Sono passati quasi dieci anni dallo speciale thailandese “Bangkok Haunted” e ancora sono
convinto si tratti di una delle cose migliori che abbia mai pubblicato qui sul blog. E non parlo di scrittura
(non ho mai pensato di scrivere particolarmente bene), ma del fatto che credo di aver tratto il massimo dal
poco materiale cinematografico a mia disposizione (come scrissi allora, “il cinema tailandese è molto
restio a rivelarsi per intero.”).
All’epoca avrei voluto proseguire nell’esplorazione del cinema folk horror del sudest asiatico, ma avevo
sempre altro da fare e, semplicemente, la cosa mi è passata di mente, riaffiorando solo nei momenti meno
opportuni. Faccio ammenda con questo timido tentativo, partendo da un film indonesiano che omaggia la
figura che all’epoca più di tutte aveva colpito la mia immaginazione: Leyak/Leak, detta anche Palasik o
Kuyang (il nome varia nei tre principali gruppi etnici del paese e anche la grafia a volte cambia, benché
l’indonesiano usi in gran parte l’alfabeto latino). Leyak altro non è che l’equivalente della thailandese
Krasue, un essere che si presenta sotto forma di una testa femminile con appese delle interiora
sanguinanti che vaga di notte alla perenne ricerca di donne incinte per succhiare il sangue dei feti o dei
neonati (vedi qui).
Queste premesse sul folklore sono necessarie, altrimenti lo spettatore che fosse del tutto a digiuno di
questi temi rimarrebbe spiazzato e finirebbe per capire ben poco di quello che sta guardando.
La mitologia balinese (come anche quella thailandese) comprende divinità e creature mitologiche di
religioni diverse (soprattutto induiste, ma anche buddiste) fuse con miti e credenze animiste del tutto
integrate nella vita contemporanea, ed è questo che la rende così affascinante. Infatti, la religione ufficiale
dell'Indonesia è l'Islam, ma oltre il 90% dei balinesi si professa induista. Tra le figure di spicco del
pantheon balinese abbiamo Rangda, una regina del male a cui sono votati demoni e Leyak (d’ora in poi,
per semplicità, le chiamerò così*), anche detta, per questo motivo, "Regina delle Leyak". È una strega-vedova (in giavanese antico Rangda significa proprio "vedova") che ha anche un ruolo in rituali pubblici,
dato che una sua maschera è conservata nei templi dei villaggi e durante le festività viene portata in
processione. Suo nemico naturale è l'incarnazione del bene, Barong, che letteralmente significa "orso" ma
che nelle parate viene rappresentato come un miscuglio tra un drago e un grosso felino, e la cui origine
deriva probabilmente dal culto animista e simboleggia il potere protettivo soprannaturale degli animali,
benché il suo aspetto, che tradisce origini demoniache, sia abbastanza inquietante: occhi sporgenti, pelle
rossa, denti affilati e una lunga barba dove si concentra il suo potere magico. La sua maschera sacra è la
più importante di Bali, ma non è l’unica.
Rangda è in pratica l'incarnazione di Calon Arang, una strega leggendaria che secondo la tradizione
danneggiò gravemente Giava durante il regno di re Airlangga, vissuto tra il 1002 e il 1049 d.C..
Calon
Arang viveva nel villaggio di Girah, era vedova e aveva una bellissima figlia, Ratna Manggali, che però
non riusciva a trovare marito perché i possibili pretendenti erano terrorizzati dal fatto che venisse da una
famiglia di streghe. Calon Arang pensò di vendicare la figlia rapendo una ragazza da un villaggio e
sacrificandola alla dea Durga, che in cambiò scatenò un’alluvione che travolse il villaggio e una
pestilenza che uccise i superstiti. Il re chiese aiuto al suo maestro e consigliere, Empu Bharada, il quale
ordinò a un suo discepolo, Empu Bahula, di sposare Ratna, placando le ire di Calon Arang e facendo
cessare la devastazione. Ma Empu Bahula in seguito rubò il libro degli incantesimi di Calon Arang e
questa si scagliò contro il suo maestro Empu Bharada, ma senza l’aiuto di Durga non poté far altro che
soccombere; da quel momento i problemi cessarono e la vita tornò alla normalità.
Ci sarebbe un’altra
versione della leggenda in cui Rangda sarebbe l’alter ego demoniaco della ex regina Mahendradatta (o
Gunapriyadharmapatni), moglie del re balinese Udayana Warmadewa della dinastia Warmadewa, e
madre di Airlangga, condannata all’esilio dal suo consorte perché praticava la magia nera. Alla morte del
marito (ecco perché “Rangda”), la Regina avrebbe evocato le legioni del male (demoni, spiriti maligni
della giungla e Leyak) per portare caos e morte nel regno, ma fu contrastata da Airlangga e dal re degli
spiriti Barong. Fu proprio quest’ultimo a uscire vittorioso dallo scontro, mentre Rangda si diede alla fuga.
Come riporta wikipedia: "Mahendradatta è ricordata anche nei racconti relativi alla vita di suo figlio
Airlangga e associata, con la dea Durga, alla mostruosa strega Calon Arang." Due leggende con radici
comuni, dunque, che probabilmente rievocano qualche evento luttuoso svoltosi in quegli anni e alcuni
fatti biografici della regina, come il fatto che fu lei a introdurre a Bali il culto di Durga, la dea induista dai
molti nomi (Devī, Sarasvati, Parvati, Shakti, Lakshmi, Kālī). Un culto che ha anche un aspetto sacrificale
perché, come molte antiche divinità, anche Durga possiede sia il potere di creare che quello di distruggere.
Periodicamente l’epica battaglia tra Rangda e Barong, che simboleggia l’eterna lotta tra bene e male,
viene ricordata inscenando una danza Barong a cui partecipano le rispettive maschere.
Le Leyak invece sono coloro che praticano la magia nera e il cannibalismo e quindi, se ho ben compreso,
avrebbero una natura essenzialmente umana. Vengono però spesso raffigurate con lunghe lingue
penzolanti e due zanne: statue che le mostrano con queste sembianze sono piuttosto comuni come
decorazioni nelle abitazioni private o in luoghi pubblici, probabilmente in funzione apotropaica. In
Idonesia si dice che le Leyak si nutrano di cadaveri (di conseguenza infestano i cimiteri) e che possano
trasformarsi in animali, ma sebbene di giorno abbiano l’aspetto di comuni esseri umani, la notte separano
la testa dal corpo e le teste, con le viscere penzolanti, vagano alla ricerca di prede.
A quanto ho capito, nella tradizione balinese alle Leyak si attribuiscono sovente le malattie e i decessi
improvvisi o che non hanno una spiegazione razionale: la tradizione prevede che un balian (ovvero un
guaritore) conduca una seduta spiritica e se il responsabile del fatto viene identificato in una Leyak o nella
stessa Rangda, questo rituale catartico assumerà la doppia funzione di scagionare responsabili umani,
attribuendo l’evento luttuoso a una forza esterna, e di ricompattare la comunità. In maniera simile, le
leggende su Rangda servirebbero a giustificare grossi disastri naturali, come inondazioni, fenomeni
atmosferici o di altro genere.
Alle figure di Rangda e delle Leyak s’ispira l’horror soprannaturale indonesiano “Leák”, girato nel 1981
dal regista H. Tjut Djalil con la partecipazione di Sofia W.D. e Debby Cynthia Dewi nella parte di
Rangda (nelle sue versioni vecchia e giovane), Ilona Agathe Bastian nel ruolo di Catherine "Cathy"
Kean, Yos Santo in quello di Mahendra e W.D. Mochtar in quello di Machesse. Uno dei suoi titoli
alternativi è “Mystics in Bali”, ed è quello con cui è più noto; l’altro è “Balinese Mystic” (in originale:
Mistik (Punahnya Rahasia Ilmu Iblis Leak)). Ho appreso ora che la sceneggiatura si basa sul romanzo
“Leák Ngakak” di Putra Mada, ma non avrei idea di dove reperirlo e comunque dubito sia mai stato
tradotto in una lingua che conosco.
Cathy è un’americana, reduce da un viaggio in Africa per apprendere il voodoo, che si trova a Bali per
completare un libro sulla magia che nelle sue intenzioni dovrebbe contenere anche informazioni di prima
mano sulla “Leák magic”, la magia nera più potente del mondo. Il piano è incontrare la Regina dei Leák,
farsi insegnare i suoi segreti, poi pubblicare il libro e tornare alla vita di prima: cosa potrebbe mai andare
storto?
Il suo amico Mahendra prova a metterla in guardia, ma non insiste troppo. Invece, le organizza un
incontro notturno con la Regina dei Leák, che è particolarmente ripugnante, con le lunghe unghie e il viso
deforme (ma ha la caratteristica di non mostrarsi mai con lo stesso volto). La megera la accetta come
discepola, e in effetti le insegna a mutare forma e a praticare la telepatia, ma allo stesso tempo la
trasforma in una “vampira” Leák che di notte succhia il sangue di donne gravide e neonati: il suo scopo è
recuperare la giovinezza e vivere per sempre (non ho ben capito il meccanismo in base al quale quando
Cathy si nutre debba essere la strega a beneficiarne, ma non è importante).
Il fatto che dopo ogni notte
trascorsa con la strega Cathy stia male non fa accendere un campanello d’allarme né in lei, né in
Mahendra; e così, Cathy/Leák comincia a terrorizzare i villaggi dei dintorni, fino a quando gli abitanti non
si riuniscono per capire cosa fare. È lo zio di Hendra, Machesse, a scoprire che il mostro è Cathy e a
impedire che la sua testa si riunisca con il corpo, seppellendo in seguito il corpo decollato e organizzando
una veglia per sorvegliarlo (**). In seguito Machesse combatte con la Regina, venendo sconfitto, ma gli
subentra lo spirito di un suo antenato, Oka (che rappresenta un avatar di Barong), che già una volta aveva
sconfitto la Regina dei Leák: stavolta la battaglia è all’ultimo sangue, e la megera finirà per soccombere
alle prime luci dell’alba come il più sfigato dei vampiri, portando con sé nella tomba anche la sua accolita.
In “Mystics in Bali” il vero villan è la Regina e la Leák, da lei manovrata, è solo un’altra delle sue vittime,
una sorta di golem in salsa indonesiana. Durante il giorno, infatti, Cathy ha dei ricordi confusi di ciò che è
avvenuto la notte precedente e certo non rammenta di aver commesso degli omicidi: se un film del genere
prevedesse un qualsiasi approfondimento psicologico, il suo sarebbe un personaggio tragico per cui
provare pietà.
Che dire di questo film? Lo adoro. L’ho visto più volte e non mi stanco mai di guardarlo: è “so bad it’s
good.” Intanto, è la prova della relatività di Einstein, perché i giorni durano un battito di ciglia... ed è
subito sera (cit.). Gli incontri di Cathy con la strega, l’apprendistato, le uccisioni, la battaglia finale: tutto
avviene di notte e di giorno, come avrete capito, non succede nulla, a parte qualche amoreggiamento di
Cathy e Hendra con in sottofondo una musica da telenovela. Il lato positivo è che non ci sono quasi
momenti morti. C’è da dire che la versione che oggi circola su YouTube ha una durata variabile da 80 a 85
minuti, ma secondo IMDb la durata totale dovrebbe essere di 1h 56’: ho un vago ricordo di aver visto
questa versione lunga la prima volta che ho guardato il film, una decina di anni fa (rammento più interazioni fra la coppia protagonista e passaggi meno bruschi dal giorno alla notte e da una notte all'altra, cioè uno svolgimento della storia più lento e coerente), il che vorrebbe dire che
per qualche motivo il girato è stato poi tagliato con l’accetta. Ho anche cercato nei miei archivi sul pc per
capire se riuscivo a risalire alla versione originale, ma non ci sono riuscito, quindi prendete quello che
dico con le pinze. Comunque, quasi due ore per un film del genere sarebbe forse una durata un pelino
eccessiva, quindi direi che possiamo farcene una ragione.
Sempre secondo IMDb, “Mystics in Bali” è il lungometraggio di maggior successo mai prodotto in
Indonesia e anche il primo film horror indonesiano rivolto a un pubblico occidentale, e infatti la versione
che gira è doppiata in inglese (i sottotitoli generati da YouTube in automatico sono sufficienti per capire
tutto, se ce ne fosse bisogno). La locandina, che avevo già postato qui, arriva addirittura a
definirlo “The holy grail of asian cult cinema” e verrebbe da chiedersi le ragioni di una così grande
considerazione, considerato che, oltre ai difetti elencati sopra, la recitazione è a dir poco amatoriale. La
giovane donna che interpreta Cathy, Ilona Agathe Bastian, non è neppure una vera attrice e questo è
l’unico film cui abbia mai preso parte: Ilona era una studentessa tedesca in vacanza a Bali e fu dunque
solo per un evento fortuito che venne ingaggiata per quel ruolo, ricevendo come compenso un periodo
extra di vacanza pagato dalla produzione. Questo spiega ampiamente la sua mono-espressione e l’aria
vagamente spaesata di cui fa mostra per quasi tutto il tempo; meno comprensibili sono le altre, altrettanto
scarse, performance.
Credo che la risposta a questa domanda sia che nel film ci sono un sacco di momenti di involontaria
comicità, ma anche rari sprazzi in cui riesce non dico a inquietare, ma a creare tensione non tanto per
quello che mostra, ma per quello che suggerisce a proposito delle implicazioni della magia (sempre,
beninteso, che uno tenti di crederci). Tra i momenti iconici e genuinamente divertenti c’è la mitologica
risata acuta e satanica che ogni volta precede l’apparizione della Regina; altri momenti cult sono le scene
delle trasformazioni in animale; il combattimento finale con lo spirito dell’antenato, specialmente quando
la strega assume la forma di un maiale antropomorfo (perché?); e un colpo di scena assurdo dove una tizia
mai vista prima (in realtà si intravede ogni tanto mentre spia Hendra e Cathy) si getta fuori da un
cespuglio e muore per salvare Hendra, dicendogli di amarlo ancora anche se lui l’ha lasciata per un’altra
(!). Ma il top lo si raggiunge quando un mattino Cathy vomita un topo vivo assieme a della poltiglia
marrone e Mahendra non fa una piega, benché un attimo prima se la stesse limonando, incolpando del
malessere qualcosa mangiato la sera prima (!!!).
La colonna sonora è abbastanza azzeccata e angosciante
(a parte le parentesi da soap opera, come detto sopra), mentre gli effetti speciali sono ovviamente
artigianali, e altrettanto ovviamente ridicoli: la lunga lingua prensile della strega realizzata, a occhio, con
una marionetta da guanto infilata su una pertica o una lenza da pesca manovrata maldestramente da
qualcuno fuori dall’inquadratura; i lampi di luce farlocchi che escono dalle mani della strega; le scene di
levitazione di Oka; le trasformazioni in animale rese con effetti prostetici trasformate in vere riprese
video.
La magia e il folklore non sono temi nuovi al cinema ma, per un pubblico occidentale, quanto viene
mostrato qui è tanto bizzarro da divenire in qualche modo memorabile. Insomma io ve lo consiglio, poi
fate voi.
* Secondo la wikipedia inglese dovrebbero esserci anche Leyak maschi, ma in mancanza di una fonte affidabile
continuerò a indicarla solo al femminile.
** Uno dei metodi tradizionali per uccidere una Leák è infatti distruggere, bruciare o nascondere il suo corpo in modo
che non possa trovarlo prima dell’alba. Qui questo non avviene e difatti si organizza una veglia di tre giorni per
impedirle di recuperarlo (non potevano bruciarlo, il corpo? O forse siccome la Leák non è diventata tale in maniera
accidentale ma è stata creata dalla Regina, è questa a tenerla in vita? Boh, non è dato saperlo). Un altro modo per
ucciderla è strappare le interiora dalla testa con un coltello o un machete, oppure piantare arbusti o viticci con rami
appuntiti nel giardino di casa e attorno alle finestre e mettere degli oggetti acuminati sulle cornici delle finestre nella
speranza che Leák ci s’impigli e si strappi gli intestini da sola.
Nessun commento:
Posta un commento