venerdì 5 novembre 2021

Making of... La casa blu

Due anni fa, quando uscì il tanto celebrato "Mirror Midnight", ci misi ben tre mesi a pubblicare il "making of" del cortometraggio. Le vicende della vita, forse lo ricorderete, mi costrinsero a mettere in pausa il blog solo poche ore dopo Halloween, con tutte le conseguenze e i ritardi del caso. Quest'anno sorprese non dovrebbero essercene, almeno nell'immediato, e il blog procede il suo naturale cammino fregandosene di ogni superstizione e propone oggi stesso la seconda parte dell'intervista con il regista Luigi Parisi.
L'argomento è ovviamente "La casa blu", il nuovo horror uscito in anteprima, come da tradizione, proprio nella notte di Halloween. Se lo avete perso è questo il momento giusto per recuperarlo (viceversa sarete a rischio spoiler), per cui vi rimando senza indugio alla sua visione. Se invece lo avete già visto ad Halloween sarete senz'altro curiosi di saperne di più, per cui questo è decisamente il posto giusto per dare un'occhiata dietro le quinte della produzione de "La casa blu". 
Da parte mia posso solo dire che, a parte "Mirror Midnight", per il quale ho un evidente conflitto di interessi, ho trovato "La casa blu" il punto più alto della produzione horror di Luigi Parisi, un lavoro che, in estrema sintesi, forse anche grazie a un minutaggio di più ampio respiro, offre allo spettatore quanto di meglio Luigi sia stato capace di realizzare nei suoi lavori precedenti. 
Sfruttando l'indiscutibile fascino di una location che solo per brevi istanti si concede agli occhi degli automobilisti di passaggio, "La casa blu" è un viaggio attraverso le nostre paure più ancestrali, come la solitudine, la perdita e l'abbandono, ma anche un viaggio attraverso quel "wonderland" che noi eterni bambini abbiamo sempre cercato. Potrei provare a definirlo, il nostro, un desiderio congenito di riuscire a spiegare l'inspiegabile, ma sarebbe una semplificazione nemmeno troppo centrata, perché esclude il lato oscuro che spinge i nostri passi. Chi in fondo non ha mai sognato di entrare in una casa blu? Magari ne abbiamo una proprio dietro casa, a cui ammicchiamo ma verso la quale non ci spingiamo perché "non si fa", o perché preferiamo continuare a far finta di essere adulti. Non certo perché abbiamo paura, non certo perché a noi le case blu fanno paura. Oppure sì? Forse dovremmo, perché talvolta qualcuno vi rimane intrappolato.

T.O.M.: Ciao Luigi, e bentornato qui su Obsidian Mirror. Riprendiamo il discorso da dove ci eravamo interrotti la volta scorsa. Non più interni, come in "Happy Birthday", né esterni in familiari periferie romane, come in "Vampiri". Questa volta per le riprese ti sei spostato fino in Calabria. Hai incontrato laggiù maggiori difficoltà oppure l’Italia, da qualsiasi parte la guardi, è sempre uguale? 

L.P.: Domanda interessante. In realtà in Calabria sono stati molto collaborativi prestandosi gratuitamente in ogni circostanza. Colgo l’occasione anzi, per ringraziare il sindaco Giovanni Verduci, l’assessore alla cultura Enza Mallamaci e il prof. Saverio Verduci di Motta S.Giovanni che si sono attivamente prodigati alla realizzazione fattiva delle riprese. Alla guida dell’organizzazione la mia fedele compagna Cecilia e Mimma Monorchio. Come sempre, il budget è stato very-very-low e credo non abbia superato le 600 euro. Mi sono sentito solidamente affiancato da persone che si sono dimostrate gentilissime e appassionate a questo tipo di cinema. Il 18 agosto del 2021, è stata presentata un’anteprima de “La casa Blu” che ha strappato un certo successo di pubblico di tutte le età (giovani, giovanissimi e diversamente giovani). Come sempre, realizzato con una povertà di mezzi e praticamente quasi senza troupe, come al solito, reputo il bilancio di questo piccolo lavoro, soddisfacente.

T.O.M.: Ho letto che attorno a quell’inquietante edificio che hai scelto per il tuo corto (la cosiddetta “casetta blu”), aleggiano delle strane leggende. Di cosa si tratta? Storie di fantasmi? Infestazioni diaboliche? Oppure semplicemente si tratta di un edificio abbandonato totalmente innocuo?

L.P.: Le leggende che gravitano sulla vecchia dimora dalle mura blu cobalto (sita non distante dalla statale 106, località Bocale-Pellaro) sono molteplici e c’è chi giura di aver visto di notte figure umane impresse ai vetri delle finestre. Qualcuno ha parlato di una “signora” che sarebbe apparsa a diversi testimoni ma ovviamente, prove certe non se ne hanno. Confesso che la casa mi ha da sempre attirato avvolta da un’energia inquietante. Poi frequentandola e “conoscendola” da vicino, questa sensazione si è assopita divenendo più “friendly”. Sono sicuro comunque che se mi offrissero un congruo compenso per passarci tutta la notte in completa solitudine e al buio, ci penserei molto prima di accettare. Anche se in realtà potrei usare quel compenso per girare un prossimo cortometraggio (sopravvivendo alla nottata, of course!). 

T.O.M.: Come sei riuscito ad ottenere il permesso di girare in una location talmente fatiscente che, a prima vista, un soffio di vento potrebbe fartela crollare in testa da un momento all’altro?  

L.P.: E’ stata dura! La proprietaria inoltre era un ex-avvocato e all’inizio non si dimostrò del tutto favorevole al fatto che io girassi all’interno poiché, come già accennato, la struttura non era del tutto agibile. Proprio per questo motivo, alcuni ambienti mancanti sono stati ricostruiti in un secondo stabile di proprietà del sig. Memè Infortuna, a parecchi chilometri di distanza dalla famigerata Casa Blu… (precisamente a Motta S. Giovanni). Ma in gran parte, ho cercato di girare il più possibile nella struttura originale, facendo attenzione a dove mettere i piedi per non sprofondare nel piano di sotto e diventare inevitabilmente… una nuova leggenda! 

T.O.M.: Passiamo al cast. Come da tradizione sono tutti esordienti, da quanto mi è parso di capire. E tra questi ancora una volta abbiamo una giovanissima, sebbene rispetto ad altri tuoi lavori il suo ruolo rimanga un po’ defilato…

L.P.: Il cast è stato costituito da persone del posto (in realtà, amici) che non hanno mai partecipato neppure a una recita scolastica. Al massimo, hanno fatto la conoscenza di un obiettivo sparandosi qualche selfie col cellulare, nulla più. Quindi, del tutto acerbi sul fronte della recitazione, tabula rasa completa su cosa fosse una macchina da presa. L’ho presa come una sfida. E attraverso la mia esperienza ho cercato di calarli nella parte direttamente sul set, senza alcuna preparazione. Ciò che vince è la spontaneità e non la tecnica. Spero che la storia li abbia accompagnati nell’interpretazione di un ruolo almeno accettabile, non essendo –come detto- dei professionisti. Senza dubbio credo che il loro impegno sia stato meritevole, sono molto contento per Vincenzo e Mari. La bambina, Natalia, è stata utilizzata per un ruolo importante ma il suo personaggio, per forza di cose, doveva rimanere assolutamente avvolto nel mistero… altrimenti il finale sarebbe stato rovinato. 

T.O.M.: Senza contare il ruolo più complesso, quello della civetta…. 

L.P.: Già, Carmela, la civetta delle nevi (la stessa specie usata nel film Harry Potter) era veramente gigantesca; poi c’era Babalù, il barbagianni, di dimensioni più contenute. Questa scelta non era assolutamente prevista nella sceneggiatura ed è capitata assolutamente per caso. La padrona Mary Foti mi propose di andare a vederli e oltre i volatili, c’era anche la bellissima casa dove Mary viveva col compagno, il veterinario dott. Giuseppe Barillaro. Ho pensato: “Ok prendo il pacchetto completo: la casa per la scena della maga, Carmela e Babalù!”. Sono stati felicissimi di questa scelta… 

T.O.M.: Una domanda sulla scena del vetro è a questo punto inevitabile, ma immagino che te l’aspettassi. Come si gira una scena del genere?  

L.P.: Nulla di così complicato. Pochi effetti digitali, quasi tutto dal vivo. Ovviamente il vetro non era un vetro ma un pezzo di plexiglass opportunatamente sagomato. Questo oggetto trasparente è stato appeso ad un filo nero e a uno sfondo nero. E’ stato fatto oscillare con un moto rotatorio, ripreso in slow-motion e inserito poi sulla scena della finestra simulando la caduta. Per il “vetro” conficcato nel collo, è stato applicato allo stesso plexiglass un’anima metallica a forma di “U” che si adattava perfettamente alla nuca dell’attore. Il sangue usato sulla scena è di tipo chimico con qualche aggiunta digitale in postproduzione per aumentare l’effetto splatter. 

T.O.M.: C’è anche un efficacissimo jump-scare in perfetto stile giapponese (l’estetica J-horror della ragazzina non è certamente un caso…).

L.P.: Sì, l’idea di ottenere qualcosa di esteticamente più moderno sulla bimba è stata proposta dall’amico Adam Kadmon (che insieme a Marco Werba -pur lavorando separatamente- hanno composto la tetra colonna sonora del corto). In effetti, questo tipo di soluzione ha creato un inevitabile richiamo agli horror orientali, ma ci sta: come dici tu, risulta efficace. Visto che ci sono, vorrei spendere anche due parole sulla musica di questo lavoro… Marco Werba è un professionista e un artista davvero di grande fattura nel suo campo e i suoi temi hanno trovato sempre il mio entusiasmo. Ha vinto numerosi premi internazionali e vanta addirittura della collaborazione col Maestro Dario Argento. Una garanzia, senza dubbio. Quello che invece non mi aspettavo è stata la “sorpresa” Adam Kadmon nel settore musicale. Conoscendolo come eccellente autore in materia misterica, ignoravo totalmente le sue doti come musicista. Adam ha inserito delle sonorità per nulla banali anzi, ha fatto vibrare note ed effetti in maniera mirata, suscitando una miscela in grado di elevare il picco emozionale di alcune sequenze. A mio parere, ha dato un grande contributo che spero, possa ripetersi nuovamente in un futuro lavoro…

T.O.M.: Ho ormai imparato con te a fare caso anche ai più piccoli dettagli. Tra questi mi ha incuriosito una scena nel finale, subito dopo la già citata scena del vetro, nella quale, mentre la MDP si sposta lateralmente, vediamo i raggi del sole entrare dalla finestra e illuminare in un certo modo la tragedia appena compiutasi. È un trucco di regia oppure hai davvero atteso che il sole si trovasse in una precisa posizione per ottenere l’effetto voluto? Detto tra noi, il fatto che la MDP si sposti davvero lateralmente potrebbe essere un mio errore di valutazione, perché ho anche il dubbio che quel simpatico gioco di luci contribuisca non poco alla sensazione di movimento…

L.P.: No, in effetti la macchina si muoveva ed era addirittura a braccio, senza alcun supporto di stabilizzazione (come potete osservare dalla foto qui sotto). I raggi di luce sono stati aggiunti alla sequenza in post, perché volevo creare un preludio per la scena finale. Si tratta quindi di un effetto speciale editato sull’inquadratura attraverso un operatore di trasparenza (così si dice in gergo tecnico). Detta “alla spicciola”: l’effetto dei raggi è stato sovrimpresso alla scena. 

T.O.M.: In generale, quasi tutto il cortometraggio è stato girato in ambienti dove i contrasti luce-buio sono molto accentuati. Mi pare anzi tu abbia insistito molto sulle inquadrature in controluce. C’è un motivo per questa tua scelta? Forse un modo per dare profondità all’inquadratura?  

L.P.: In realtà questo è uno dei (miei) pochi corti horror girati in daylight, a luce diurna. Per ottenere un’efficace atmosfera, bisogna assolutamente creare dei validi bilanciamenti tra luce e ombra. Come sempre, per ridurre al minimo la profondità di campo, ho dovuto girare a diaframma T1.5, totalmente aperto e settare la macchina a 400 ISO. Se credete comunque che ci sia soltanto un corretto set-up del dispositivo di ripresa vi sbagliate: in realtà sono state usate diverse lampade LED e a incandescenza (virate con varie gelatine e diffusori) per ottenere quel grading cinematografico. La grana sporca della pellicola (spuntinature e hairs aggiunte per simulare la celluloide invecchiata) è stata creata per ottenere un contesto “old-style” ricordando appunto, i vecchi film del terrore. C’è stato comunque un certosino lavoro di set (come sempre realizzato in super-ristrettezza: sono stato aiutato da Cecilia e dalla dodicenne Vittoria Pinneri che hanno svolto il compito di assistant dop/director). Il controluce infine, (come ho spiegato in Mirror Midnight) è fondamentale per sagomare il personaggio e “staccarlo” dal fondo. E’ un trucco che si usava molto col bianco e nero e in molti film d’atmosfera anni 70/80/90. Ma è una tecnica ancora valida col colore e che continuo ancora oggi a usare con piacere… 

T.O.M.: Mi sembra di averti chiesto più o meno tutto. Grazie mille per questa lunga chiacchierata. Quando ci risentiamo? Intendo dire, hai qualcosa in cantiere di cui possiamo già dare un’anticipazione?

L.P.: Per quanto mi riguarda, ho tante cose in cantiere ma sinceramente, non so dove mi porterà il destino. Mi lascerò trasportare dalle sue spire, cullato dalle sue ipnotiche onde, dove l’orizzonte, resterà sempre una meta lontana e forse irraggiungibile (che poeta, vero? AHAHAH!). Scherzi a parte, credo di aver ancora tanto da raccontare e mi rendo conto che a volte, una storia si auto-costruisce semplicemente con la volontà di creare un effetto, di provare una nuova lente o macchina da presa e ovviamente, suggestionato da eventi o letture nel corso del tempo. Chissà quale nuova suggestione riuscirà a incuriosirmi e a riaccendere la scintilla per un nuovo corto… Va beh, vi saluto tutti caramente e vi lascio con un doveroso… Stay Tuned!

In senso orario: Marco Werba con il Maestro, Luigi Parisi, Marinilda Ribeiro, Adam Kadmon, Vincenzo Pinneri

17 commenti:

  1. Altro giro altra gran intervista, leggo sempre volentieri dei dietro le quinte quindi ti ringrazio ;-) Cheers

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    1. Questi "dietro le quinte" sono sempre piacevoli da leggere. Incredibile come ci siano delle cose che per me sono apparentemente impossibili ma che poi che in realtà si rivelano essere di una semplicità disarmante...

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  2. Regista top! Professionale come sempre. Wow!

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    1. Ed è anche una persona umile e disponibilissima. Cosa davvero rara!

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  3. Il making of è la parte più interessante perché si vede il lavoro professionale che c'è dietro anche a un cortometraggio breve come questo. Soprattutto in questa epoca di tiktok in cui tanti si sentono "registi" solo perché girano un video con lo smartphone e ottengono millemila visualizzazioni.

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    1. Avrei potuto stare qui ore e chiedere a Luigi di raccontare qualcosa su ogni singolo fotogramma. Si vede che niente è lasciato al caso e anche una scena di pochi secondi rivela un lavoro enorme. Il problema è che chi guarda raramente ci pensa. IO stesso me ne sto accorgendo solo adesso...

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  4. Bravissima persona e bravissimo regista! Complimenti!

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  5. Caro Luigi grazie per la stima. Sono lieto che tu abbia desiderato contribuissi anche io al tuo film. Grazie per le tue bellissime parole. Un abbraccio ❤ x 7777 a tutti Voi.
    Adam Kadmon

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  6. Ottimo lavoro come sempre, grande Luigi Parisi ❤️

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  7. Volevo ringraziare davvero tutti per i calorosi commenti e, grazie Adam per esser passato di qui (conosco molto bene la tua riservatezza!) e aver dedicato un tuo (bel) pensiero nei miei confronti. Grazie ancora a voi per aver partecipato al mio piccolo lavoro, un abbraccio grande a TOM per avermi nuovamente ospitato sul blog. Un saluto e alla prossima...!

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  8. La stima e l'affetto per Luigi Parisi sembra essere davvero enorme! Grazie a tutti coloro che sono passati a testimoniarlo.

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