Se siete giunti qui oggi con la speranza (o il timore) di trovarvi di fronte a un nuovo episodio di Orizzonti del reale ne rimarrete immediatamente delusi (o sollevati, a seconda dei punti di vista); ma non preoccupatevi, la serie di post più psichedelica del web tornerà comunque a tormentare le vostre anime prima di quanto possiate immaginare, non avendo ancora esaurita la vena creativa che la tiene in vita da quasi sei anni. Oggi parleremo invece di Oltre il reale che, nonostante la vaga similitudine nel titolo, nulla a che fare con funghi sacri, cristianesimo e sostanze psicotrope. Oltre il reale è un saggio pubblicato dai tipi di Gog Edizioni all'inizio dello scorso anno attraverso il quale un manipolo di appassionati si propone di affrontare cinque tra i più monumentali autori del fantastico del secolo scorso.
Approcciandomi a questo volume i punti di domanda che affollavano la mia testa erano numerosi. Innanzitutto volevo capire capire a quale pubblico quest'opera era rivolta. Sviscerare cinque autori di tale calibro in poco meno di duecento pagine è impresa ardua, a meno che non si stia lavorando su un antologia pensata per le scuole primarie. I nomi dei cinque saggisti coinvolti tuttavia spiazza, perché dubito che qualcuno di essi abbia, nemmeno sotto tortura, mai avuto il desiderio di fare divulgazione popolare (cosa di cui, in questo caso specifico, non si sente affatto il bisogno). La risposta l'ho trovata nell'introduzione del curatore Lorenzo Pennacchi, che così scrive: "Ognuno dei seguenti saggi mette in relazione un autore con un relativo tema chiave nella propria opera. Si tratta dunque di una raccolta dal contenuto eterogeneo, plasmata e presentata formalmente secondo canoni comuni, attraverso una narrazione tecnica, ma non necessariamente specialistica". Chiarissimo, a questo punto: si tratta di un volume rivolto a un pubblico non esattamente di primo pelo. Purtroppo il rischio che possa venire frainteso è alto: da qualche parte, non ricordo dove, ho letto il commento di qualcuno che si mostrava entusiasta nel poter avere finalmente qualcosa da cui iniziare (il commentatore sosteneva tra l'altro di conoscere solo Tolkien, per via dei film, e Lovecraft, per sentito nominare). L'augurio è che chi ha acquistato "Oltre il reale" pensando di acquistare un numero di "Focus" non si sia demoralizzato all'istante.
L’idea che l’uomo non sia il primo – né l’ultimo – degli abitanti del pianeta Terra e la presenza di un sapere antico che sarebbe meglio ignorare, l’esistenza tra noi di antiche creature, sopravvissute all’avvicendarsi delle epoche storiche, e la valorizzazione dell’esperienza onirica come via di accesso a dimensioni altre, cui è impossibile giungere nello stato di veglia, l’idea che dentro la materia si agitino forze spaventose e l’esistenza di Soglie infra-dimensionali che spesso i protagonisti attraversano senza nemmeno accorgersene, penetrando in mondi che seguono regole diverse da quelle consuete. (Andrea Scarabelli, Howard Phillips Lovecraft, argonauta dell’Altrove)
In tutto questo fa eccezione il breve saggio di Andrea Scarabelli su Lovecraft, al quale spetta l'ingrato compito di aprire le danze. Scarabelli parte da molto lontano con una lunga digressione sul Lovecraft fanciullo, supportata da stralci dei suoi primi scritti, attraverso i quali già si intuisce la vena letteraria del nostro, e dalle testimonianza della sua precoce passione per l'astronomia, che sarà la pietra angolare di tutta la sua opera. Lovecraft, come infatti sappiamo, ha "messo nero su bianco gli incubi di una civiltà, cartografando il nostro inconscio collettivo in una narrativa stilisticamente suprema, non più basata su viaggi in continenti inesplorati ma su incursioni nel Grande Spazio esterno". Ampio spazio al Lovecraft adulto, con interessanti spunti circa la sua visione del mondo, della democrazia e delle modernità, e altrettanto ampio spazio alla sua mitologia, con un utilissimo vademecum che aiuta anche il più profano a orientarsi tra le creature dell'immaginario lovecraftiano e i suoi riferimenti pseudo-bibliografici. Non mancano, a testimonianza, le parole di avidi suoi lettori, quali Jorge Luis Borges e Michel Houllebecq.
Il presente lavoro ha l’obiettivo di mostrare la sostanziale differenza che vi è tra le sue opere e quelle degli altri autori di narrativa dell’immaginario, evidenziando come il decadentismo abbia permeato le sue storie, nelle quali si è perfettamente fuso con lo sword and sorcery e il weird, creando in tal modo racconti che risultano tuttora unici nel panorama di speculative fiction mondiale. (Francesco La Manno, Clark Ashton Smith e il decadentismo)
Francesco La Manno perde pochissimo tempo con le note biografiche e ci accompagna in un lucido percorso alla scoperta dei quattro cicli principali di racconti di Clark Ashton Smith, ovvero Hyperborea, Poseidonis, Averoigne e Zothique. Il saggio di La Manno cerca di mettere in luce i riferimenti decadentisti presenti nei quattro cicli, estendendo il significato del termine da quello tradizionale, incentrato più che altro sulla crisi dei valori, sulla decadenza sociale, e offrendocelo nel senso più tangibile di un'umanità in ginocchio a causa di calamità di ogni genere (la stessa Zothique, come infatti sappiamo, non è altro che l’ultimo continente emerso della Terra in un ipotetico futuro dove tutto è ormai morente). "I racconti dell’Autore non si limitano a essere mere narrazioni, ma riescono ad assurgere al rango di poesia, dato che il linguaggio utilizzato è barocco e aulico, e la capacità visionaria che li permea li rende impossibili da eguagliare da parte di qualunque altro scrittore che voglia cimentarsi nello stesso agone". Francesco La Manno offre al lettore uno strumento fondamentale per orientarsi attraverso i mondi di Smith, fino ad ora piuttosto ostici per via di una scarsa attenzione nel suo lavoro da parte dell'editoria italiana (almeno fino a pochi anni fa, quando gran parte degli scritti dell'autore americano sono stati raccolti dal compianto Giuseppe Lippi nel volume "Atlantide e i mondi perduti" di Mondadori).
In questo contributo, verranno fatti emergere questi aspetti dell’uomo Tolkien in riferimento a quella che si può definire la sua visione ecologica, un tema per lui centrale e integrato agli altri elementi del suo pensiero, ma non tenuto in particolare considerazione dalla critica. Lo si farà attraverso il più completo lavoro in merito non (ancora) tradotto in italiano, ovvero Ents, Elves and Eriador. The environmental vision of J. R. R. Tolkien di Matthew Dickerson e Jonathan Evans. (Lorenzo Pennacchi, La visione ecologica di J.R.R. Tolkien)
Affrontare un saggio incentrato su temi ecologici dovrebbe essere la cosa più facile di questo mondo, visto che di riffa o di raffa l'argomento è sempre di attualità. Il problema è che Tolkien, tra i cinque autori presi in esame nel volume "Oltre il reale" è quello con cui personalmente ho meno confidenza. Complice l'eco assordante che ha assunto il Signore degli anelli a fenomeno mediatico negli ultimi anni e dal quale, come è mia abitudine, cerco di tenermi alla larga, Tolkien rappresenta, e continuerà per me a rappresentare, una sorta di anomalia. L'errore è certamente mio, per carità, ma così è la vita. Il breve saggio di Lorenzo Pennacchi si propone di ricostruire la stratificata e complessa visione ecologica di John Ronald Reuel Tolkien attraverso l'analisi del suo pensiero, a partire da un'educazione cattolica, che fu ben presto, come scrive Pennacchi, "contaminata dalla passione per molti altri
apparati mitici, espressi in testi come l’anglosassone Beowulf (da lui tradotto) e il finnico Kalevala (ispirazione diretta per la sua Storia di Kullervo), e quindi associata alla necessità di fornire al proprio paese una mitologia propria, assente in passato". Entità mitiche che hanno profonde valenze ecologiche, come giustamente osserva Pennacchi, rappresentando ora la forza del vento, ora quella delle acque, in un contesto in cui "la creazione e la difesa della natura coincidono col bene e la sua distruzione è opera del male".
In questa sede ci proponiamo di analizzare proprio la tematica del cosiddetto atavismo nell’opera dello scrittore gallese, vale a dire la possibilità che ricompaiano, a distanza di alcune generazioni, caratteristiche degli antenati che erano scomparse nelle successive generazioni. Nei racconti di Machen, lo spettro dell’atavismo è connesso a doppio filo alla questione, centrale nella sua mitopoiesi, del «Piccolo Popolo» (genia leggendaria che l’Autore chiama The Fair Ones) che attraversa l’intera sua opera. (Marco Maculotti, I Fair Ones, l’atavismo e la «regressione protoplasmatica»: la mitopoiesi panica di Arthur Machen)
Alza nettamente l'asticella Marco Maculotti, invitandoci a considerare l'atavismo nell'opera di Arthur Machen, ovvero sul come le creature della sua mitologia siano in realtà residui di una razza ancestrale, ormai involutasi, relegata su un diverso piano di esistenza dalla comparsa dell'uomo moderno. "Una progenie maledetta e dimenticata, figlia della depravazione Satanica e vero e proprio cancro putrescente del nostro pianeta, dove attraverso ogni tipo di singole porte, strisciano ancora oggi fra di noi tutti gli orrori più maligni e spaventosi che erano già vecchi quando l’uomo non era ancora giovane". Il riferimento ai ai Fair Ones e al cosiddetto fenomeno del changeling sono quasi automatici, rappresentando ad oggi il punto d'incontro di quasi tutte le culture, e fanno da premessa a ciò che lo stesso Machen (cfr. "La storia del sigillo nero") definisce regressione protoplasmatica: ovvero quel fenomeno secondo il quale esseri umani, preferibilmente in tenera età, possano regredire ed entrare in contatto col cosiddetto «mondo infero». L'analisi di Maculotti attraversa tutta la produzione artistica dello scrittore gallese, naturalmente con un occhio di riguardo al "Grande Dio Pan" e alle sue suggestioni demoniache a cui il cinema e la letteratura degli ultimi cinquant'anni sono indiscutibilmente debitrici.
I sogni sono così rilevanti in quanto esprimono il desiderio nascosto nel nostro inconscio, un desiderio che deve essere accostato dalla coscienza, di modo che essa possa gettare ponti capaci di comunicare con il mondo delle immagini che emergono dal profondo, un desiderio da raggiungere attraverso la porta stretta del sacrificio delle nostre identificazioni, delle nostre certezze, della nostra persona-maschera. (Roberto Cecchetti, Gustav Meyrink. Un dialogo onirico con il cosmo interiore)
Cos’ha più valore? L’esperienza del sogno o della veglia? Una domanda la cui risposta non è affatto scontata, come sanno perfettamente tutti quegli scrittori del fantastico che da sempre hanno attinto la loro ispirazione da questo e da quell'altro piano dell'esistenza. In Gustav Meyrink, come ci fa notare Roberto Cecchetti nel quinto e più breve capitolo della rassegna, la chiave di volta è proprio il sonno ed il suo mistero. Non potrebbe essere altrimenti e se avete letto "L'angelo della finestra di Occidente", l'ultimo grande romanzo dello scrittore austriaco, certamente sapete che le vicende del protagonista avvengono su piani diversi, simili, se non identici a quelli che noi comunemente indichiamo con i termini sogno e veglia (il protagonista è un discendente del mago elisabettiano John Dee, ma anche, forse, lo spirito reincarnato dello stesso). “Meyrink è lo scrittore dell’intreccio puntiforme e ubiquo di sogno e veglia, è, se volessimo darne una descrizione distillata, quintessenziale, il narratore della scoperta e dell’esperienza della continuità fra sogno e realtà, è lo scrittore-sperimentatore dell’arte di cogliere nel reale le propaggini della mente e di ravvisare negli avvenimenti interiori equivalenti analogici di accadimenti esterni, vivissimi e reali”.
In chiusura dell’opera troviamo un gustoso quanto inaspettato bonus: il saggio “Oltre il reale: la letteratura fantastica tra magia e modernità” di Adriano Monti Buzzetti, che funge da raccordo tra i vari interventi cercando al contempo di trovare la chiusa perfetta. “Nelle epoche in cui il Mito camminava tra gli uomini” – scrive Buzzetti – “ed il Meraviglioso era comunque ammesso come ospite, seppure inusuale e straordinario, tra le eventualità della cronaca, non ci troviamo “oltre il reale” ma piuttosto in un reale aperto a percorsi non convenzionali”. Lo straordinario è un ordinario informale, sembra volerci dire Buzzetti, avvalorando la tesi dei cinque autori affrontati in questo volume. La la nostra esistenza è permeata da elementi che travalicano la razionalità ma che indiscutibilmente ne fanno parte integrante a partire dalle ere più remote, da quando i nostri antenati osservavano i fenomeni naturali non comprendendoli appieno ma accettandoli senza esitazione come compagni di viaggio. Oggi un frammento di quello straordinario è stato assimilato ma incalcolabile è ancora ciò che non lo è. E questo è innegabilmente un bene per la letteratura fantastica che verrà.
Che dire? Ultimamente mi sto riavvicinando alla narrativa lovecraftiana, dei suoi precursori e dei suoi epigoni, in questo senso anche i vari saggi che hai citato mi potrebbero interessare. In particolare quello di Scarabelli.
RispondiEliminaSicuramente potrebbe interessarti, anche se ho le mie ragioni per credere che in questo volume ci sia ben poco che ti sia del tutto ignoto. Resta comunque un'esperienza di lettura che arricchisce, per cui lo consiglio senza remore e in tutta sincerità.
EliminaGrazie di cuore anche per questa recensione, sono contento che il mio saggio abbia suscitato il tuo interesse. A presto caro
RispondiEliminaStai effettivamente monopolizzando l'attenzione del blog, da qualche tempo a questa parte. ^_^
EliminaSono un caso disperato, ma ho provato a leggere "Le montagne della follia" (forse non la lettura migliore per iniziare) e ho mollato a metà perché proprio non mi prendeva.
RispondiEliminaDiscorso diverso per Tolkien, di cui ho letto sia "Il Signore degli Anelli" che "Lo Hobbit".
Gli altri, seppur noti, sono ancora nell'infinito elenco degli autori che con mia somma vergogna devo ancora leggere...
Esattamente il mio contrario: le "Montagne" le ho lette d'un fiato, mentre Tolkien proprio non riesco a oltrepassare il muro delle prime quattro righe.
EliminaSono nella tua stessa condizione. Ottimo rapporto con gli altri autori citati, ma Tolkien proprio non lo digerisco.
RispondiEliminaSonno profondo e istantaneo anche di fronte ai film tratti dai suoi libri...
EliminaDevo dire che il blog è strutturato in maniera semplice
RispondiEliminascritto da persone dal vero interesse .
In breve , da pochi mesi fino ai
14 anni facevo : ospedale , scuola è casa ; non ho avuto mai
un giocattolo o un animale da compagnia ; ricordo che mio padre (R.I.P.)
mi leggeva" Le mille e una notte"
, poi a 5 anni andai a scuola ,
amici facevano compiti assieme
a casa mia ;ma i compagni più
veri erono è sono i libri e la musica ;mi sono innamorato di
H.P.Lovecraft e la cerchia dei
"amici" continuatori diretti .
40 anni di letture , 20 dei quali
di studi approfonditi , grazie a
il mio " mentore" ( amico )
Angelo Cerchi , mi ha guidato in
una ricerca ( che non può aver fine ) non ho figli né moglie , è davvero sono un solitario ( salvo
nel periodo dove con Daniela e Paola si era formato un gruppo
con due dischi all'attivo , i
" Dead Cross Road " sotto la guida di Marco Corbelli/Atrax
Morgue(R.I.P.) . Ho vinto 2
premi Feltrinelli , con racconti
( "Specchio di sangue" e " Il
Vuoto" ) con il pseudonimo :
AiWaz .
Vorrei scrivere un libro poche
copie numerate , ho già gli
agganci , vedrò .
Come posso fare fatte di questo
sito/blog web ?
casellamichele150@gmail.com
Grazie !