Avevamo aperto questo 2022 con l’analisi di un film di Fernando Rick e lo chiudiamo con l’analisi di un altro film di Fernando Rick. Vi garba l’idea? In linea del tutto teorica l’idea potrebbe anche piacervi, ma quando vi sarete ricordati di quale film scrissi qua sopra lo scorso gennaio, allora probabilmente vi saliranno i primi conati di vomito. Non esauriteli, perché oggi ne avrete ancora bisogno.
“Feto morto”, prodotto e diretto in Brasile nel 2003, era un’opera che sembrava realizzata su misura per la rubrica “Obsploitation Vomit”, ovvero quell’accozzaglia di recensioni di titoli ai quali la definizione “Extreme” va decisamente stretta.
La visione di quel film non aveva poi fatto altro che confermare quella mia prima intuizione, film che mi trovai a definire come “cinema dell'oltraggio e dell'abiezione, un'accozzaglia politicamente scorretta di violenza e nudità gratuite realizzata, tra una birra e l'altra, da un gruppo di esordienti dall'umorismo nero e tagliente”.
Nonostante ciò, calandolo nel giusto contesto, una lettura interessante riuscii anche a imbastirgliela, arrivando addirittura a paragonare il regista brasiliano a un tizio del calibro di Kenneth Anger, uno che di sovversioni e di perversioni ha sempre avuto molto da insegnare.
Chiusi quel vecchio post con una promessa, quella di riuscire a presentare sul blog qualcos’altro di Fernando Rick, qualcosa magari legata al suo periodo più maturo, meno trash, e molto più aderente a una visione tradizionale dell’horror.
Quel giorno è arrivato ed è giunto il momento di presentare "Embaraço", cortometraggio di una scarna ventina di minuti, qualitativamente ineccepibile ma in grado di fare molti più danni di quanti ne abbia fatti il suo film d’esordio.
Partiamo dal titolo: in lingua portoghese il sostantivo maschile “embaraço” significa sì “imbarazzo” (nel senso di vergogna), ma anche perplessità, confusione, intralcio e fastidio. Non è molto diverso dall’italiano, per certi versi, visto che anche nella nostra lingua il termine imbarazzo viene utilizzato per descrivere le sensazioni che derivano da un forte mal di stomaco. Sebbene poche persone lo utilizzino in questo senso, in portoghese il termine “embaraço” serve però anche a descrivere la gravidanza, un significato importato presumibilmente dallo spagnolo, dove gravidanza si traduce in “embarazo”. E proprio una gravidanza indesiderata, e i conseguenti tentativi (tutti falliti) di abortire in maniera artigianale, è l’oggetto di questo brutale cortometraggio. E quando dico brutale intendo proprio dire sporco, cattivo e insostenibile, al punto che, quando nel 2016 fu presentato alla XXI edizione del Fantaspoa (il Festival Internazionale del Film Fantastico di Porto Alegre), pare che una ragazza tra il pubblico sia stramazzata a terra svenuta.
Non faccio fatica a crederci: anch’io che sono del sesso opposto, e che al cinema ho guardato davvero le peggio cose, ho dovuto distogliere lo sguardo in un paio di occasioni. Ne è valsa la pena? Non ho una risposta. Certamente, se l’intenzione del regista era quella di attirare l’attenzione su un problema sociale, non si può dire che ci sia andato leggero.
Dopo una notte trascorsa a letto con uno sconosciuto, Angélica (Amanda Pereira) scopre di essere incinta. Iniziano per lei sette mesi di incubo, durante i quali, sola tra quattro mura, tenterà in tutti i modi di procurarsi un aborto.
Alla base di tutto c’è un contesto di povertà, emarginazione e diritti negati. In un paese dove l’aborto è permesso solo in tre situazioni estreme (gravidanza frutto di uno stupro; rischio di vita per la donna incinta; grave malformazione del feto), migliaia di donne abortiscono in clandestinità rischiando di morire in casa dissanguate o, nella migliore delle ipotesi, di finire in ospedale per le complicazioni (e da lì in carcere).
Secondo l’articolo 124 del Codice penale brasiliano, infatti, la donna che si procura un aborto può subire una condanna fino a tre anni di carcere in “regime chiuso”, mentre coloro che eseguono la procedura con il consenso della gestante rischiano fino a quattro anni.
Disperata, la protagonista di Embaraço prova vari metodi per abortire: dalla famigerata pillola Cytotec, medicinale abortivo bandito in Brasile (ma è off-label anche in Italia e in molti altri paesi), all'appendiabiti trasformato in un gancio per cercare di estrarre il feto, uno dei metodi in assoluto più rischiosi. L’ipotesi di rivolgersi a un medico compiacente è fuori questione sin dall’inizio a causa dei costi improponibili della clandestinità. Ma il tempo passa inesorabile e Angélica non riesce a trovare la quadra. Tra un’emorragia e l’altra, la donna comincia a indebolirsi sempre di più, fino a crollare. Il bizzarro finale lascia spazio a interpretazioni personali.
Fernando Rick non concede alcuna tregua allo spettatore e, pur nella sua brevità, Embaraço rivela il grande talento tecnico e narrativo del suo ideatore. Un cortometraggio coraggioso, scomodo, che affronta una questione che ancora oggi fa discutere. "La salute pubblica" – sostiene Fernando Rick - "dovrebbe essere al centro dell'attenzione del governo, che invece preferisce mettere a repentaglio la vita di migliaia di donne a favore di interessi politici e finanziari".
Il problema è che un argomento così delicato rischia di monopolizzare il dibattito femminile, trasformandosi nell’oggetto delle sue ossessioni. Non è quindi un caso che Embaraço sia stato oggetto di feroci controversie, come quella sollevata dal Collettivo Mulheres no Audiovisual Pernambuco, composto da registi e produttori, che ha espresso il proprio rifiuto al cortometraggio Embaraço in occasione della decima edizione del Festival del Cinema de Triunfo 2017.
Nel manifesto (consultabile qui), firmato collettivamente, si richiama l’attenzione su concetti come sessismo, razzismo, discriminazione religiosa e su una "feticizzazione" della sua protagonista: "Per tutta la narrazione, la costruzione del personaggio avviene attraverso feticci legati a un profilo psicologico stereotipato e ancor più a uno sguardo stigmatizzato sul corpo della donna" - critica la lettera aperta, sottolineando la scelta di inquadrature chiuse in parti specifiche del corpo femminile, come il viso e i genitali - "Dopo la scoperta della gravidanza, il primo tentativo di aborto indotto attraverso l'uso di farmaci è rappresentato in una scena in cui il regista riesce persino a erotizzare il corpo della donna”.
Lascio a voi l’onere di esprimere un giudizio, magari dopo aver visionato integralmente Embaraco su Vimeo. Da parte mia mi limito a fare un grande plauso all'attrice Amanda Pereira, vera anima del film, che ha offerto una performance praticamente perfetta nel trasmettere allo spettatore la disperazione e l'inferno interiore del suo personaggio.
Non visionerò per i motivi che puoi immaginare.
RispondiEliminaResto però convinto che la proibizione dell'aborto legale è una delle peggiori forme di coercizione nei confronti delle donne. Mi permetto però di dubitare che il lungometraggio sia stato realizzato con l'obiettivo di sensibilizzare la gente sul problema, sono propenso a malignare che lo scopo fosse solo attirare l'attenzione e far parlare del lungometraggio in se- E del regista.
E' una malignità che mi sento di supportare, specialmente considerando i precedenti del regista.
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