"L’uomo pensò alla neve che seppelliva tutto e gli venne in mente che un anno, da quelle parti, equivaleva a un giorno: metà trascorreva al buio, metà illuminato dalla luce, e l’inverno, in fondo, non era che una notte, una lunga notte seguita da un lungo giorno". (Peter Cameron)
Questo libro è fatto di buio e di neve. Di un treno nella notte, e di una coppia senza nome che scende in una stazione deserta del Grande Nord. Di un immenso, lussuoso albergo nel cuore di una foresta. Delle sue stanze chiuse, dei suoi infiniti corridoi, dell’isola di luce del suo bar. Dei suoi ambigui ospiti – una vecchia cantante che tutto ha visto, e un losco uomo d’affari con un suo crudele disegno. E ancora, di un sinistro orfanotrofio, e di un enigmatico guaritore. Non tutti gli scrittori avrebbero saputo trasformare questa materia in un avvincente, misterioso romanzo. Ma Peter Cameron, questo nel tempo lo abbiamo imparato, è uno scrittore a parte. (Dalla quarta di copertina)
Nemmeno in mille anni avrei potuto trovare una formula più efficace di quella scelta da Adelphi per presentare questo incredibile romanzo. Basterebbero infatti quelle prime cinque parole (“fatto di buio e neve”) per raccontarlo e, di conseguenza, tutto quello che scriverò in questo post da qui in avanti potete, se volete, ritenerlo anche superfluo.
Buio e neve sono protagonisti assoluti e con essi lo è una specie di opprimente cappa di disperazione che pervade le sue pagine, dalla prima all’ultima. Siamo in una località imprecisata del nord Europa, forse la Norvegia o, se non la Norvegia, uno qualsiasi di quei paesi oltre il 60° parallelo, un luogo vittima suo malgrado di inverni lunghissimi e di notti interminabili. Ma non è il “dove” la cosa importante, così come non è nemmeno importante il “chi”, al punto che i due protagonisti del libro, che sappiamo essere una coppia che ha abbondantemente svoltato la boa della vita, non hanno nemmeno un nome. L’Autore fa riferimento ad essi come “l’uomo” e “la donna” e tanto ci basta.
Se non fosse per l’età dei personaggi, si potrebbe quasi definire “Cose che succedono la notte” un romanzo di formazione, in forma diversa ma almeno tanto quanto lo è “Il giovane Holden”, tanto quanto “Norwegian Wood” o, restando circoscritti alla bibliografia di Peter Cameron, tanto quanto “Un giorno questo dolore ti sarà utile”.
Un romanzo di formazione al contrario, direi anzi, e a rafforzare questa mia sensazione è la copertina (quasi) completamente nera di questa edizione, che sembra voler contrapporsi a quella totalmente bianca del romanzo di Salinger. Se per definizione un romanzo di formazione è la narrazione di un rito di passaggio verso l’età adulta, allora “Cose che succedono la notte” è la narrazione di un rito di passaggio dall’età adulta a qualcos’altro. Il bianco verso il nero, la luce verso il buio, la fisica verso la metafisica, l’immanenza verso la trascendenza.
Un uomo e una donna senza nome, dunque, in viaggio attraverso un paese altrettanto senza nome per adottare un bambino. La donna, gli occhi senza luce, provati da una lunga malattia, affogati tra le pagine di un libro. L’uomo, gli occhi appesi al finestrino di un treno, a osservare un paesaggio innevato che precipita improvvisamente nell'oscurità di una foresta. Il lettore, così come l’uomo, trasportato fin dal primo magistrale capitolo in un mondo di ombre. La città, fredda e cupa, descritta tanto vagamente quanto gli stati emotivi dei suoi personaggi. L’hotel, dove la coppia soggiornerà mentre si completano i passaggi necessari per recuperare il loro bambino, fatta di corridoi impalpabili, di saloni evanescenti, di reception appena illuminate.
È in questi ambienti che si dipana la vicenda della coppia, ambienti nei quali altri strani personaggi entrano ed escono come attori in uno spettacolo teatrale, scomparendo dietro il sipario solo per riemergere in seguito interpretando un ruolo completamente diverso.
Un losco uomo d’affari che l'uomo incontra al bar mentre la moglie riposa nella loro stanza al piano di sopra gli chiede «E che te ne fai di un bambino?», prima di rivelarsi per ciò che veramente è.
Una donna anziana che l'uomo incontra al bar mentre la moglie riposa nella loro stanza al piano di sopra gli chiede se ha fatto il lungo viaggio in città per il guaritore o per l'orfanotrofio. «L'orfanotrofio», risponde subito l’uomo, prima di informarsi sul guaritore, pensando alla moglie malata.
Ed entrambe le destinazioni emergeranno presto come punti critici attorno ai quali orbiterà la storia.
Cameron rende le sue immagini in modo delicato, consentendo ai più piccoli dettagli di unirsi tra loro in una specie di puzzle, un puzzle composto da tasselli all’apparenza insignificanti, ma destinati a cambiare rapidamente e irrimediabilmente il destino della coppia. Un puzzle che, dopo aver voltato l’ultima pagina, si scoprirà essere stato lasciato deliberatamente incompleto, e i cui pezzi mancanti pervadono di inquietudine il lettore, anche perché non mancano le ipotesi soprannaturali attorno a quanto sta accadendo.
Nessuna verità può essere data per scontata in quanto tale, e spesso gli eventi si svolgono fuori pagina per instillare nel lettore lo stesso senso di disorientamento dei personaggi del romanzo. Molti momenti importanti della narrazione accadono al buio, come se affollare la profondità emotiva della storia con troppi dettagli fisici fosse sconveniente, o forse per aumentare il senso di irrealtà, per evidenziare la presenza perpetua del pericolo. «Sono cose che succedono la notte», dice l’anziana donna nel capitolo di apertura, una cantante che, pur vivendo nel ricordo dei suoi bei tempi andati, diventa centrale nella storia ancor più dei due protagonisti. «Ricorda, tutti ci sentiamo così», continua l’anziana donna. «Viviamo in un’epoca buia, nessuno può trovare la propria strada. Procediamo a tentoni, come i ciechi. Somigliamo a quegli animaletti sotterranei che scavano la terra fredda e umida, nella speranza di trovare una radice commestibile. Noi non siamo migliori».
Ho "conosciuto" Cameron con il bellissimo Un giorno questo dolore ti sarà utile, che citi nel post, irrinunciabile per chi voglia approcciarsi a questo scrittore. Autore che ho intenzione di continuare a scoprire e questa recensione mi convince pienamente a farlo. Mi sono venute in mente due immagini mentre leggevo: la prima, l'hotel dapprima sembra assomigliare all'Overlook Hotel, forse sarà voluto? Vero è che ci sono alcuni ospiti, per quanto grotteschi, ad animarlo. Poi la vicenda dell'adozione mi riporta a una bellissima puntata della serie The Romanoffs intitolata "Capolinea". Una serie con puntate autoconclusive che ti consiglio di vedere.
RispondiEliminaMah, in realtà i punti in comune con l'Overlook sono solo la neve e una vaga sensazione di solitudine e claustrofobia. Capisco però come l'associazione di idee possa venire naturale. In Shining tuttavia tutto ruotava attorno alla follia del protagonista e al rancore da lui riversato nei confronti degli unici altri abitanti della struttura, ovvero i suoi familiari. Questa di Cameron è prima di tutto una storia d'amore, un amore che deve fare i conti con qualcosa di più grande di se stesso, qualcosa di inevitabile e di inappellabile. L'aspetto soprannaturale forse l'ho solo percepito io e, per onestà, l'ho anche fortemente cercato. Probabilmente il mio è stato un modo per giustificare la presenza di pezzi che, all'interno del puzzle, proprio non ci volevano stare...
EliminaMi citi due libri che a me non hanno detto molto, ma Cameron è una vita che ce l'ho in lista, e prima o poi vorrei approcciarlo. Purtroppo gli Adelphi costano sempre un po' troppo per le mie finanze, e le gente tende a non separarsene, ergo nei mercatini sono una rarità.
RispondiEliminaMa ci arriverò, prima o poi.
Questo è un buon punto di partenza, così come l'ho l'altro raccomandato da Luz nel commento precedente. Gli Adelphi, hai ragione, sono sempre un pelino cari, ma finora non mi è mai capitato di dover dire che i soldi spesi per uno dei loro titoli fossero andati sprecati.
EliminaLa tua descrizione mi ha riportato alla mente, per analogia, "Ethan Frome" di Edith Wharton. Drammatico, profondo, intenso, ma anche capace di lasciare una sensazione di tristezza al lettore. E in questo periodo ho già le mie personali che bastano e avanzano.
RispondiEliminaSi tratta di storie evidentemente diverse ma ciò che ne riceve il lettore, come mi fai notare, è analogo. Questo può significare che ogni romanzo si adatta al suo lettore e non il contrario.
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