Giungo ancora una volta con imbarazzante ritardo nel presentare una pubblicazione forse tra la più interessanti dell'anno scorso. Ancora una volta è la Dagon Press di Pietro Guarriello la casa editrice a cui dobbiamo rivolgere il nostro sguardo e la nostra gratitudine per aver riesumato e portato in Italia un autore a lungo dimenticato. Dimenticato non è forse nemmeno il termine corretto, visto che sottintenderebbe una precedente conoscenza venuta poi a mancare nel corso della vita. Sconosciuto (o ignoto) forse è più esatto, almeno per me che, sebbene sia da sempre stato attratto dai vari aspetti legati alla cultura di certi paesi poco, come dire, inflazionati, sono cascato letteralmente dal pero quando l'ho sentito nominare per la prima volta l'estate scorsa (o giù di lì). Eppure pare che Jonas Lie sia abbastanza famoso, a giudicare dalle numerose recensioni che mi è capitato di leggere in rete nei mesi immediatamente successivi alla sua uscita italiana. Dal 1870, quando il suo nome venne alla luce con un suo primo romanzo, "Den Fremsynte", Jonas Lie si è affermato come uno dei nomi più noti e apprezzati dal pubblico norvegese (secondo solo a Knut Hamsun, direi, e a Ibsen) e negli ultimi anni i suoi romanzi, trascinati in parte anche dalla diffusione della letteratura norvegese di genere (penso a Jo Nesbø) hanno scalvato i confini nazionali per intraprendere un tour europeo senza precedenti.
Se vogliamo è stato proprio a causa delle polemiche sorte sulla traduzione italiana (di Bernardo Cicchetti) e sulle illustrazioni di "Racconti macabri dei mari del nord" che mi sono convinto a ordinare questo libro (a volte, si sa, i troll cercano di spander merda ma ottengono l'effetto contrario): in quell'occasione la polemica intendeva sul fatto che 1) le illustrazioni si possono trovare liberamente in rete e che 2) tradurre una traduzione non è come tradurre l'originale. Posso dire che delle illustrazioni mi importa fino a un certo punto: se le trovo in rete bene, me le posso guardare, pensare che sono belle e dimenticarmene subito dopo (viceversa se me le ritrovo a corredo di un'antologia acquistano una maggior valenza proprio perché diventano parte dell'esperienza di lettura). Una traduzione di seconda mano può essere oggettivamente un punto debole ma, mi domando, quanto ancora avrei dovuto aspettare "Racconti macabri" se mi fosse dovuto affidare a un madrelingua danese che, colto da un atto di buon cuore, si mettesse al servizio di una piccola casa editrice italiana? Per onestà, da qualche altra parte ho letto che la traduzione dal danese all'inglese sia effettivamente piuttosto approssimativa e, a lettura completata, non stento a crederci: alcune delle storie sembrano effettivamente prive di "qualcosa" e talvolta si interrompono bruscamente lasciando il lettore ad interrogarsi su ciò che si ha letto (ma si potrebbe dire lo stesso di qualunque racconto di Ligotti, giusto per nominarne un autore che nel weird ci sguazza). Ciò non toglie che si ha tra le mani un bel libro di racconti popolari scandinavi che in Italia praticamente mancava.
La maggior parte, se non la totalità, degli esseri soprannaturali che infestano quelle regioni subartiche sono maligni e malefici, "orribili mostri informi, con criniere in fiamme, come si dice che a volte appaiono nei laghetti di montagna, si contorcevano e sguazzavano e afferravano la loro preda nella paludi e negli acquitrini. E intravide ogni genere di creature umanoidi, come quelle che pescatori o marinai incontrano con meraviglia nel mare, e gli abitanti della terraferma vedono davanti ai tumuli degli elfi. E inoltre c'era un sibilare e un interminabile fluttuare e sciamare di esseri, le cui forme erano tuttavia invisibili agli occhi dell'uomo" (Hulderfisken). Addirittura la più semplice foca viene descritta come un essere dotato di un'aggressività senza pari: "La foca si sollevò immediatamente in aria sulla coda, all'altezza dell'albero di una barca, e lo guardò con un espressione così malvagia e feroce negli occhi iniettati di sangue, e mostrando allo stesso tempo i denti ghignanti, che Elia pensò di poter morire di spavento in quello stesso istante" (Il pescatore e il Draug). Tra i tanti esseri più o meno zoomorfi che infestano i racconti di Jonas Lie, non sono da meno le creature evocate, con forse una punticina di razzismo, dagli antichi abitanti di razza finnica delle regioni più settentrionali: "Erano tutte creature dall'aspetto deforme, e tutte si sporsero in avanti e tesero le braccia davanti a loro. [...] Quando spuntò la luna Jo, vide gli scheletri. Le loro facce scintillavano e le loro bocche si spalancavano mostrando denti luccicanti" (Jo di Sjöhölm e il Gan). La parte del leone resta però affidata a una semplicissima favoletta, una storia d'amore e morte che vale da sola il prezzo dell'antologia: "I cormorani di Andvær" narra il sacrificio di un giovinetto per giungere al cuore di una ragazza dai "folti capelli neri come il carbone e un paio di occhi che lanciavano strane occhiate alle persone", una ragazza che, come i cormorani su quell'isolotto inaccessibile di fronte ad Andvær, "non aveva mai visto molto altro per tutta la sua vita".
Molto interessante. Comunque si comprende come alla fin fine l'immaginario "gotico" di leggende e racconti tenda un po' ad assomigliare a quello del resto del mondo. Storie archetipiche che suscitano paure ancestrali, ciascuna cultura utilizzando forme e tradizioni di quella determinata terra.
RispondiEliminaCiò che cambia è principalmente lo scenario che fa da sfondo a queste paure: i freddi mari del nord equivalgono ai castelli infestati della Gran Bretagna, alle foreste dell'Europa centrale e alle assolate distese del sud.
EliminaGrazie. Un piacere leggere una recensione in questo interessantissimo blog, che apprezzo molto e seguo sempre volentieri.
RispondiEliminaGrazie a te per essere passato e per le ottime scelte editoriali!
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