Non so nemmeno perché mi sto mettendo a scrivere di ‘sta roba. Forse solo perché ho un post da pubblicare oggi, e non avendo nulla di pronto scrivo qualcosa che richiede il minimo impegno; conto infatti di scrivere questo post in una decina di minuti, considerato che non mi occorre nemmeno perdere tempo con il film in oggetto, talmente superflua ne è la visione.
In realtà qualche minuto ce lo persi qualche tempo fa, ma lo feci in maniera smart. Detto in altri termini, un cortometraggio di trenta minuti scarsi guardato ai tempi con velocità 8x (ma a posteriori avrei potuto osare anche di più) mi ha rubato giusto il tempo di un caffè espresso, ed è esattamente il tempo che ho sacrificato io.
Partiamo dal titolo, “The Lady in the Sea of Blood” (血の海の美女), che riassume perfettamente il contenuto di questa assurda creazione: c’è appunto una donna e c’è un mare di sangue. Sarebbe bastato che nel titolo il regista avesse aggiunto “in the bathroom”, specificando appunto l’ambiente dove si svolge l’intera vicenda, e non ci sarebbe stato più nulla da spoilerare.
La locandina è quanto di più truculento un essere umano possa concepire, e ammetto di essere stato combattuto fino all’ultimo sul fatto di postarla qui sul blog oppure andarci giù pesante con la censura. Alla fine ho optato per lasciarla così com’è (nessuna censura da queste parti), ma credo che dovrò trovare una soluzione diversa quando (e se) deciderò di spammare l’esistenza di questo post sui social.
Inutile dire che “The Lady in the Sea of Blood” finisce di diritto nella categoria “Obspoitation Vomit”, dedicata a cose che vanno ben oltre l'aggettivo "estremo", usato anche di recente per cosettine leggere come "Eat the Schoogirl": per meritarsi l'inserimento in questa speciale categoria un film non solo deve essere eccessivo nei suoi contenuti di sesso, sangue e violenza, ma deve essere totalmente inguardabile e pure girato di merda; in altre parole, il film in questione deve far vomitare a trecentosessanta gradi. Esempi di robe finite in questa categoria sono state “Feto morto” di Fernando Rick e “Mondo Weirdo” di Carl Anderson (anche se, ora che ci penso, forse sono stato un po’ troppo duro con quest’ultimo). In quelle due recensioni, se così si possono definire, il vantaggio per chi scrive era che una trama, magari scavando, la si trovava. Lo stesso, ahimè, non si può dire per “The Lady in the Sea of Blood”, che si riduce a una semplice, interminabile sequenza di schifo senza capo né coda. Anche perché, è bene sottolinearlo, la provenienza di questa follia è il Giappone e, per esperienza, da ciò non può venire nulla di buono.
Il corto si apre mostrandoci una ragazza in bagno che si lava energicamente i denti su un lavandino. Il regista si sofferma su questo grande momento di igiene dentale per qualche minuto, lasciandoci pensare che tutto sommato un po’ di energia non guasti. La tipa ce ne mette forse un po’ troppa, e finisce per sputare sangue assieme al dentifricio. La scena si sposta in doccia e l’emorragia continua: la tipa sembra divertita piuttosto che sconvolta, e la cosa la fa ridere, al punto che ci aspettiamo da un momento all’altro qualcosa di peggio che, infatti, non tarda ad arrivare.
Su una mensola lì accanto c’è una confezione famiglia di ciò che sembra un bagno schiuma. La tipa l’afferra e ne rovescia l’intero contenuto in una bacinella. Sorprendentemente, ma non troppo, il liquido che ritenevamo essere sapone liquido è in realtà sangue, o per essere più precisi una poltiglia del colore del sangue che ragionevolmente non può che essere ketchup.
Qui inizia il delirio: la tipa inizia a spalmarsi addosso, su tutto il corpo, quella schifezza, la spalma sulle piastrelle, sul pavimento, sulla rubinetteria, sullo specchio; il tutto mentre ride, con la risata inquietante che solo una psicopatica sarebbe in grado di produrre. E quando tutto l’ambiente è saturo di rosso (forse c’è anche troppo rosso rispetto a quella che pareva essere la capacità iniziale di quel contenitore), la tipa prende a fare cose malate tipo rotolarsi a terra, gesticolare o soffermare lo sguardo su particolari che vede solo lei. La cosa divertente è che, essendo in Giappone vietato dalla legge mostrare al cinema le parti intime, gran parte del girato è pixellato nei punti strategici, perché non sia mai che qualcuno possa uscire scandalizzato dalla visione accidentale di una patata in questo tripudio di innocuo letame.
La situazione non può ovviamente durare in eterno: il regista a un certo punto dovrà per forza prendere in mano la situazione e portare tutto ciò a una conclusione, anche perché, ridendo e scherzando, il minutaggio è agli sgoccioli. E il finale arriva nella maniera ovviamente più scontata: con una vera doccia che spazza via il ketchup e con la pulizia del bagno.
A questo punto anche questa mia recensione dovrebbe evolversi, e potrei provare a dire, come ho fatto in passato tentando di giustificare l’ingiustificabile, che si tratta si un’opera sperimentale e underground che tende a esplorare la psiche umana, con la protagonista che rappresenta la fragilità e la vulnerabilità dell’essere umano; potrei vederla magari come una critica alla società giapponese, spesso caratterizzata da una forte pressione sociale e dalla cultura del conformismo (la ragazza che si prende del tempo per esprimersi in libertà prima di rientrare, con la doccia e la pulizia, nei ranghi della castrante società che ci vuole tutti perfetti e omologati); oppure potrei interpretarla come una rappresentazione della violenza e della brutalità che può essere presente nella società, e il film come un modo per esplorare le conseguenze di tale violenza; potrei anche dire che il bagno è un luogo simbolico che… bla, bla, bla.
Più prosaicamente, credo che questo sia un semplice esercizio di trasgressione e provocazione, un modo per sfidare le convenzioni sociali e le aspettative del pubblico.
Il regista non si firma, o meglio si firma con uno pseudonimo (Okimoto) che non porta a niente, nonostante le mie ricerche su Google. Per quanto ne so potrebbe essere il marchio di fabbrica di un collettivo di appassionati del genere ultragore, di cui potrebbe far parte anche l’anonima attrice.
Nonostante sia evidente che non meglio identificati individui ne abbiano tentato una distribuzione, altre notizie in giro per il web non se ne trovano e, anzi, pare che l’intera internet ne ignori l’esistenza, a parte qualche interessante discussione su Reddit che sposta la mia attenzione su un particolare che il mio cervello aveva percepito ma rapidamente archiviato, ovvero che nei primi fotogrammi, giusto alla destra dei caratteri che corrispondono al titolo originale, appare un misterioso numero “2” che sembra suggerire che questo sarebbe in realtà il secondo capitolo di una saga che, a detta di alcuni, sarebbe composta da quattro o forse cinque cortometraggi.
La cover del DVD commercializzata da tale Twisted Anger, purtroppo, sembra non fare alcun riferimento al fatto che si tratti di un secondo capitolo, e questo potrebbe essere spiegato dal fatto che loro stessi, quelli della Twisted Anger, siano in possesso solo di questo, mentre gli altri sarebbero andati perduti, o al limite conservati negli hard disk di oscuri collezionisti giapponesi.
Se conoscete Reddit quanto me, sapete bene che quando c’è un mistero da risolvere le speculazioni non mancano; c’è un accenno anche all’esistenza di un anime dal titolo “Blood punch of the lady”, ma non v’è prova che sia mai effettivamente esistito. È però venuto fuori il nome del regista (Takeshi Okimoto*), dell’attrice (Maki Sawada**), così come del produttore e della casa di distribuzione originale.
Quello che sappiamo per certo è che è stato girato negli anni Novanta, presumibilmente nel 1997, e che è stato considerato perduto fino a cinque o sei anni fa, quando qualcuno è riuscito non si sa come a recuperare una vecchia VHS, ne ha rippato il contenuto e ha iniziato a farne apparire alcuni spezzoni su dei siti web underground.
Oggi è ancora disponibile in rete nella versione integrale, e anche se i motori di ricerca difficilmente lo offrono come risultato non è impossibile recuperarlo***.
In calce a questo articolo inserisco alcuni link Reddit**** per chi volesse perdersi nel mistero di “The Lady in the Sea of Blood”: magari tali link interessano a pochi tra di voi, ma possono invece servire a me nel caso volessi tornare sull’argomento in futuro.
* Esiste in effetti un regista con quel nome attivo nel mondo del porno. Lo trovate solo digitando il nome in originale: 沖本猛
** Attrice porno. La trovate solo digitando il nome in originale: 沢田麻紀
*** Si trova addirittura su YouTube, anche se è impossibile trovarlo se non avete il link diretto, che è questo.
**** I link da cui si potrebbe partire sono questi qui sotto.
https://www.reddit.com/r/SakisanNoBashitsu/comments/lyrmjt/i_found_someone_who_might_have_seen_the_lady_in/
https://www.reddit.com/r/SakisanNoBashitsu/comments/iv5mci/lady_in_the_sea_of_blood_2_end_credits_and_a/
https://www.reddit.com/r/SakisanNoBashitsu/comments/kgl6mr/what_ive_found_out_about_the_creators_of_litsob/
Probabilmente il mistero attorno a questi film è più interessante dei film stessi.
RispondiEliminaCi puoi giurare! Infatti le mie iniziali intenzioni di chiudere il post in dieci minuti sono cadute miseramente davanti a quei succosi post pescati su Reddit.
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