domenica 27 novembre 2022

Smuttynose Axe Murders (Pt.1)

Maren Hontvet
La donna saltò fuori dalla finestra nel momento esatto in cui lui faceva oscillare l'ascia, colpendo il davanzale con così tanta forza che la testa dell'ascia si staccò. Atterrò nella neve fresca e prese a correre più velocemente che poteva. A piedi nudi, corse velocemente nella neve, alla ricerca di un posto dove nascondersi. Vide il proprio cane, Ringe, che le correva incontro abbaiando. Lo prese in braccio, temendo che i suoi latrati potessero tradire la sua posizione, e lo portò con sé. Inizialmente pensò di nascondersi nel pollaio lì accanto, ma l’idea era troppo ovvia. Sarebbe stato quello il primo posto dove lui l’avrebbe cercata. Decise quindi di correre verso il molo, pensando di poter fuggire dall'isola con la barca con cui quell’uomo era di certo arrivato, ma non c'era nessuna barca. Probabilmente era approdato dall'altra parte dell'isola e aveva raggiunto l’abitazione a piedi, reso invisibile dalla complicità di quella notte senza luna. Proseguì verso la scogliera, indifferente alle ferite che le si aprivano sui piedi scalzi. Trovò infine un riparo tra delle rocce che, a colpo d’occhio, potevano offrirle quel minimo di sicurezza. Lì, scalza e in camicia da notte, con solo il cane a donarle un po’ di calore, attese fino all'alba. 

Negli anni Settanta dell’Ottocento l’abitazione degli Hontvet era l’unica esistente sulla piccola isola di Smuttynose, nelle Shoals, al largo della costa del New Hampshire. Oggi, centocinquant’anni più tardi, la situazione è pressoché identica. A nessuno verrebbe mai in mente di andare a vivere su uno scoglio largo 200 metri e lungo meno di un chilometro. Maren Hontvet era quindi completamente sola sull’isola. Nessuno a cui chiedere aiuto. C’era lei, nascosta tra le rocce, e da qualche parte nell’oscurità c’era lui che la cercava, inarrestabile, guidato da una cieca follia omicida. Lì, scalza e in camicia da notte, con solo il cane a donarle un po’ di calore, Maren attese fino all'alba. Alla luce del giorno, non sapendo se l'assassino fosse ancora sull'isola, cautamente uscì dal suo nascondiglio e, barcollando per via dei piedi congelati, si spinse verso Malaga, un’isola ancor più piccola collegata all'estremità nordovest di Smuttynose da un frangiflutti. Da lì avrebbe potuto gridare in direzione dell’abitazione degli Ingerbredsen, sulla costa della vicina isola di Appledore. Maren gridò e si sbracciò per un tempo che le parve infinito, senza trascurare di guardarsi alle spalle di tanto in tanto. Gridò e si sbracciò finché non riuscì ad attirare l'attenzione dei bambini che giocavano sulla riva. Qualche istante più tardi, Jorge Ingerbredsen mise a mare la sua imbarcazione e remò per un quarto di miglio in soccorso di Maren.

Intorno alle otto della sera precedente, una barca a remi era stata rubata a Portsmouth, la città portuale più importante del vicino New Hampshire. Il ladro aveva remato per cinque ore, nonostante i forti venti di inizio marzo, attraverso dieci miglia di mare gelido fino all'isola di Smuttynose. L'uomo sapeva come aggirare Smuttynose, attraccò la barca sul lato sud dell'isola e camminò attraverso la neve direttamente fino all'unica casa occupata dell'isola, la casa degli Hontvet.

Maren Hontvet, sua sorella Karen Christensen e la loro cognata Anethe Christensen temevano la solitudine e l'isolamento dell'isola, specialmente quando gli uomini di casa erano fuori a pesca. Nonostante ciò, la notte tra il 5 e il 6 marzo 1873, con gli uomini lontani, le donne erano rassegnate a restare sole nella casa fredda, ma nulla avrebbe potuto prepararle all'arrivo, in barca a remi, di uno squilibrato assassino, un uomo che ben sapeva che le donne erano sole in casa. La mattina precedente John Hontvet, suo fratello Mathew e suo cognato Ivan avevano portato la loro goletta da pesca a Portsmouth per ritirare un carico di esche in arrivo da Boston. La spedizione era in ritardo, perciò mandarono a dire a Maren, tramite un altro peschereccio, che sarebbero rimasti in città quella notte. I tre uomini a Portsmouth si imbatterono in Louis Wagner, una loro vecchia conoscenza. Gli spiegarono la situazione e gli chiesero una mano per scaricare, dietro adeguato compenso, la merce in arrivo. L’uomo accolse la richiesta, ma quando il carico finalmente giunse in porto, di lui non c’era più traccia. 

Verso le 22 le tre donne in casa Hontvet decisero che non era il caso di aspettare oltre. Indossarono le camicie da notte e Maren improvvisò un letto per Karen sul divano in cucina, dove faceva più caldo rispetto alle camere da letto poste al piano di sopra. Maren e Anethe si ritirarono quindi nella camera da letto adiacente. 
La neve bianca luccicava su Smuttynose mentre l’uomo si avvicinava all’abitazione. Piuttosto che avvicinarsi alla baia, aveva deciso di proseguire fino al lato opposto dell'isola e approdare sulla costa rocciosa. Osservò il cottage in silenzio per diverse ore dopo che l’ultima tenue luce che filtrava dalle finestre era scomparsa. Infine, sicuro che le donne stessero ormai dormendo, con i suoi pesanti stivali di gomma si avviò su per il pendio fino alla porta di casa. Tentò la maniglia e questa non oppose alcuna resistenza. Superò il piccolo disimpegno ed entrò in cucina. Nell'oscurità della cucina, silenziosamente chiuse la porta dietro di sé. Aveva intenzione di compiere la sua incursione senza essere scoperto, ma in quel momento Ringe si destò e prese ad abbaiare, svegliando Karen. 

Vedendo la figura scura stagliarsi contro una finestra, chiese ad alta voce: “John? Sei tu?". Maren la udì, si sedette sul letto e chiamò sua sorella: “Karen? Qualcosa non va?" "No, tutto a posto! È solo John mi che ha spaventata!" rispose Karen, ancora mezza addormentata. Quando lei ebbe detto questo, l’uomo prese una sedia e sferrò un primo colpo nell'oscurità. La giovane donna urlò mentre l’uomo ripeteva il suo assalto. "Karen! Karen! Cosa c'è che non va?" urlò Maren saltando giù dal letto e tirando la porta. Karen si alzò a fatica mentre l’uomo infliggeva l’ennesimo colpo. Malconcia e sanguinante, fu scagliata contro la porta della camera da letto e cadde ai piedi di Maren. L’uomo si precipitò di nuovo su di lei, ma Maren riuscì in qualche modo a trascinare la sorella dentro la stanza, fuori dalla portata del folle. In una frazione di secondo chiuse la porta e la barricò con quello che aveva a portata di mano. 

Pietrificata, Anethe osservava la scena da un angolo della stanza. “Anethe! Muoviti! Corri a nasconderti!" gridò Maren mentre chiudeva la porta dall'interno. Istintivamente, Anethe spalancò la finestra, si arrampicò e saltò fuori, ritrovandosi in un attimo a piedi nudi nella neve. Era congelata dalla paura. "Scappa!" strillò Maren, ma era troppo tardi. L’uomo, che aveva rinunciato a tentare di entrare dalla porta e si era precipitato fuori, in direzione della finestra, raggiunse la catasta di legno e afferrò un'ascia. Con un rapido movimento sollevò quello strumento di morte nella notte stellata. Fu in quel momento che Anethe lo riconobbe: "Louis! Louis! Louis!", strillò. 

Un attimo dopo, la lama d’acciaio dell’ascia le frantumò il cranio. Il suo corpo ebbe un ultimo violento sussulto e si accasciò a terra mentre l’uomo continuava a colpirla sotto gli occhi pietrificati di Maren, che osservava la scena dall'altro lato della finestra. Vedendo che Anethe non poteva più essere aiutata, Maren rivolse la sua attenzione alla sorella. “Karen! Karen! Dobbiamo scappare!” implorò, ma la sua povera sorellina era allo stremo e riuscì solo a dire: «No». Nel frattempo, l’uomo con l’ascia stava tornando alla porta della camera da letto. Il senso di autoconservazione di Maren ebbe il sopravvento: si arrampicò sulla finestra e si gettò nella neve rossa del sangue di Anethe proprio mentre l’uomo con lascia, che aveva appena fatto irruzione nella stanza, faceva oscillare il suo strumento di morte. 

Mentre si allontanava, Maren sentì alle sue spalle l’ultimo urlo della sorella. L’uomo con l’ascia era indispettito. Avrebbe voluto mettere a tacere per sempre l'ultima persona che poteva identificarlo, ma non ci riuscì. Cercò in lungo e in largo, lasciando dietro di sé una sanguinosa scia di impronte, finché, rassegnato, non tornò al cottage e trascinò il corpo di Anethe in cucina. Esausto, si preparò una tazza di tè, lasciando macchie di sangue sul manico, e mangiò del cibo che aveva trovato in dispensa, usando un piatto, un coltello e una forchetta dalla cucina degli Hontvet. Dopo aver rivoltato la casa e aver trovato solo quindici dollari se ne andò, lasciando il corpo di Anethe sul pavimento accanto a un orologio che era caduto dal caminetto, frantumandosi, nel corso della precedente colluttazione. Era fermo all'una e sette minuti.

1 commento:

  1. Se è vero che quello scrittore a cui ti riferisci non si è mai inventato niente, allora è molto probabile che si sia ispirato ad un true crime come questo. Tra l'altro anche Jack Torrance, al pari del killer di Smuttynose, non aveva dato prova di grandi abilità strategiche...

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