LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI
Quello che dirò da ora in avanti sarà forse meno interessante, perché si tratta di fatti che più o meno potete trovare esposti sul web ovunque, anche in maggior dettaglio. Tuttavia, giacché sono arrivato fino a qui con la storia di Leary, credo che sia giusto anche portarla a termine.
Dunque, prima di cominciare la panoramica delle sue opere, avevamo lasciato il nostro alle prese con la fine dell’esperimento Concord, con lo sfratto da Millbrook e con il lento ma inesorabile distacco dall’amico Richard Alpert. Ho già accennato all’arresto di Leary avvenuto a Millbrook durante un’incursione notturna dei federali nell’aprile del ’66, ma non fu quello il primo dei suoi guai con la legge.
Nel 1965, di ritorno con la famiglia dal Messico, la sua macchina viene fermata alla frontiera e i doganieri trovano della marijuana addosso a sua figlia Susan. Leary viene incriminato e condannato a 30 anni di prigione, ma presenta un ricorso basato sulla presunta incostituzionalità del Marijuana Tax Act: vincerà la causa nel ‘69.
Poco prima però, alla fine del ’68, viene arrestato di nuovo a Laguna Beach, in California, dove si è trasferito l’anno prima. Inizia un contenzioso legale che si conclude nel ’70 con la sua condanna a 10 anni di prigione per il possesso di due mozziconi di sigaretta di marijuana, cui in seguito vengono aggiunti altri 10 anni (dei 30 originari) per l’arresto del ‘65.
La decisione di evadere di galera, e il conseguente piano, prende forma probabilmente già nei primi giorni dopo la sua condanna. Il primo passo è farsi assegnare a un carcere che sia soggetto a un livello di controlli minimo, e il secondo ottenere un lavoro che gli consenta di muoversi con una certa libertà anche nelle aree esterne all’edificio principale. Leary sa bene che, come tutti i nuovi detenuti, anche lui dovrà sottoporsi a dei test di routine, dei test della personalità che servono per determinare il grado di pericolosità e le attitudini di ognuno. Ma lui è uno psicologo, e per giunta ha contribuito personalmente a redigere alcuni di quei test, per cui rispondere in modo da sembrare un individuo mite e del tutto convenzionale è per lui un gioco da ragazzi. Riesce dunque a ottenere un lavoro da giardiniere a San Luis Obispo, una prigione di minima sicurezza, ed è proprio da lì che nello stesso anno evade calandosi dal muro di cinta: ad attenderlo c’è un furgone guidato da un membro del Weather Underground Organization (WUO), o Weathermen, un gruppo di militanti di sinistra attivi negli anni ‘60 e ’70 pagati dalla Confraternita (Brotherhood of Eternal Love) per aiutarlo nella fuga.
A questo punto, è evidente che Leary deve lasciare gli Stati Uniti, ma per dove? La scelta ricade sull’Algeria, sia perché il paese nordafricano non ha un trattato di estradizione in vigore con gli USA, sia perché in quel periodo è noto per offrire asilo politico a membri di vari movimenti di liberazione. In Algeria è attiva una costola del Black Panther Party (BPP), il partito di estrema sinistra americano, ed è proprio al loro leader “in esilio”, Eldridge Cleaver, che Tim e la moglie Rosemary intendono chiedere protezione. Leary, infatti, è schierato politicamente a sinistra e forse crede che si troverà in sintonia con Cleaver. Si sbaglia. Leary è interessato a portare avanti una rivoluzione interiore, più che politica, mentre Cleaver crede che “la causa” richieda una devozione quasi monastica e disapprova apertamente l’uso di LSD e lo stile di vita troppo mondano dei Leary, che non fanno altro che attirare la presenza di hippy interessati a “sballarsi”. Forse teme anche di compromettere i suoi rapporti con le autorità algerine in un momento in cui la rete di controspionaggio americana sta seminando il dissenso nel BPP.
Quando Cleaver confina i Leary nelle loro stanze per alcuni giorni, più per dimostrargli chi comanda che per altro, lo scontro diventa pubblico. È il 1971, e anziché insistere per ottenere asilo politico dall'Algeria, la coppia crede che sia tempo di cambiare aria.
Il problema più grosso è che man mano che la latitanza prosegue, le finanze della coppia si assottigliano. I Leary hanno contato a lungo su finanziamenti da parte di parenti e amici, ma la loro casa sarà espropriata e venduta per pagare le spese legali e il resto dei loro averi non gli ha fruttato granché; sperano quindi in un anticipo sul libro in preparazione, che narra la sua rocambolesca evasione dal carcere (“Fuga”, 1974), ma questo tarda ad arrivare.
Riescono comunque a procurarsi dei visti per uscire dal paese da un agente corrotto della CIA. Leary ha l’opportunità di partecipare a un convegno di psicologia in Danimarca e potrebbe fermarsi lì definitivamente, ma a metà strada cambia idea e si reca in Svizzera su invito di Michel Hauchard, un trafficante d’armi con diversi agganci nell’aria mediorientale che gli promette ospitalità e assistenza materiale e legale. Per un po’ i Leary sembrano perfino svanire nel nulla e si dice che siano ostaggio della CIA.
Ovviamente Hauchard non li aiuta per altruismo, ma perché ha fiutato l’affare: il libro sulla fuga è destinato a essere un successo clamoroso, a dispetto del fatto che Leary dovrà omettere o variare un po’ nomi e fatti per proteggere tutti coloro che lo hanno aiutato. Hauchard ottiene quindi un’opzione su metà dei diritti sull’opera e persino una percentuale su altre opere future.
Se Leary avesse avuto ancora interesse per la vita accademica e avesse avuto intenzione di cambiare stile di vita, sparendo nell’oblio come un qualunque signor nessuno, allora la Svizzera, con la sua lunga tradizione di paese libertario e tollerante, avrebbe potuto essere il luogo ideale dove rifarsi una vita, ma così non è.
Inoltre, al probabile scopo di forzare la mano agli svizzeri, negli Stati Uniti la stampa ha montato un caso contro la Confraternita, rea di averlo aiutato a fuggire e descritta ora come una setta votata al sesso e alla droga, ora come un’organizzazione mafiosa di cui lui è il “padrino”. Ormai, per l’opinione pubblica mondiale Leary non solo è invischiato la Confraternita, ma anche con i Weathermen e il BPP, i peggiori nemici dell’amministrazione Nixon: non si tratta più solo di droga, ma anche di traffico d’armi e di guerra e questo mette la Svizzera in grave imbarazzo. E così, la Svizzera nega l’estradizione per Tim ma lo incarcera per un mese, mentre la concede per Rosemary; il loro avvocato presenta un ricorso e riesce a far revocare l’ordine mentre la donna, disperata, cerca ovunque la grossa somma di denaro che serve per pagare la cauzione del marito.
Quando infine Leary viene rilasciato, non solo non c’è la benché minima possibilità che gli offrano lo status di rifugiato politico, ma gli chiedono formalmente di lasciare il paese. E mentre pianifica le sue prossime mosse arriva, dolorosa e improvvisa, la separazione da sua moglie. È comprensibile che Rosemary dovesse essere provata dalla precarietà della situazione e dall’incertezza riguardo il futuro, ma probabilmente a dare il colpo di grazia al loro matrimonio fu il fatto che, per quanto avessero provato, non erano riusciti a concepire un figlio. Rosemary lascia la Svizzera in segreto e riuscirà a far perdere le proprie tracce per oltre vent’anni (ovvero finché sarà ancora ricercata per violazione della libertà vigilata), ricomparendo a Cape Cod solo nei primi anni ’90: nel frattempo girerà il mondo in lungo e in largo, finendo (ironicamente) per restare nel mirino della legge più a lungo del suo ex… ma anche questa è un’altra storia.
Di lì a poco, tramite Hauchard, Leary fa la conoscenza della jetsetter svizzero-inglese Joanna Harcourt-Smith, di trent’anni più giovane di lui: è un colpo di fulmine, ed è con Joanna che alla fine Leary parte per quella che sarà la sua ultima meta, l’Afghanistan, dove pare che la famiglia reale simpatizzi per lui.
A aiutarli stavolta è Dennis Martino, un membro della Confraternita che a loro insaputa sta collaborando con il Bureau of Narcotics and Dangerous drugs (oggi lo conoscete come DEA) nella speranza di evitare un’incriminazione per traffico di droga e violazione della libertà vigilata. A questo punto le cose si fanno confuse, anche a causa del fatto che pochi anni dopo Martino morirà in circostanze misteriose senza poter mai fornire la sua versione dei fatti.
Qui comincia e si sviluppa la parte avventurosa della vicenda umana di Leary, quello che stupisce è il come Leary sia riuscito ad auto boicottarsi in tutte le occasioni viste finora perdendo tante possibilità di ottenere la salvezza.
RispondiEliminaDirei che capita più o meno a tutti, no? Quante volte in retrospettiva ci diciamo che avremmo dovuto fare questo o quell’altro? Per quanto ci sforziamo, a volte le nostre scelte si dimostrano non le migliori e neppure le più razionali che avremmo potuto prendere. Qualcuno a questo proposito tira in ballo l’azione del fato… e magari hanno pure ragione. Forse c’è una sorta di “volontà universale” che ci dirige e (come nel caso di Leary) non è detto che sia sempre un male.
EliminaUna vita molto più che avventurosa.
RispondiEliminaGià, tale da far sembrare la mia, di vita, terribilmente noiosa e convenzionale. ;)
Elimina"i doganieri trovano della marijuana addosso a sua figlia Susan. Leary viene incriminato e condannato a 30 anni di prigione"
RispondiEliminaSapevo già, ma leggere questa cosa è ogni volta uno shock...
Cioè... TRENT'ANNI DI GALERA PER UN PAIO DI SPINELLI!!!!!
Mi chiedo, ma anche chi è "contro la droga", non pensa che TRENT'ANNI per della marijuana siano LEGGERMENTE sproporzionati?
Lo so, parliamo di molti anni fa, eppure il proibizionismo è ancora vivo e vegeto, ehimé.
Come sempre, molto interessanti i tuoi articoli e sì, rassegnamoci: le nostre vite sono banali! :-)))
Un caro saluto.
C'è gente che ammazza i propri familiari con cinquanta coltellate e quando viene beccato si fa al massimo dieci anni di galera, scrivendo nel frattempo libri e partecipando a programmi televisivi di approfondimento. Trent'anni di galera per una canna mi sembrano decisamente sproporzionati... ma anche 30 giorni o 30 minuti dietro le sbarre sono tanti quando si parla di uso personale.
EliminaL'America potrà sembrarci anche l'Eldorado del mondo (almeno è quello che pensavamo da bambini) ma, se non per turismo, non ci vivrei nemmeno un minuto. Ti basta prendere una multa e la tua vita è finita...