domenica 25 ottobre 2020

Ciao Patata

E così anche tu te ne sei andata, Pierina. E ci hai lasciati soli. E ora siamo veramente soli, soli in una casa che non è mai stata così vuota. Era rimasta la Dori quando se ne è andato Elvis, ed eri rimasta tu quando se ne è andata la Dori. Oggi non è rimasto nessuno a pierottolare per casa. Non è rimasto nulla se non le tue ciotole ormai vuote, nulla se non la tua lettiera ormai pulita, nulla se non i tuoi tanti sottopiera che non saranno più tali, ormai. Resta di te una piccola urna colma di ceneri, ma soprattutto resta il grande amore di cui queste quattro mura sono pregne, e che preservano il ricordo di tanti momenti passati insieme, dei tanti piccoli riti ai quali ci avevi abituati. Le levatacce della mattina alle cinque, quando reclamavi il tuo cibino fresco, perché quello nella ciotola era ormai tutto secco; le corse nel corridoio per andare svegliare la tua mamma, quando la colazione era in tavola anche per lei; le lunghe ore trascorse sul divano tutti assieme, o a tavola, con te che camminavi avanti e indietro sulla tovaglia. E i grattini della buonanotte, i grattini del buongiorno e del buon pomeriggio. 
Eri entrata nelle nostre vite in parte per colmare il vuoto lasciato da Elvis, ma anche e soprattutto per fare compagnia alla Dori, che era rimasta senza nessuno da bullare. E tu ti rassegnasti a venire bullata, perché eri buona, perché in fondo non era così tremendo venire tormentata da una sorella che era piccoletta come te, e anche perché tutto sommato era meglio una scocciatrice nei paraggi di quella vita a cui sembrava tu fossi destinata. 
Ti siamo venuti a prendere a casa di quella tizia che ti aveva raccolto per strada, abbandonata o smarrita non lo abbiamo mai saputo. Lei non poteva tenerti in quel piccolo monolocale dominato da un cane grande grande, che ti costringeva a passare giorni e notti nascosta in un pertugio. A casa nostra non c’erano tutti quei pericoli, non ce n’erano proprio, ma tu ancora non lo sapevi e per i primi tempi avevi ritenuto più sicuro trascorrere prudentemente le tue ore nascosta sotto il fancoil, che dio solo sa come facevi a starci. Uscivi solo nel cuore della notte, azzardando coraggiosamente un’incursione alla ciotola e un’altra alla lettiera, prima di rientrare nella tua piccola trincea. “Pierina Paura” ti chiamavamo, citando un vecchio film di James Cameron. 
Poco alla volta però trovasti il coraggio, quel coraggio che non davi a vedere in quel tempo ma che avevi e hai dimostrato di avere fino all’ultimo, fino a quell’ultimo maledetto giorno quando lo tirasti fuori tutto, quando dimostrarti di essere più coraggiosa di quanto non lo potranno mai essere il tuo papà e la tua mamma messi insieme, povero amore. 

Non sei mai stata bene. Quella disabilità ai gambini didietro che ti ha costretto a procedere goffamente per tutta la vita. Non sei mai riuscita a fare le cose che facevano i mici cosiddetti normali ma ci provavi lo stesso, perché avevi un’anima da gatto. Ricordi quando cercavi di arrampicarti sulla ringhiera del terrazzo, o saltavi sul vecchio tavolo della cucina, un po’ troppo alto per te? Quante tombolate! 
E quante volte tombolavi anche per fare una cosa semplice come la tua toiletta al didietro! E quella dannata rinotracheite, divenuta cronica probabilmente perché mal curata prima che ti adottassimo, ti ha costretto a lottare per la vita ogni santo giorno. Non avresti mai potuto sopravvivere in natura, Pierina: il tuo continuo grufolare non sarebbe stato un gran alleato se avessi dovuto procacciarti il cibo cacciando. A volte era talmente forte che temevano ti potesse succedere qualcosa di brutto. Ne abbiamo fatti di aerosol, tesoro! Ricordi quelle interminabili nebulizzazioni nel corso delle quali protestavi fino allo sfinimento? Non servivano a nulla. Servivano solo a tormentarti e ad aggiungere stress allo stress. Ci siamo entrambi rassegnati a non poterti curare. Eri così sfortunata, ci facevi tanta tenerezza. Impossibile non volerti bene. Ci eravamo poi abituati ai tuoi gorgoglii notturni, o a quei versetti quasi satanici con i quali ci tenevi sempre in ansia, sempre all’erta. Sembrava quasi incredibile che da un corpicino così piccolo potessero uscire dei versi così acuti. Il nostro “pierodattilo”, dicevamo prendendoti simpaticamente un po’ in giro. 

Con la Dori alla fine eri riuscita a creare la tua piccola alleanza, una piccola associazione a delinquere di stampo micioso! Lei ti aveva insegnato a spargere la sabbia in giro per casa, tu in cambio le avevi mostrato come aprire la zanzariera e uscire di casa. Perché tu eri intelligente. Cervellino fino! È stato, il vostro, il rapporto tipico che può esserci tra due sorelle, con le piccole inevitabili scaramucce dovute principalmente al fatto che lei, che viveva con noi da più tempo, ti faceva pesare l’anzianità di servizio. Tu, che sei sempre stata un angelo, ti facevi bastare ciò che tua sorella ti concedeva, inizialmente poco, in seguito sempre un pochino di più. Un giorno poi il suo piccolo cuoricino ha ceduto e sei rimasta sola.
Hai passato con noi i momenti difficili del trasloco, compresi quei due di mesi in cui eravamo andati affitto in quel minuscolo appartamento che fungeva da appoggio temporaneo. Tu non lo sapevi che era solo temporaneo e ti sei fatta assalire dalla depressione. Dov’era finita la tua bella casa grande e il tuo giardino? Fu lì che ti ammalasti alla tiroide, povera piccola. Il tuo papà e la tua mamma se ne accorsero e da quel giorno iniziò la tua lunga lotta contro il destino. In qualche modo ti rimettesti in sesto e, grazie a all’agente pierinizzante che ti prescrisse il tuo simpaticissimo veterinario, quella prima battaglia era stata vinta. 

In questi ultimi due anni si è realizzato il sogno che mai ci aspettavamo potesse avversarsi. Tra noi scoppiò un amore incredibile, un amore che tu avevi sempre trattenuto, inizialmente perché avevi paura, una paura forse legata ai tuoi primi anni di vita, anni nei quali era evidente che avevi perso la fiducia nel genere umano. I primi tempi, ti ricordi, sobbalzavi ogni volta che allungavamo una mano per una carezza. Ma poi hai capito. Certo che avevi capito, perché eri intelligente, avevi il cervellino fino. E ce lo hai dimostrato, ricambiando il nostro amore con tutto l’amore che potevi. E più te ne davamo, più ne avevi da offrire. Sembrava infinito. 
Non hai mai voluto un secondo micio in casa a tenerti compagnia. Tu preferivi la tranquillità di una casa tutta per te, con tutti gli angoli a tua disposizione, tutto in assoluta esclusiva. Non c’è un angolo in questa casa che non abbia ospitato il tuo riposo. Ogni cuscino diventava un sottopiera, ogni sedia diventava un sottopiera, qualunque oggetto, anche il più scomodo come poteva essere una scarpa o un portafrutta, diventava un sottopiera. Il mondo intero, ci dicevamo, era un unico grande sottopiera. 
E noi a nostra volta avevamo capito che era venuta a realizzarsi una simbiosi. Tu avevi solo noi e noi avevamo solo te. Quando eravamo fuori casa ci dicevamo sempre che dovevamo tornare al più presto dalla Pierina, perché tu eri sola e ci stavi aspettando, ed eri sempre dietro la porta, e se invece eri a ronfare sul tuo soppalco, ti precipitavi giù per le scale per darci il bentornato, gridando e brontolando ma con la gioia dentro agli occhi, quei grandi occhi che ora si sono chiusi e che non rivedremo più se non nelle foto. 

Te ne abbiamo scattate tante di foto negli ultimi mesi, quando mamma e papà facevamo smart working alternato, in modo da non lasciarti ma sola a casa. Ecco, tra tutti gli aspetti negativi che il lockdown ci ha portato, una cosa buona c’è stata: siamo stati assieme sempre, acca ventiquattro, sette giorni su sette. A te non importava poi molto se papà e mamma stavano tutto il giorno attaccati a un computer. Per te era abbastanza startene appallottolata lì accanto, con la certezza che una mano o l’altra si sarebbe allungata verso di te nel giro di un attimo, continuamente. Amavi partecipare anche alle call del tuo papà, ricordi? Avevi sempre qualcosa da dire e passavi di continuo davanti alla webcam, così che i colleghi del papà, anche quelli dall’altra parte del mondo, avrebbero saputo che in quella casa tutto ruotava attorno a una micia gridona. Sì, il lockdown non è stato male finché tu eri lì con noi. Non oso immaginare un nuovo lockdown, se dovesse capitare domani e ci costringesse tra queste mura dalle quali oggi vorremmo solo fuggire, per alleggerire quell’enorme peso che abbiamo sul cuore, che ci schiaccia senza pietà, come tu schiacciavi la tua mamma nelle sere più fredde sul divano, e il papà lì a fianco che osservava con un pizzico di gelosia. 

Ma tu eri una micia democratica: te ne accorgevi e venivi a consolarmi, buttavi il testino verso di me e te lo facevi grattinare, e io lo prendevo tutto nel palmo della mia mano, che quella era la posizione che più amavi, quella con il testino affondato ora nella mano, ora nel braccio, quasi come se ancora sentissi il bisogno di un rifugio sicuro perché là fuori il mondo ti spaventava, e tu eri tranquilla e serena solo nel contatto fisico con i tuoi genitori, che forse non saranno stati biologici, ma era come se lo fossero. E io mi divertivo a palparti il culino, così minuscolo che ne avevi il copyright. E tu ti scocciavi perché sarà stato pure un culino, ma era un culino fiero di esserlo, nonostante non avresti mai trovato la tua misura se ci fossero stati negozi di abbigliamento per gatti. A te sarebbe servita la misura uno. Si dice che le misure ideali femminili siano 90-60-90… io credo siano invece 20-60-1. Piccolo ma pusso! Superpusso! Quando sganciavi le tue bombe atomiche, ah quelle erano mortali! Tra l’altro non avevo mai sentito un gatto che faceva le scorregge rumorose… eh sì, tu ne eri capace. Oggi quelle superpusse sono solo un ricordo, così come sono un ricordo le tue grida quando ti accorgevi che il cibino era ormai secco o che l’acquetta non era più fresca. 

Quel tumore al fegato che ti è stato diagnosticato a maggio non ti ha perdonato. Abbiamo cercato in tutti i modi di combattere anche quella battaglia, lo abbiamo fatto assieme, con una grande forza di volontà. Non ci siamo rassegnati quando il veterinario, già a giugno, ci aveva suggerito di addormentarti. Forse siamo stati egoisti, ma ci piace pensare che grazie a quelle cure omeopatiche ti abbiamo dato una possibilità in più. Se non altro hai trascorso con noi altri quattro mesi, quasi cinque, che poi sono stati i mesi più caldi, quelli che tu amavi di più. Eh, perché anche nelle giornate più torride tu crogiolavi di felicità, e cercavi i punti della casa più roventi, perché altrove forse, dove il tuo papà schiattava di caldo, tu sentivi ancora quel po’ di frizzantino che ti disturbava. Sapevamo che sarebbe arrivato il momento del distacco, che stavamo semplicemente rimandando l’inevitabile. Non ci divertivamo a pierinizzarti mattina e sera con tutte quelle medicine, né ci divertivamo a farti i flebini sottopelle… ma tu eri buona e accettavi tutto con grande coraggio. Ne avessi io un briciolo del tuo coraggio quando devo affrontare le difficoltà della vita! 

Non è stato accanimento, volevamo solo lasciare a te la decisione. E tu mercoledì scorso quella decisione l’hai presa. Forse l’avevi presa già da qualche ora, o da qualche giorno, ma noi non ce ne siamo accorti, o forse ci stavamo solo illudendo di non essere capaci di interpretare correttamente i tuoi segnali. Ma quei segnali erano chiari. Ci stavi salutando, cercavi gli ultimi grattini, gli ultimi baci sul testino… Gli ultimi. Almeno fino al giorno in cui ci ritroveremo tutti là sul ponte dell’arcobaleno, dove non ci sono più malattie, dove non servono medicine, là dove non ci sono più disabilità e dove potrai esaltare l’atletismo che non hai potuto esaltare qui; là dove il cibino è sempre fresco e dove il sole è sempre caldo. Sei già là vero, Pierina? Ci stai guardano da lassù? Ti sei ricordata delle raccomandazioni della mamma, che ti diceva che nei posti nuovi bisogna entrare innanzitutto chiedendo permesso, e poi presentandosi? Sì che te lo sei ricordata, ma non ce n’era bisogno, Pierina. Là c’erano già Elvis e la Dori che ti aspettavano e tu adesso sei con loro. Non sei sola, Piera. Non sarai mai sola. Ti amiamo così tanto. Ci vogliamo tutti bene e ci vorremmo per sempre tutti bene. Fa’ la brava, mi raccomando.
Mamma e papà.


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