lunedì 21 novembre 2022

Il giovane Holden

“Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.” 

Esistono innumerevoli ragioni perché un romanzo si debba o non si debba leggere. Ne esistono altrettante perché si debba rimandarne il più possibile la lettura, che è poi quello che ho fatto io con “Il giovane Holden”. La ragione principale, tuttavia, è che si tratta di un libro che hanno letto in tanti, in troppi, e ciò può generare un impulso di attrazione o di repulsione, a seconda che ci si senta più o meno portati a uniformarsi. Oltre a ciò, esiste un livello di curiosità che in questo caso è ai massimi livelli. Abbiamo fra le mani la nostra edizione de “Il giovane Holden” e ciò che vediamo non è altro che una copertina bianca, con su scritto solamente il nome dell’autore e il titolo del romanzo. Non una parola in quarta di copertina, ancora meno nei risvolti interni (quando ci sono). Si dice che fu lo stesso Salinger a pretendere che il suo libro avesse una copertina completamente vuota perché, spiegava, voleva che i lettori non fossero guidati da un’immagine nella scelta del libro e che lo scegliessero solo per la curiosità di scoprirne i contenuti. Oggi questa cosa la chiameremo “originalata di marketing”, ma ai tempi di Salinger forse l’idea era in qualche modo sincera. 

Attorno ai miei vent’anni, e mi riferisco ovviamente al periodo in cui internet ancora non esisteva, mi rosicavo l’anima per capire quale fosse il contenuto del libro. Sarebbe bastato comprarlo e leggerlo, direte voi, ma non lo feci mai. Il motivo era quel mio conoscente che non solo diceva di averlo letto, ma lo portava sempre con sé nella tasca del cappotto, giorno e notte, come se fosse un elemento imprescindibile al pari delle chiavi di casa o del documento d’identità. Se lo portava al cinema, se lo portava in discoteca, se lo portava in ogni ca##o di posto dove andava, nemmeno fosse stato il suo personale manuale di istruzioni per vivere. Lo aveva letto ma, a mia precisa domanda, rispondeva puntualmente che non poteva assolutamente dirmi di cosa parlasse e che, no, non poteva nemmeno prestarmelo. Quel conoscente aveva forse ben colto il proposito di Salinger e a modo suo, nel suo piccolo, cercava di perpetuarlo. Da parte mia interpretai però quel comportamento sibillino come una sfida e, sebbene consumato dalla curiosità, non comprai mai quel libro e proseguii per la mia strada. De “Il giovane Holden” una sola cosa sapevo, perché così si diceva in giro: che Mark David Chapman ne aveva in tasca una copia il giorno in cui sparò a John Lennon (quando poi arrivarono gli anni di Wikipedia, scoprii che in realtà Chapman non l’aveva con sé in quel preciso momento, ma che comunque ne trasse grande ispirazione). 

Anyway. Non lo comprai che molti anni dopo, il giorno in cui ebbi la certezza matematica che quella persona non avrebbe mai più attraversato la mia strada. Sono stati comunque anni duri, anni in cui quel libro faceva continuamente capolino in ogni libreria in cui andassi. Lo sfogliavo rapidamente, ma nulla di più. Testardamente, mi dicevo che non potevo cedere. A volte mi sorprendo a chiedermi se ancor oggi, trenta e più anni dopo, quella persona sia ancora così morbosamente legata a quel libro, ma immagino di no. Una volta comprato l’ho poi lasciato stagionare su uno scaffale per diversi altri anni prima di decidermi a prenderlo in mano e a leggerlo. Se ve lo state chiedendo, la risposta è che, no, una volta letto non mi è venuta affatto voglia di uccidere John Lennon. 

Di cosa parla “Il giovane Holden”? A questo punto sono scisso tra il raccontarvelo, anche per sommi capi, oppure se prendere a modello l’insegnamento di chi decide di tenersi tutto dentro. Posso intanto dirvi che molti lo definiscono un romanzo di formazione, là dove per “romanzo di formazione” si intende quel genere narrativo che descrive l’evoluzione, i cambiamenti e le esperienze del protagonista nel suo passaggio dall’età infantile e adolescenziale a quella adulta. Sinceramente la definizione la vedo un po’ tirata per i capelli, visto che trascorrono solo pochi giorni tra l’inizio e la fine del libro. Qualcuno potrebbe farmi notare che la crescita interiore di Holden è stata fulminea, ma sinceramente non ho notato alcuna crescita, se non quella riportata nelle ultime righe, dove veniamo a sapere giusto due cose sul suo destino. Se “Il giovane Holden” è un romanzo di formazione, allora lo è anche un qualunque scritto di Bukowski: come Henry Chinaski (il protagonista alter ego del poeta californiano), anche Holden sembra non avere alcuna intenzione di trovare il proprio posto in un mondo governato da regole castranti, e come lui si sottrae a ogni regola imposta, si ubriaca e porta puttane a casa (anche se certamente non allo stesso livello). In entrambi è manifesta la sofferenza nel non trovare certezze cui aggrapparsi, se non la sorellina Phoebe, in un caso, e l’alcool e le corse di cavalli nell’altro. La sola differenza qui è che Holden è un sedicenne che non conosce nulla della vita, mentre Chinaski è un vecchio che della vita ha già visto tutto. 

Dal 1951, quando fu pubblicato, “Il giovane Holden” è stato letto da milioni di adolescenti che hanno ritrovato in esso la difficoltà del divenire adulti: la storia di un difficile passaggio a una nuova fase della vita attraverso il superamento di prove che fungono da riti di iniziazione. Il vero problema è che nessuna di queste prove viene realmente superata dal giovane protagonista: le incontra, ci sbatte la faccia e fugge da esse a gambe levate. In un certo senso è molto più aderente alla realtà la vita di Holden che la vita di qualsiasi protagonista di un classico romanzo di formazione, nel quale, bene o male, l’ultimo capitolo si chiude con un successo e con il passaggio a una fase successiva della vita. Proprio per questo “Il giovane Holden” è un libro che va assolutamente letto.



8 commenti:

  1. Io non l'ho ancora letto, forse anche io spaventato dal fatto che, essendo un romanzo così "obbligatorio" da leggere, mi potrebbe fare lo stesso effetto di altri libri che "bisogna leggere" e che ho mollato a metà fortemente deluso. Forse un giorno ci proverò.

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    1. Ho anch'io lo stesso tuo approccio nei confronti dei libri "obbligatori". Questo è però un caso diverso: lo si legge tutto d'un fiato e alla fine ti lascia qualcosa di veramente prezioso.

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  2. Anch'io come te me lo trovavo sempre davanti o citato da qualche parte. Recuperai però prima, a 25 anni - in quello che fu il mio "annus horribilis", tra l'altro.

    Non saprei descriverlo, se non come un libro che mi ha reso triste e felice al contempo.

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    1. Ecco, questo è certamente un libro che se letto nel momento "sbagliato" (e prima degli "enta" i momenti sbagliati si susseguono a raffica) possono fare anche male. Io ho resistito un ulteriore quarto di secolo e forse un pochino rimpiango quel misto di tristezza e felicità a cui si è più permeabili in altre fasi della vita.

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  3. Ciao, stavo leggendo un tuo blog su Maldoror del 2014 e i link a notturno non esistono più. Non riesco a trovare nient'altro sul film da nessuna parte. Sai dove posso trovare qualcosa? Scusa per il mio pessimo italiano sono argentino

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    1. Il tuo italiano è eccellente, non ti preoccupare! ^_^
      Per quanto riguarda il film Maldoror, il massimo esperto è certamente Davide Pulici, caporedattore della rivista Nocturno. Nel corso degli anni Pulici ha pubblicato sul magazine diversi articoli derivanti da ricerche da lui effettuate. Tali articoli sono usciti all'interno dei dossier "Misteri d'Italia: guida ai film rari e scomparsi", usciti in allegato alla rivista. Di tali dossier ne sono stati pubblicati sette, ma quelli i più importanti sono i primi due, allegati rispettivamente ai numeri di giugno 2006 e marzo 2007 della rivista. Oltre a quelli ti consiglio anche un dossier intitolato "Controcorrente" dedicato a Cavallone e ad altri due registi milanesi dello stesso periodo (non so datartelo, ma sicuramente antecedente ai "Misteri d'Italia").

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  4. Io sono tra quelli che non lo ha mai letto. In tutta onestà non mi ispirava da adolescente e nemmeno nei miei primi vent'anni. Ora mi attrae ancora meno. Chissà, forse un giorno...

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    1. Si sopravvive anche senza, per carità. Io stesso sono sopravvissuto per decenni senza subire particolari conseguenze. Oggi che finalmente l'ho letto mi dico che avrei potuto farlo anche prima, magari in un momento diverso. E probabilmente l'avrei apprezzato ancora di più.

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