venerdì 30 settembre 2022

The Grudge - 1, 2 & 3

Uscito il 22 ottobre 2004 in 3.348 sale americane, The Grudge ha generato solo nel primo fine settimana un incasso di oltre 39 milioni di dollari. Vi sembrano tanti? Vi sembreranno ancora di più se pensate che la Sony Pictures ne ha sborsati solo 10 per la produzione. Ma il bello arriva la settimana successiva, con un incasso al botteghino di altri 21 milioni, incasso che ha permesso a The Grudge di spazzare via il precedente record, relativo ai soli horror, di Halloween. 
Oggi quella particolare classifica la conduce, seppur di poco, “Saw 3D” (Kevin Greutert, 2010), ma secondo questo sito, al netto degli aggiustamenti calcolati sull’inflazione, il record di The Grudge resiste ancora oggi. 
Cosa ha permesso a un remake, e per giunta al remake di un film proveniente da un paese geograficamente e culturalmente agli antipodi, di realizzare negli Stati Uniti un risultato di tale rilievo? È quello che cercheremo di capire oggi. 
Qualche giorno fa dicevamo, a proposito di Shimizu, che “il suo stile ben si adattava ai canoni di orrore hollywoodiani, anche perché Kayako e Toshio, i personaggi centrali di Ju-on, potevano facilmente venire identificati come zombi, molto più d’appeal in Occidente, piuttosto che come fantasmi”. 
Naturalmente questa è una spiegazione semplicistica che non tiene conto di numerosi elementi. Sarebbe come affermare che i fantasmi appartengano in esclusiva al paese asiatico quando in realtà sappiamo bene che il concetto di fantasma è universale e deriva, con molta probabilità, dal desiderio naturale degli esseri umani di credere che la vita continui in qualche modo dopo la morte. In altre parole, il mistero della vita genera il bisogno di capire il mistero della morte, e questo è l’obiettivo principale di tutte le culture. 
La rappresentazione del fantasma è però stata affrontata in maniera diametralmente diversa dal cinema e dalla narrativa orientale e occidentale. Quest’ultima si rifà alla cultura preromantica, sviluppatasi a partire dagli anni ’70 del Settecento con il romanzo gotico, caratterizzato da atmosfere e trame particolarmente oscure, misteriose e inquietanti, ambientate in castelli diroccati, abbazie isolate e luoghi solitari. In tali ghost stories il fantasma era generalmente una figura intangibile, della quale si percepiva la presenza ma non l’essenza. Non è un caso che i grandi successi cinematografici di genere (a bruciapelo mi vengono in mente “Amityville Horror” di Stuart Rosenberg, “Poltergeist” di Tobe Hooper, e per estensione anche “Alien” di Ridley Scott) provenienti dall’occidente abbiano quasi sempre rispettato questo canone. 
Viceversa, nel cinema (e nel teatro, soprattutto kabuki) orientale classico il fantasma è tangibile al punto dall’essere scambiato per una persona reale, fino all’inevitabile rivelazione finale (ancora a bruciapelo, mi vengono in mente “Kuroneko” di Kaneto Shindō e “Nang Nak” di Nonzee Nimibutr). 

È solo in tempi più recenti che le due diverse visioni hanno iniziato ad amalgamarsi, producendo a Occidente pellicole come “The Others” di Alejandro Amenábar e a Oriente pellicole come “Sweet Home” di Kiyoshi Kurosawa. Quest’ultimo, che vede un regista di documentari e il suo team alle prese con i pericoli di una casa infestata, è palesemente un parente stretto del già citato “Poltergeist” di Tobe Hooper
Anche il J-horror per eccellenza, “Ringu” di Hideo Nakata, è un'opera che strizza l’occhio all’Occidente: il regista Nakata Hideo chiama i classici occidentali come “Suspense” di Jack Clayton, “Gli invasati” di Robert Wise e il già citato “Amityville Horror” di Rosenberg come ispirazione. Ma soprattutto, la trama di “Ringu” ricorda il film horror canadese “Changeling” di Peter Medak, dove un ragazzo storpio e malaticcio, assassinato da suo padre per avidità, ritorna come un fantasma e infesta una vecchia villa. Proprio come Sadako, il cadavere del ragazzo viene ritrovato in un vecchio pozzo dimenticato sul quale è stata costruita una casa. Per non parlare poi del motivo del televisore come portale fantasma, già visto in “Videodrome” di David Cronenberg e nel solito “Poltergeist” di Hooper. La trama di “Ringu” utilizza la struttura, tutta occidentale, di un’indagine, nel corso della quale i protagonisti, giunti alla consapevolezza dell'esistenza di uno spettro, iniziano a raccogliere indizi fino a svelare, in un accorato finale, le sue motivazioni. 
Nelle storie e nei film di fantasmi giapponesi classici, al contrario, le ragioni dell'infestazione sono note fin dall'inizio, perlomeno a noi spettatori. Nel già citato “Kuroneko” di Kaneto Shindō, per esempio, già nella prima scena assistiamo all’assassinio di due donne da parte di un gruppo di soldati, e quando appare un gatto nero che ne lecca i corpi già abbiamo in buona parte intuito gli sviluppi successivi. 

Le opere J-horror degli anni '90 seguono quindi un canone consolidato di elementi stilistici, che è sempre più tipico di un cinema horror ormai globalizzato. Come spiega Christina Klein nel suo “American Horror Film: The Genre at the Turn of the Millennium" (2014), a causa della loro costruzione stereotipata e della loro derivazione da altri film, i J-horror non richiedono agli spettatori una profonda familiarità con una cultura o una tradizione cinematografica straniera, ma piuttosto una padronanza più facilmente acquisita di un insieme ricorrente di convenzioni. 
Elementi stilistici locali, come quelli dei fantasmi femminili giapponesi, assumono così forme in gran parte già note al pubblico dell'orrore globale ed ecco perché, come è stato il caso di Sadako, le sue potenzialità sono state facilmente individuate dai produttori statunitensi. A un pubblico occidentale, Sadako era forse poco familiare come antagonista, ma allo stesso tempo l'ambientazione, la trama e molte delle caratteristiche stilistiche del film offrivano spunti sufficienti per consentire agli spettatori di riconoscere il familiare all'interno dello straniero. 

Occasione che arrivò quasi subito quando Sam Raimi acquistò i diritti per un remake occidentale del primo Ju-On cinematografico, da far dirigere allo stesso Shimizu. Il film, intitolato The Grudge, segue fedelmente gli eventi dell’originale, è girato nello stesso set delle versioni precedenti, e con gli stessi interpreti a vestire i panni dei due spiriti malvagi; la differenza sta nei due protagonisti occidentali, l’elegante Sarah Michelle Gellar (star della serie Buffy l’Ammazzavampiri) e l’affermato Jason Behr (reduce da Roswell). 
Come in Ju-On, la versione statunitense si concentra su una maledizione che si è attaccata a una casa dopo essere stata creata dalla rabbia di una famiglia deceduta. Gli effetti della maledizione sono virali: essa colpisce tutti coloro che ne entrano in contatto, persiste nel tempo e diventa sempre più forte man mano che reclama più vittime. Addirittura, come vedremo, arriverà ad abbandonare le confortevoli location giapponesi e si metterà a inseguire le sue vittime fin oltreoceano. Lo sbarco a Hollywood, ma con la storia ambientata a Tokyo, ha portato piccole trasformazioni, nella necessità di realizzare un prodotto più commerciale e in grado di far maggiore presa su una platea occidentale. Ne è un esempio il traumatizzante prologo, nel quale assistiamo al suicidio di un professore universitario (Bill Pullman) che si lascia cadere da un terrazzo davanti agli occhi della propria moglie. 
Ma la ricerca forzata dei cambiamenti, a mio parere, alla lunga si rivelerà un fallimento. Al di là dell’occidentalizzazione dei protagonisti, che riconosciamo nei volti di Sarah Michelle Gellar e Jason Behr, risulta quantomai discutibile la scelta di nascondere quasi completamente l’origine giapponese della storia, concedendo solo un breve quanto timido accenno agli yūrei (i fantasmi vendicativi della tradizione) che, evidentemente, sono concetti del tutto estranei all’Occidente. 
E così, tra passaggi ricalcati pari pari, fin nelle inquadrature, e concessioni palesi a uno spettacolo più effettistico, il The Grudge americano - pur possedendo una manciata di momenti discretamente riusciti - perde il confronto con la fonte primaria, risultandone un duplicato smorto e privo di personalità. 

Nonostante il regista avesse ormai trattato la storia di Kayako e Toshio per ben cinque volte, fu ancora lui a dirigere, nel 2006, il secondo episodio occidentale della saga. Nuovamente prodotto da Sam Raimi, il progetto di The Grudge 2 vede la luce prima ancora che The Grudge 1 esca nelle sale, chiaro sintomo dell’enorme fiducia che Sony Pictures stava riponendo nel franchise. 
Interpretato dalle attrici Amber Tamblyn e Arielle Kebbel (la Gellar viene contattata per un semplice cameo, per rendere più esplicito il collegamento con il film precedente), The Grudge 2 ha inizialmente l’obiettivo di pescare ancora una volta a piene mani dal suo equivalente giapponese, ma Shimizu questa volta si impunta: non vuole assolutamente rifare un film identico nei minimi dettagli, e se proprio vogliono che sia lui a dirigerlo, pone come condizione che, pur senza rivoluzioni, vi sia un’evoluzione, una nuova trama e magari anche dei personaggi originali. 
La produzione glielo concede ma, a conti fatti, ciò gli si ritorcerà contro. Se avete visto il film, saprete certamente che la vera novità di The Grudge 2 è che vengono delineate le origini della nostra spettrale protagonista. Di questo aspetto Takashi Shimizu si dice non fosse molto contento: i film originali avevano mantenuto intenzionalmente vago il passato della sua protagonista e Shimizu desiderava che così fosse anche per i remake americani. Tuttavia, le insistenze della Sony Pictures lo costrinsero a fare un passo indietro e a introdurre il personaggio della madre di Kayako. 
Ciò nonostante, in un’intervista rilasciata a Sci Fi Wire il regista non rese esplicito il suo disappunto ma, anzi, ne parve piuttosto soddisfatto: "C'è un segreto sulla vita d'infanzia di Kayako che penso soddisferà il pubblico” dice Shimizu, “e il suo rancore non si fermerà mai“. 
C’era anche la proposta di inventarsi per Kayako una sorella gemella, ma su quel punto Shimizu oppose un veemente rifiuto. L’idea della sorella si sarebbe in seguito realizzata in The Grudge 3 (2009), quando ormai Shimizu aveva ceduto ad altri il suo ruolo. 
Ma torniamo al film: Kayako trascorre la sua infanzia con la madre, una Itako che esorcizza gli spiriti maligni da persone possedute usando Kayako come "esca" (gli spiriti sono attratti dai bambini in quanto anime pure) e depositando le entità dentro di lei. Ciò segna la bambina per il resto della sua vita, rendendola il bersaglio di pettegolezzi e crudeltà. Ai tempi dell'università Kayako incontra Kobayashi, del quale si innamora profondamente pur senza mai dichiararsi. 
Anni dopo, Kayako sposa Takeo Saeki e insieme hanno un figlio di nome Toshio. Quando Kayako ritrova un Kobayashi adulto, che nel frattempo è diventato guarda caso l'insegnante di suo figlio, si innamora nuovamente di lui, e decide di scrivere dei suoi sentimenti in un diario. Il giorno che Takeo scova il diario della moglie, gli parte l’embolo e il resto è storia nota. 

Seppur privo di segmenti ben definiti, The Grudge 2 è ancora una volta irrispettoso della timeline, offrendo allo spettatore tre storie indipendenti che troveranno un punto d’incontro nel finale. 
Aubrey si reca a Tokyo alla ricerca della sorella Karen, ricoverata in ospedale in seguito agli avvenimenti del primo film. In difficoltà con la lingua, Aubrey viene soccorsa da un giornalista cinese, Eason, che precedentemente aveva salvato la sorella dall'incendio della casa. Quest’ultima intanto è fuggita dalla stanza dove è ricoverata e, incalzata dal fantasma di Kayako, vola giù dal tetto dell’ospedale spiaccicandosi proprio davanti agli occhi di Aubrey e del suo nuovo amico. Parte l’indagine dei due investigatori dilettanti che, come prima cosa, si avventurano della casa dei Saeki per recuperare il vecchio diario di Kayako. Grazie a un amico di Eason riescono a rintracciare la madre di Kayako, che vive in totale solitudine in un vecchio villaggio rurale. Mentre sta spiegando alla sua giovane ospite che la maledizione è irreversibile, l’anziana signora si rende conto che Aubrey ha portato Kayako con sé. 
Nel successivo plot ritroviamo intatto l’episodio delle tre studentesse che si introducono di nascosto nella casa dei Saeki a Nerima, presente nel primo Ju-On cinematografico. Allison, Vanessa e Miyuki visitano la casa per sfidare le voci che la vogliono infestata dai fantasmi. Queste ultime giocano un cattivo scherzo ad Allison, che finisce nelle grinfie di Kayako. Vanessa seguirà la stessa sorte in una cabina telefonica e Miyuki in un Love Hotel dove si era ritirata con il suo ragazzo. 
Il terzo episodio è ambientato in un condominio di Chicago: il piccolo Jake Kimble è incuriosito da una strana presenza nell'edificio, uno sconosciuto incappucciato intravisto nell'appartamento dei vicini che ha la curiosa abitudine di coprire i vetri delle finestre con fogli di giornale. Suo padre Bill e la matrigna Trish sono per qualche motivo sotto l’effetto della maledizione di Kayako: Bill si convince che Trish ha una relazione e il loro confronto è di breve durata. Lo sconosciuto incappucciato si rivelerà essere Allison, incredibilmente viva e in fuga, ma completamente consumata dalla maledizione. Nella sequenza finale, Allison viene raggiunta dallo spettro di Toshio pochi attimi dopo aver spiegato a Jake che la maledizione l’ha seguita oltreoceano. Rimasto solo, Jake raccoglie la felpa di Allison; Kayako ne emerge, emettendo il suo rantolo di morte. 
Purtroppo, al di là della curiosità circa l’infanzia di Kayako e ad alcune nuove idee, in questo The Grudge 2 le scene spaventose sono talmente ripetitive che a conti fatti non fanno altro che trasformarsi in parodie di se stesse. A cosa stava pensando Takashi Shimizu? Evidentemente, dopo una carriera nella quale non aveva fatto praticamente altro che girare all’infinito lo stesso film, aveva deciso che era giunto il momento di dire basta realizzando un film talmente inguardabile dal mettersi al riparo da qualsiasi nuova proposta lavorativa (anche perché ormai, come abbiamo visto, la produzione americana aveva iniziato a mandare tutto in vacca). 

E infatti The Grudge 3, datato 2009 e uscito negli USA direttamente in home video, non è diretto da Shimizu ma da Toby Wilkins, esordiente assoluto ma grande appassionato della saga, al punto dall’aver realizzato, nel 2006, tre cortometraggi di un paio di minuti ciascuno che sarebbero in seguito stati inclusi negli extra del DVD. I tre cortometraggi, “Hotel”, “School” e “House” sono visionabili rispettivamente qui, qui e qui
Al pari di Shimizu, che in questo terzo capitolo appare comunque accreditato come “Excutive producer”, anche Takako Fuji, la storica interprete di Kayako, cede il passo e affida il suo ruolo a un volto nuovo. 
Anche gli addetti al make-up cambiano e ciò è particolarmente evidente osservando i volti dei due spettri: se prima il trucco era sui toni del grigio, particolare che lasciava tra l’altro a intravedere le vene del collo, qui abbiamo uno spesso strato di cerone bianco che rende il tutto molto artificiale. 
Tutto ciò è stato reso necessario dai sostanziosi tagli al budget (solo 5 milioni di dollari contro i 20 del precedente capitolo), che costrinsero gli operatori a lavorare con esordienti assoluti, a eliminare il gatto di Toshio, troppo complesso da gestire, e a spostare il set in Bulgaria. 
La trama riprende gli eventi di The Grudge 2, dove la maledizione aveva raggiunto un complesso di appartamenti di Chicago. Mentre l'edificio decade e i suoi abitanti gradualmente soccombono alla sua furia, ecco che arriva una nuova condomina, una giovane donna giapponese che pare abbia tutta l’intenzione di porre fine alla maledizione. Trattasi di Naoko Kawamata, sorella di Kayako che, a suo dire, conosce il modo di portare a termine la maledizione. Non è esattamente una sorella gemella, come i produttori fantasticavano tre anni prima, ma ci siamo comunque abbastanza vicini. La donna si veste con un classico kimono giapponese e inizia a eseguire un esorcismo sull'edificio usando una bambina come “esca”, proprio come sappiamo fece la madre, ma non riuscirà nel suo intento. Tutto il resto è ancora una volta una insipida collezione di scene già viste, con la stessa Naoko che, rottasi una gamba, finirà per gattonare giù dalle scale come la sorella. 
Il finale è ancora una volta lasciato aperto per creare un aggancio a un eventuale sequel che, grazie al cielo, non è mai stato realizzato. 
Una curiosità: in tanti film, nessun essere umano tenta mai di combattere fisicamente contro Kayako. Tutti rimangono paralizzati dal terrore tranne Jake Kimble, che molto brevemente, all’inizio di The Grudge 3, tenta di resistere a Kayako.




Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di  tale progetto,  esso rappresenta la parte 46 in un totale di 100.
Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte del progetto "Ju-On, speciale rancore" che è iniziato qui lo scorso 7 settembre. Buona lettura! P.S.: Possiamo spegnere la 46° candela...

2 commenti:

  1. In effetti in Giappone c'è questa idea della creatura sovrannaturale che inizialmente sembra una persona in carne e ossa. Peraltro deve essere ben diffusa anche a livello di "urban legend", o almeno posso dire di aver conosciuto in momenti diversi due studenti giapponesi in Inghilterra che sostenevano di aver visto una persona che non poteva essere reale ai tempi della scuola nel loro paese. Uno studente si riferiva a una ragazza che lo salutava da una finestra e poi si sarebbe buttata, sparendo subito dopo mentre cadeva nel vuoto; e una studentessa invece parlava di qualcuno che la seguiva e che sarebbe scomparso quando lei ha trovato il coraggio di girarsi per vedere chi fosse... lasciando da parte il grado di suggestionabilità, e forse di assunzione di sostanze (per delicatezza mi sono ben guardato dal chiederglielo) direi che denota una predisposizione a crederci... Un po' come chi vuol credere ai miracoli dei santi e della madonna dalle nostre parti...

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    1. Le leggende metropolitane rappresentano un motivo a parte, in quanto hanno bene o male tutte la stessa struttura: due persone apparentemente normali interagisce tra loro fino a che uno delle due non si rivela essere qualcos'altro.
      Le storie a cui fai riferimento hanno molte similitudini con quella celeberrima dell'autostoppista fantasma: un ragazzo sta procedendo nottetempo con la sua auto verso casa quando nota una giovane donna nell’atto di fare l’autostop. Ferma l’auto e le offre un passaggio. La ragazza gli racconta che deve ritornare a casa dei genitori e che si era attardata per cause non precisate. Il giovane nota che la ragazza indossa un vestitino leggero e le offre il suo cappotto perché si copra. Lei accetta. Giunti a destinazione il giovane accosta, la ragazza scende e dopo averlo ringraziato, estrae le chiavi dalla tasca ed entra in casa. Più tardi, ripensando allo strano incontro, il giovane si ricorda del cappotto prestato. Si propone di tornare il giorno seguente per recuperarlo. Lo accolgono quelli che presume essere i genitori della ragazza ma, alle sue richieste, questi cadono dalle nuvole. Con grande tristezza e dolore gli riferiscono che la loro unica figlia era morta pochi mesi prima, d’estate, in un incidente stradale, occorso proprio nel punto dove aveva caricato la ragazza. Incredulo, il giovane si reca al cimitero e, sulla tomba della ragazza - la cui foto corrisponde alla donna da lui incontrata la sera prima - trova il suo cappotto.

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