venerdì 30 maggio 2025

Mystics in Bali: tra mito e frattaglie volanti

Sono passati quasi dieci anni dallo speciale thailandese “Bangkok Haunted” e ancora sono convinto si tratti di una delle cose migliori che abbia mai pubblicato qui sul blog. E non parlo di scrittura (non ho mai pensato di scrivere particolarmente bene), ma del fatto che credo di aver tratto il massimo dal poco materiale cinematografico a mia disposizione (come scrissi allora, “il cinema tailandese è molto restio a rivelarsi per intero.”). 
All’epoca avrei voluto proseguire nell’esplorazione del cinema folk horror del sudest asiatico, ma avevo sempre altro da fare e, semplicemente, la cosa mi è passata di mente, riaffiorando solo nei momenti meno opportuni. Faccio ammenda con questo timido tentativo, partendo da un film indonesiano che omaggia la figura che all’epoca più di tutte aveva colpito la mia immaginazione: Leyak/Leak, detta anche Palasik o Kuyang (il nome varia nei tre principali gruppi etnici del paese e anche la grafia a volte cambia, benché l’indonesiano usi in gran parte l’alfabeto latino). Leyak altro non è che l’equivalente della thailandese Krasue, un essere che si presenta sotto forma di una testa femminile con appese delle interiora sanguinanti che vaga di notte alla perenne ricerca di donne incinte per succhiare il sangue dei feti o dei neonati (vedi qui). Queste premesse sul folklore sono necessarie, altrimenti lo spettatore che fosse del tutto a digiuno di questi temi rimarrebbe spiazzato e finirebbe per capire ben poco di quello che sta guardando. 

La mitologia balinese (come anche quella thailandese) comprende divinità e creature mitologiche di religioni diverse (soprattutto induiste, ma anche buddiste) fuse con miti e credenze animiste del tutto integrate nella vita contemporanea, ed è questo che la rende così affascinante. Infatti, la religione ufficiale dell'Indonesia è l'Islam, ma oltre il 90% dei balinesi si professa induista. Tra le figure di spicco del pantheon balinese abbiamo Rangda, una regina del male a cui sono votati demoni e Leyak (d’ora in poi, per semplicità, le chiamerò così*), anche detta, per questo motivo, "Regina delle Leyak". È una strega-vedova (in giavanese antico Rangda significa proprio "vedova") che ha anche un ruolo in rituali pubblici, dato che una sua maschera è conservata nei templi dei villaggi e durante le festività viene portata in processione. Suo nemico naturale è l'incarnazione del bene, Barong, che letteralmente significa "orso" ma che nelle parate viene rappresentato come un miscuglio tra un drago e un grosso felino, e la cui origine deriva probabilmente dal culto animista e simboleggia il potere protettivo soprannaturale degli animali, benché il suo aspetto, che tradisce origini demoniache, sia abbastanza inquietante: occhi sporgenti, pelle rossa, denti affilati e una lunga barba dove si concentra il suo potere magico. La sua maschera sacra è la più importante di Bali, ma non è l’unica. 

Rangda è in pratica l'incarnazione di Calon Arang, una strega leggendaria che secondo la tradizione danneggiò gravemente Giava durante il regno di re Airlangga, vissuto tra il 1002 e il 1049 d.C.. 
Calon Arang viveva nel villaggio di Girah, era vedova e aveva una bellissima figlia, Ratna Manggali, che però non riusciva a trovare marito perché i possibili pretendenti erano terrorizzati dal fatto che venisse da una famiglia di streghe. Calon Arang pensò di vendicare la figlia rapendo una ragazza da un villaggio e sacrificandola alla dea Durga, che in cambiò scatenò un’alluvione che travolse il villaggio e una pestilenza che uccise i superstiti. Il re chiese aiuto al suo maestro e consigliere, Empu Bharada, il quale ordinò a un suo discepolo, Empu Bahula, di sposare Ratna, placando le ire di Calon Arang e facendo cessare la devastazione. Ma Empu Bahula in seguito rubò il libro degli incantesimi di Calon Arang e questa si scagliò contro il suo maestro Empu Bharada, ma senza l’aiuto di Durga non poté far altro che soccombere; da quel momento i problemi cessarono e la vita tornò alla normalità. 

Ci sarebbe un’altra versione della leggenda in cui Rangda sarebbe l’alter ego demoniaco della ex regina Mahendradatta (o Gunapriyadharmapatni), moglie del re balinese Udayana Warmadewa della dinastia Warmadewa, e madre di Airlangga, condannata all’esilio dal suo consorte perché praticava la magia nera. Alla morte del marito (ecco perché “Rangda”), la Regina avrebbe evocato le legioni del male (demoni, spiriti maligni della giungla e Leyak) per portare caos e morte nel regno, ma fu contrastata da Airlangga e dal re degli spiriti Barong. Fu proprio quest’ultimo a uscire vittorioso dallo scontro, mentre Rangda si diede alla fuga. Come riporta wikipedia: "Mahendradatta è ricordata anche nei racconti relativi alla vita di suo figlio Airlangga e associata, con la dea Durga, alla mostruosa strega Calon Arang." Due leggende con radici comuni, dunque, che probabilmente rievocano qualche evento luttuoso svoltosi in quegli anni e alcuni fatti biografici della regina, come il fatto che fu lei a introdurre a Bali il culto di Durga, la dea induista dai molti nomi (Devī, Sarasvati, Parvati, Shakti, Lakshmi, Kālī). Un culto che ha anche un aspetto sacrificale perché, come molte antiche divinità, anche Durga possiede sia il potere di creare che quello di distruggere. Periodicamente l’epica battaglia tra Rangda e Barong, che simboleggia l’eterna lotta tra bene e male, viene ricordata inscenando una danza Barong a cui partecipano le rispettive maschere. 

Le Leyak invece sono coloro che praticano la magia nera e il cannibalismo e quindi, se ho ben compreso, avrebbero una natura essenzialmente umana. Vengono però spesso raffigurate con lunghe lingue penzolanti e due zanne: statue che le mostrano con queste sembianze sono piuttosto comuni come decorazioni nelle abitazioni private o in luoghi pubblici, probabilmente in funzione apotropaica. In Idonesia si dice che le Leyak si nutrano di cadaveri (di conseguenza infestano i cimiteri) e che possano trasformarsi in animali, ma sebbene di giorno abbiano l’aspetto di comuni esseri umani, la notte separano la testa dal corpo e le teste, con le viscere penzolanti, vagano alla ricerca di prede. 
A quanto ho capito, nella tradizione balinese alle Leyak si attribuiscono sovente le malattie e i decessi improvvisi o che non hanno una spiegazione razionale: la tradizione prevede che un balian (ovvero un guaritore) conduca una seduta spiritica e se il responsabile del fatto viene identificato in una Leyak o nella stessa Rangda, questo rituale catartico assumerà la doppia funzione di scagionare responsabili umani, attribuendo l’evento luttuoso a una forza esterna, e di ricompattare la comunità. In maniera simile, le leggende su Rangda servirebbero a giustificare grossi disastri naturali, come inondazioni, fenomeni atmosferici o di altro genere. 

Alle figure di Rangda e delle Leyak s’ispira l’horror soprannaturale indonesiano “Leák”, girato nel 1981 dal regista H. Tjut Djalil con la partecipazione di Sofia W.D. e Debby Cynthia Dewi nella parte di Rangda (nelle sue versioni vecchia e giovane), Ilona Agathe Bastian nel ruolo di Catherine "Cathy" Kean, Yos Santo in quello di Mahendra e W.D. Mochtar in quello di Machesse. Uno dei suoi titoli alternativi è “Mystics in Bali”, ed è quello con cui è più noto; l’altro è “Balinese Mystic” (in originale: Mistik (Punahnya Rahasia Ilmu Iblis Leak)). Ho appreso ora che la sceneggiatura si basa sul romanzo “Leák Ngakak” di Putra Mada, ma non avrei idea di dove reperirlo e comunque dubito sia mai stato tradotto in una lingua che conosco. 

Cathy è un’americana, reduce da un viaggio in Africa per apprendere il voodoo, che si trova a Bali per completare un libro sulla magia che nelle sue intenzioni dovrebbe contenere anche informazioni di prima mano sulla “Leák magic”, la magia nera più potente del mondo. Il piano è incontrare la Regina dei Leák, farsi insegnare i suoi segreti, poi pubblicare il libro e tornare alla vita di prima: cosa potrebbe mai andare storto? 
Il suo amico Mahendra prova a metterla in guardia, ma non insiste troppo. Invece, le organizza un incontro notturno con la Regina dei Leák, che è particolarmente ripugnante, con le lunghe unghie e il viso deforme (ma ha la caratteristica di non mostrarsi mai con lo stesso volto). La megera la accetta come discepola, e in effetti le insegna a mutare forma e a praticare la telepatia, ma allo stesso tempo la trasforma in una “vampira” Leák che di notte succhia il sangue di donne gravide e neonati: il suo scopo è recuperare la giovinezza e vivere per sempre (non ho ben capito il meccanismo in base al quale quando Cathy si nutre debba essere la strega a beneficiarne, ma non è importante). 
Il fatto che dopo ogni notte trascorsa con la strega Cathy stia male non fa accendere un campanello d’allarme né in lei, né in Mahendra; e così, Cathy/Leák comincia a terrorizzare i villaggi dei dintorni, fino a quando gli abitanti non si riuniscono per capire cosa fare. È lo zio di Hendra, Machesse, a scoprire che il mostro è Cathy e a impedire che la sua testa si riunisca con il corpo, seppellendo in seguito il corpo decollato e organizzando una veglia per sorvegliarlo (**). In seguito Machesse combatte con la Regina, venendo sconfitto, ma gli subentra lo spirito di un suo antenato, Oka (che rappresenta un avatar di Barong), che già una volta aveva sconfitto la Regina dei Leák: stavolta la battaglia è all’ultimo sangue, e la megera finirà per soccombere alle prime luci dell’alba come il più sfigato dei vampiri, portando con sé nella tomba anche la sua accolita. 

In “Mystics in Bali” il vero villan è la Regina e la Leák, da lei manovrata, è solo un’altra delle sue vittime, una sorta di golem in salsa indonesiana. Durante il giorno, infatti, Cathy ha dei ricordi confusi di ciò che è avvenuto la notte precedente e certo non rammenta di aver commesso degli omicidi: se un film del genere prevedesse un qualsiasi approfondimento psicologico, il suo sarebbe un personaggio tragico per cui provare pietà.

Che dire di questo film? Lo adoro. L’ho visto più volte e non mi stanco mai di guardarlo: è “so bad it’s good.” Intanto, è la prova della relatività di Einstein, perché i giorni durano un battito di ciglia... ed è subito sera (cit.). Gli incontri di Cathy con la strega, l’apprendistato, le uccisioni, la battaglia finale: tutto avviene di notte e di giorno, come avrete capito, non succede nulla, a parte qualche amoreggiamento di Cathy e Hendra con in sottofondo una musica da telenovela. Il lato positivo è che non ci sono quasi momenti morti. C’è da dire che la versione che oggi circola su YouTube ha una durata variabile da 80 a 85 minuti, ma secondo IMDb la durata totale dovrebbe essere di 1h 56’: ho un vago ricordo di aver visto questa versione lunga la prima volta che ho guardato il film, una decina di anni fa (rammento più interazioni fra la coppia protagonista e passaggi meno bruschi dal giorno alla notte e da una notte all'altra, cioè uno svolgimento della storia più lento e coerente), il che vorrebbe dire che per qualche motivo il girato è stato poi tagliato con l’accetta. Ho anche cercato nei miei archivi sul pc per capire se riuscivo a risalire alla versione originale, ma non ci sono riuscito, quindi prendete quello che dico con le pinze. Comunque, quasi due ore per un film del genere sarebbe forse una durata un pelino eccessiva, quindi direi che possiamo farcene una ragione. 

Sempre secondo IMDb, “Mystics in Bali” è il lungometraggio di maggior successo mai prodotto in Indonesia e anche il primo film horror indonesiano rivolto a un pubblico occidentale, e infatti la versione che gira è doppiata in inglese (i sottotitoli generati da YouTube in automatico sono sufficienti per capire tutto, se ce ne fosse bisogno). La locandina, che avevo già postato qui, arriva addirittura a definirlo “The holy grail of asian cult cinema” e verrebbe da chiedersi le ragioni di una così grande considerazione, considerato che, oltre ai difetti elencati sopra, la recitazione è a dir poco amatoriale. La giovane donna che interpreta Cathy, Ilona Agathe Bastian, non è neppure una vera attrice e questo è l’unico film cui abbia mai preso parte: Ilona era una studentessa tedesca in vacanza a Bali e fu dunque solo per un evento fortuito che venne ingaggiata per quel ruolo, ricevendo come compenso un periodo extra di vacanza pagato dalla produzione. Questo spiega ampiamente la sua mono-espressione e l’aria vagamente spaesata di cui fa mostra per quasi tutto il tempo; meno comprensibili sono le altre, altrettanto scarse, performance. 

Credo che la risposta a questa domanda sia che nel film ci sono un sacco di momenti di involontaria comicità, ma anche rari sprazzi in cui riesce non dico a inquietare, ma a creare tensione non tanto per quello che mostra, ma per quello che suggerisce a proposito delle implicazioni della magia (sempre, beninteso, che uno tenti di crederci). Tra i momenti iconici e genuinamente divertenti c’è la mitologica risata acuta e satanica che ogni volta precede l’apparizione della Regina; altri momenti cult sono le scene delle trasformazioni in animale; il combattimento finale con lo spirito dell’antenato, specialmente quando la strega assume la forma di un maiale antropomorfo (perché?); e un colpo di scena assurdo dove una tizia mai vista prima (in realtà si intravede ogni tanto mentre spia Hendra e Cathy) si getta fuori da un cespuglio e muore per salvare Hendra, dicendogli di amarlo ancora anche se lui l’ha lasciata per un’altra (!). Ma il top lo si raggiunge quando un mattino Cathy vomita un topo vivo assieme a della poltiglia marrone e Mahendra non fa una piega, benché un attimo prima se la stesse limonando, incolpando del malessere qualcosa mangiato la sera prima (!!!). 

La colonna sonora è abbastanza azzeccata e angosciante (a parte le parentesi da soap opera, come detto sopra), mentre gli effetti speciali sono ovviamente artigianali, e altrettanto ovviamente ridicoli: la lunga lingua prensile della strega realizzata, a occhio, con una marionetta da guanto infilata su una pertica o una lenza da pesca manovrata maldestramente da qualcuno fuori dall’inquadratura; i lampi di luce farlocchi che escono dalle mani della strega; le scene di levitazione di Oka; le trasformazioni in animale rese con effetti prostetici trasformate in vere riprese video. La magia e il folklore non sono temi nuovi al cinema ma, per un pubblico occidentale, quanto viene mostrato qui è tanto bizzarro da divenire in qualche modo memorabile. Insomma io ve lo consiglio, poi fate voi. 

* Secondo la wikipedia inglese dovrebbero esserci anche Leyak maschi, ma in mancanza di una fonte affidabile continuerò a indicarla solo al femminile. 
** Uno dei metodi tradizionali per uccidere una Leák è infatti distruggere, bruciare o nascondere il suo corpo in modo che non possa trovarlo prima dell’alba. Qui questo non avviene e difatti si organizza una veglia di tre giorni per impedirle di recuperarlo (non potevano bruciarlo, il corpo? O forse siccome la Leák non è diventata tale in maniera accidentale ma è stata creata dalla Regina, è questa a tenerla in vita? Boh, non è dato saperlo). Un altro modo per ucciderla è strappare le interiora dalla testa con un coltello o un machete, oppure piantare arbusti o viticci con rami appuntiti nel giardino di casa e attorno alle finestre e mettere degli oggetti acuminati sulle cornici delle finestre nella speranza che Leák ci s’impigli e si strappi gli intestini da sola.

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