene il principale sospettato dell'omicidio di un altro indiano durante una rissa nella riserva. Secondo i testimoni, Queho uccise due indiani Paiute durante la fuga per appropriarsi dei loro cavalli. Non contento, nel corso del suo cammino trovò il tempo di fratturare braccia e gambe a un malcapitato commerciante, di picchiare a morte un taglialegna e di sparare alla schiena al guardiano di una miniera.
Nel corso degli anni successivi, gli avvistamenti di Queho continuarono e la sua leggenda iniziò a crescere. Su e giù per il fiume Colorado, minatori e coloni raccontavano di furti, omicidi e razzie di bestiame, attribuendo ogni colpa al rinnegato fantasma. Cercatori d'oro assassinati, donne indiane violentate e sgozzate, attacchi alle abitazioni: tutto veniva ricondotto a Queho, nonostante i testimoni spesso affermassero il contrario.

Viene oggi da chiedersi se quell'uomo fosse davvero il mostro che tutti descrivevano, spesso attribuendogli abilità sovrannaturali, o se fosse semplicemente il più comodo capro espiatorio che gli sceriffi avevano a disposizione per giustificare i propri fallimenti. L'incubo terminerà solo nel 1940, quando i resti mummificati del reietto vengono rinvenuti in una grotta presso il fiume Colorado, la stessa nella quale il ricercatissimo fuorilegge aveva trascorso i suoi ultimi anni.
Un essere umano o un mostro sovrannaturale? Christian Sartirana predilige la seconda ipotesi: mezzo uomo e mezzo demone, discendente di una dimenticata tribù di giganti con il pallino del cannibalismo; un essere enorme, mostruoso, con due file di orrendi denti ben ritratte nella cover disegnata per Christian da Lucio Coppa.
La porta dell'ufficio si apre e, come una bocca dell'inferno, vomita fuori un mostro. È gigantesco quanto orrendo, avvolto in quegli stracci sanguinolenti. Zoppica sul suo piede deforme e ansima, soffiando fuori dalle labbra crostose un suono che sa allo stesso tempo di eccitazione e dolore. Un puzzo fortissimo di sangue riempe la cella. 
Non sono certo, mia opinione personale, che Queho avesse davvero quell'aspetto, ma è interessante rendersi conto di come una leggenda sia riuscita a attraversare indenne un secolo di storia per giungere fino a noi, ancora più accattivante di quanto non lo sia stata ai suoi tempi.
Christian Sartirana ci è andato giù decisamente pesante, riuscendo tuttavia a regalare allo sfortunato fuorilegge (lo definirei così, tutto sommato) un'aura di umanità che forse nessuno prima di lui aveva mai osato anche solo accennare. E dire che forse l'avrebbe meritata, Queho, un po' di umanità. Se non in vita perlomeno nella morte, visto che i suoi resti, dopo essere stati sfruttati dai più cinici impresari circensi, finirono in un museo degli orrori e lì rimasero fino alla metà degli anni Settanta.

E pensare che il romanzo breve (o racconto lungo) di Sartirana non era partito nel migliore dei modi, secondo il mio personale punto di vista. Ho accennato poco fa alla mia idiosincrasia per il western tradizionale e per i suoi luoghi comuni. Speravo, pertanto, di non trovare il ranchero burbero ma buono, lo sceriffo arrogante e stupido, la barista dalle forme prominenti strizzate in abitini da bambolina... tutto questo, più o meno, viene invece direttamente servito al lettore già nelle prime pagine, il che mi ha costretto a uno sforzo considerevole per superare lo scoglio psicologico che mi tormenta. Fortunatamente, tutto ciò che a me turba passa piacevolmente in secondo piano nel corso della lettura, e a conti fatti credo che se non avessi perseverato mi sarei davvero perso l'occasione di conoscere un personaggio insolito anche per la sua epoca.

Sartirana, tra l'altro, rischia parecchio nel suo tentativo, infine riuscito, di esporre i fatti con uno stile originalissimo, alternando resoconti in terza persona a dialoghi in stile teatrale. Un rischio evidentemente ben calcolato, visti i risultati. Ciò che invece non posso perdonare all'Autore è di essere stato così rapido a giungere alla parola fine: un'idea del genere, con personaggi del genere (ma soprattutto con quel sottobosco di storie appena accennate), avrebbe davvero meritato qualche centinaio di pagine in più, anche in virtù di tutti quei riferimenti all'horror classico (lo slashing di "Venerdì 13", il body horror di "Shivers") che l'Autore ha disseminato nel testo.
Non ci resta quindi che attendere, e sperare, che Christian si rimetta al più presto al lavoro. Ottimi risultati li abbiamo già potuti osservare nella dimensione del racconto (a mio parere la sua più congeniale) e del racconto lungo. Il romanzo tuttavia è nettamente alla sua portata e, se ben calibrato, potrebbe davvero fargli fare un salto di qualità.


18 commenti:

  1. Il "western" è ormai un luogo quasi mitologico creato ad arte dalle saghe cinematografiche americane (e italiane, vabbé ;-) perciò penso sia inevitabile si regga anche su degli stereotipi. In questo caso c'è però un elemento soprannaturale a controbilanciare, quindi direi che il tuo inaspettato interesse è inevitabile.
    Ho letto da qualche parte che anche Howard, il creatore di Conan il barbaro, ha scritto racconti western con elementi soprannaturali, ma non ho verificato di persona se sia vero.

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    1. Non conosco abbastanza Howard per poter confermare o smentire, ma non mi stupirebbe che sia come dici tu. Il fatto che il genere western sia ricco di stereotipi è innegabile e di questo dobbiamo innanzitutto ringraziare il "Wild West Show", lo spettacolo circense che Buffalo Bill, sul finire del XVIII secolo, portò in giro per il paese (ma anche in Europa e in Italia), mostrando alle masse una versione edulcorata del "selvaggio west", non del tutto coerente con la realtà.

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  2. Prediligo altri generi, ma il western non lo rinnego affatto, forse un genere fuori moda, ma che non smette di affascinare, contaminazioni horror o meno ;)

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    1. Non lo rinnego ma non riesco proprio più a appassionarmi al genere. Troppo identici l'uno all'altro, senza emozioni. Ecco perché la contaminazione è l'unica strada...

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  3. Io lo sto riscoprendo negli ultimi anni anche grazie a scrittori come McCarthy e McMurtry, le cui opere sono dei veri e propri capolavori del genere.

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    1. Non ho mai nemmeno considerato il western come un genere letterario, e i nomi che citi mi risultano assolutamente ignoti (anche se probabilmente diversi loro titoli hanno una fama che travalica quella del loro autore). D'altra parte non è che si abbia molto spesso l'occasione di incrociarli nelle librerie, o sbaglio?

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    2. Sono tra i pochi che possono essere considerati scrittori con la A maiuscola pur trattando un tema classico come il Western.
      Il secondo ha persino vinto il premio Pulitzer.
      La Trilogia della frontiera di McCarthy ( ma anche Meridiano Di Sangue ) e Lonesome Dove del secondo, sono i libri più belli che ho letto negli ultimi dodici mesi.

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    3. Bisogna che mi faccia una cultura, allora. Leggevo poco fa su Wiki che McCarthy è anche autore di "Non è un paese per vecchi"...

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  4. Anch'io ho visto moltissimi film western grazie a mio papà. Ora non è il genere che prediligo, e se ho possibilità di scelta vedo altro, anche perché non è stato "rinnovato" (ha avuto il suo momento di fulgore quando eravamo piccoli). Però mi era piaciuto tantissimo "The Hateful Eight" di Tarantino e soprattutto "Quel treno per Yuma" con Russell Crowe. Nel romanzo è curiosa la figura del nativo americano serial killer e anche fantasma-mostro, in effetti le ambientazioni sterminate, e la natura selvaggia, si prestavano molto bene a circondarla di mistero.

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    1. Condivido in pieno il tuo giudizio su "Quel treno per Yuma" con Russell Crowe, uno dei pochi western che è riuscito a coinvolgermi begli ultimi anni. Metà d'accordo con Tarantino, del quale preferisco nettamente il suo "Django Unchained". Tra i classici al primo posto "Il piccolo grande uomo" con Dustin Hoffman...

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  5. Posso confermare che Howard, che fece anche in tempo ad assistere agli ultimi rantoli di vita del West da una posizione privileggiata, scrisse diversi racconti in cui contaminava weird e western ed anche ad altri semplicemente western. Si tratta un filone meno conosciuto e ristampato rispetto ai racconti horror ed heroic fantasy per i quali è ancora oggi conosciuto, tuttavia esistono.

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    1. Grazie per la precisazione. Hai qualche titolo da suggerire?

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    2. Scusami per il ritardo nella risposta ma solo adesso ho letto il tuo commento. Dunque per quanto riguarda il western classico, recentemente è stato stampato in italia il volume "Sfida al Canyon Infernale" per i tipi di Fratini Editore che contiene otto racconti western mai tradotti finora nel nostro paese. Poi ci sarebbe anche "Storie della Frontiera" della Elara con altri racconti alcuni solo western altri misti fantastico-western. Tieni presente che in alcuni casi Howard ha scritto due versioni dello stesso racconto, una con caratteristiche fantastiche l'altra solo western depurandola di tutti gli elementi weird o soprannaturali. tra i personaggi western ti posso citare Buckner J Grimes oppure il ciclo di Kirby Buchner, anche se quest'ultimo è abbastanza di "confine" visto che non era ambientato propriamente nella "Frontiera" ma nella New Orleans dell'epoca dello schiavismo. Si tratta di tre racconti: "Black Canaan"; "Pidgeon fron Hell" e il postumo "Scarlet Tears" tradotti in italiano nel quarto dei cinque volumi de "Tutti i Racconti Fantastici", un'altra cosa da tenere presente è che ancora i ricercatori USA non sono in grado di stabilire quanti siano effettivamente gli scritti di R.E.H perché molte cose non vennero mai pubblicate in vita dell'autore, di conseguenza fino a qualche anno fa saltavano ancora storie o frammenti di opere scritte da Howard.
      Saluti.

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    3. Grazie per il prezioso contributo. Non so perché, ma ho il timore che Howard abbia camuffato da western dei romanzi heroic fantasy. In fondo i generi sono molto simili: eroi muscolosi in conflitto violento contro antieroi cattivissimi. Unica differenza le pistole anziché le spade...

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  6. Ciao.
    A prima vista dalla copertina immaginavo fosse un fumetto.
    Il western non è il mio genere preferito.
    Ma come hai scritto se si osa uscire un po’ dai soliti cliché contaminandolo con altri generi tipo l’horror il risultato può essere alettante.
    L’ultimo film western che ho visto che appunto prendeva in giro un po’ tutti i vari luoghi comuni di questo genere senza scivolare nello scherno e’ stato La Ballata di Buster Scruggs dei fratelli Coen.
    Ma Queho è disponibile solo in formato digitale?
    O son io che non son bravo a smanettare con Amazon , perché oltre la versione Kindle non mi da altro.



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    1. Infatti non è un caso che il western sia il genere preferito di pochissimi. Diverso l'approccio che aveva con il western la generazione che ci ha preceduto, ma evidentemente per loro l'offerta era ridotta e, in parte, la scolarizzazione di un tempo non permetteva alle persone di spingersi molto più in là.

      Il romanzo di Sartirana è disponibile anche in cartaceo ma solo inviando un ordine via mail direttamente all'autore (christian_sartirana@libero.it). Costa €12 inclusa la spedizione

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  7. Ieri sera riguardavo Keoma sul nuovo canale dedicato al cinema italiano..a proposito di personaggi del western mezzosangue.
    Io Queho l'avrei preferito in una versione più umana.
    Un reietto, un sanguinario, ma l'elemento horror nel west non lo vedo affatto bene.
    Spezzo un lancia sugli spaghetti western visto che alcuni titoli hanno saputo andare anche oltre ai cliché del western americano.
    Uno su tutti il grande silenzio, il film che non ha buoni, ma solo due cattivi diversi.

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    1. Mah, non so, mi chiedo cosa sarebbe stato Tex senza Mephisto e Yama, cosa sarebbe stato Zagor senza Hellingen e Kandrax (senza contare vampiri e licantropi vari). Le contaminazioni sono state senza dubbio una delle chiavi della longevità dei western Bonelli. Al cinema non saprei, ma concordo in pieno con "Il grande silenzio", uno dei due western di cui mi vanto di possedere il DVD (l'altro è "Soldato blu").

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