domenica 13 settembre 2015

Piccole letture estive

L'estate è ormai abbondantemente alle spalle, come avrete notato. Tecnicamente la stagione si chiuderà, come da calendario, solo fra poco più di una settimana, ma le belle giornate spensierate che ci hanno accompagnato sono ormai solo un fugace ricordo. Il blog è ripartito già da qualche giorno, dopo un abbondante mese di chiusura, e ancora non ho ben oliato i suoi meccanismi. Lentamente riprovo a tornare a regime, cercando di trasformare in qualcosa di concreto tutte le idee che mi sono balenate in testa negli ultimi tempi. Non è per niente facile, visto che gli impegni inesorabili della vita lavorativa incombono e mi succhiano un sacco di energie, forse fin troppe se penso alle mie scarse doti di multitasker.
In questi giorni, proprio mentre questo post si pubblica automaticamente, la mia presenza fisica è molto lontana dalle delizie del blogging: sto trascorrendo il mio tempo a Parma, a causa di una rassegna fieristica alla quale la mia azienda partecipa. Mi ritrovo dietro un banchetto a cercare di gestire una moltitudine assurda di persone, mentre la mia testa è ovviamente altrove. Cercherò di resistere, come ho sempre fatto, cercando da un lato di portare a casa la pagnotta e, dall'altro, di gioire di quelle piccole cose che rendono le giornate interessanti anche quando, teoricamente, non lo sono affatto. La fiera in questione è piuttosto famosa, e, se siete amanti della vita all'aria aperta e delle vacanze "on the road", allora avrete sicuramente già capito di quale manifestazione si tratta. Ma non è di questo che oggi voglio parlarvi.
Come avrete già capito dal titolo di questo post, si replica oggi il consueto appuntamento annuale con il resoconto delle mie letture estive. Non si tratta, come d'altra parte è evidente, di accurate recensioni. Diciamo piuttosto che ciò che leggerete sono più che altro delle segnalazioni anche se, tecnicamente, il termine non è del tutto corretto in quanto "segnalazione" di solito si adatta meglio a titoli di recente uscita. Rispetto allo scorso anno ho dedicato molto meno tempo alla lettura, e sebbene il numero dei titoli sia più o meno equivalente alcuni di essi sono decisamente brevi, il che si riflette in un numero di pagine complessivo ai limiti dello scandaloso.

Ma bando alle ciance. Il primo titolo è "L'avvio e la perdizione" di Ornella Spagnulo. Un titolo che, ripensandoci adesso, avrei potuto utilizzare per il primo post di apertura della stagione. Ornella Spagnulo è un'amica, oltre che una collega blogger, e di conseguenza mi pareva bello concedere a lei il piccolo privilegio di inaugurare questa rassegna. Dal sito della casa editrice: "Ornella Spagnulo rende l’interiorità un elemento capace di ispirare e riflettere non solo un’identità singola, ma la condizione umana nelle sue debolezze e nelle sue aspirazioni più profonde. Gli psico-drammi amorosi e il tempo che passa senza sosta sono il tessuto sostanziale dei versi dell’autrice, che trova nella poesia “L’avvio e la perdizione”, una rinascita e affermazione di sé e un allontanamento ulteriore dal conformismo. L’effetto è avvincente. La poetessa ferma, ingigantisce e trasforma nel verso le nostre sensazioni più intangibili e sotterranee, con uno stile che coniuga passato e presente per restituire alla poesia la sua essenzialità". Chi tra voi si ricorda la mia recensione al concept-book "The Wall" e l'intervista che ne seguì non potrà fare a meno di notare diverse similitudini con questa piccola raccolta di poesie che, sebbene io non sia un gran lettore del genere, non ho potuto fare a meno di apprezzare. Sarà forse per via del fatto che avevo già avuto modo di conoscere Ornella attraverso uno dei suoi precedenti lavori, ma i versi che vengono qui proposti sono delle piccole fotografie di vita nelle quali è facile immedesimarsi, nonostante il solco tra il detto e il non detto sia inevitabilmente profondo. Se avete quindi voglia di trovare un momento che sia tutto vostro, un momento da dedicare alla ricerca interiore e che vi consenta di superare il vostro passato e di evolvervi nel vostro futuro, questo è senza dubbio il libro che fa per voi.

Rimaniamo in Italia e andiamo alla scoperta di un nuovo autore decisamente interessante, per non dire sorprendente. Parliamo di Lidia Del Gaudio e della sua opera "I colori del male" pubblicata lo scorso anno per merito della casa editrice Lettere Animate.
Milo è un ragazzino di undici anni che ha perso la madre da poco. Durante una vacanza in campagna scopre una cantina abbandonata pieni di oggetti antichi. Affascinato ne sottrae alcuni. Così cominciano i sogni, visioni angoscianti di quanto accaduto a Parigi nel 1873, nella lurida soffitta del pittore André Dubois, il quale, ispirato dal suo modello preferito Coquin Mechant, dipinge lo strazio di bambini mendicanti. La vicenda di questi quadri misteriosi attraverserà più di un secolo, incrociando molti eventi drammatici della nostra storia, provocando morte e disperazione. A Milo, maturato in fretta, toccherà scoprire che il male si serve delle debolezze umane per affermare il suo potere.
Pur nella sua brevità (poco più di un centinaio di pagine) sono molte le emozioni che si rovesciano su noi lettori, che ci vediamo catapultati quasi senza accorgercene in un universo popolato da pittori maledetti e dai loro angoscianti dipinti, oscuri messaggeri di morte e di eterna dannazione. Non è sicuramente un caso che il sottoscritto si sia lasciato trasportare, senza porre la benché minima resistenza, nella lettura de "I colori del male": da sempre i miei più angoscianti incubi provengono da libri e film dove un quadro, nella duplice veste di istantanea del lato oscuro delle cose e di passaggio tra due mondi paralleli fra loro e incompatibili, è protagonista. Mi viene in mente, così sui due piedi, "Il ritratto di Dorian Gray" oppure, se mi perdonate l'accostamento, lo sconvolgente pittore delle agonie raccontato ne "La casa dalle finestre che ridono" di Pupi Avati. Ne "I colori del male" siamo più dalle parti del secondo che del primo: un paesaggista dell'Ottocento, tale André Dubois, ha lasciato un'eredità terrificante che attende solo di essere rivelata attraverso piccoli indizi, antichi ricordi, i frammenti di un diario, gli oggetti rinvenuti in un'antica magione abbandonata. Esistono davvero quei ritratti agghiaccianti, risalenti a un misterioso "periodo parigino", che alcuni avrebbero riconosciuto qua e là in in tutta Europa nei secoli passati? E chi è, se non il sinistro pittore, colui che ancora oggi porta quel suo ripugnante progetto nel nostro mondo attraverso una sorta di comunicazione onirica?

Proseguiamo decisamente oltre per soffermarci su un'interessantissima raccolta di racconti pubblicata da Tombolini all'interno della sua collana Vaporteppa. Il volumetto (anche in questo caso si tratta di poco più di cento pagine in formato elettronico) raccoglie sette racconti di fantascienza scritti sul finire del diciannovesimo secolo da uno dei veri pionieri della narrativa fantastica: l'americano Edward Page Mitchell, un nome che probabilmente non vi dirà nulla, visto che a differenza di molti altri suoi più celebri colleghi scriveva quasi più per diletto che per un vago e improbabile desiderio di fama o di denaro. Pensandoci bene possiamo addirittura definire Mitchell come il primo autore autopubblicato della storia, avendo inserito i suoi racconti nelle pagine del quotidiano The Sun del quale, in quel periodo, era caporedattore.
Ma qual è l'eccezionalità di questi racconti? Semplicemente, Edward Page Mitchell riuscì ad immaginare situazioni e scenari che sarebbero ricomparsi, anche solo come idea, solo diversi decenni più tardi. Ne "L'uomo senza corpo" (1877) Mitchell immaginò per esempio il teletrasporto con ben 90 anni di anticipo rispetto all'esordio della serie "Star Trek", ne "La Tachipompa" (1872) egli definì un sistema per raggiungere velocità sempre maggiori utilizzando un metodo, quello della Relatività Generale, che Albert Einstein avrebbe descritto solo 30 anni più tardi. Ma non è tutto: ne "Lo spettroscopio dell'anima" (1975) viene proposto un sistema per imbottigliare la musica e renderla così disponibile al pubblico al prezzo di un dollaro a bottiglia. Un'idea che non solo anticipò di due anni l'invenzione del fonografo di Edison, ma che per certi versi è molto più simile all'idea di musica on-demand di cui godiamo oggi dopo l'avvento di internet. Potrei portarvi numerosi altri esempi ma, in questa sede, preferisco rimandarvi alla lettura della postfazione de "La Tachipompa e altre storie", disponibile integralmente sul sito Vaporteppa. A noi basta dire, per concludere questa breve presentazione, che leggere Edward Page Mitchell è un'esperienza entusiasmante. Aldilà dello stile un tantino incerto, ovviamente legato alla sua epoca, è possibile riconoscere nell'opera dell'autore americano un talento indiscutibile e una capacità di analisi senza precedenti.

Il quarto titolo in programma oggi è molto più "consumer" rispetto ai precedenti. Nel senso che si tratta di autore con un nome ben affermato e ben distribuito. Trattasi de "La variante di Lüneburg" di Paolo Maurensig, e la casa editrice è la sempre attenta Adelphi: "Un colpo di pistola chiude la vita di un ricco imprenditore tedesco. È un incidente? Un suicidio? Un omicidio? L’esecuzione di una sentenza? E per quale colpa? La risposta vera è un’altra: è una mossa di scacchi. Dietro quel gesto si spalanca un inferno che ha la forma di una scacchiera. Risalendo indietro, mossa per mossa, troveremo due maestri del gioco, opposti in tutto, e animati da un odio inesauribile, che attraversano gli anni e i cataclismi politici pensando soprattutto ad affilare le proprie armi per sopraffarsi. Che uno dei due sia ebreo e l’altro sia stato un ufficiale nazista è solo uno dei vari corollari del teorema. Un grande maestro del gioco, Kasparov, disse una volta: «Gli scacchi sono lo sport più violento che esista». Asciutto, lucido, teso, questo romanzo lo conferma con una storia che procede essa stessa come una efferata partita di scacchi – e insieme ci rivela uno scrittore."
Opera prima dello scrittore goriziano, che raggiungerà il successo planetario un paio di anni dopo con il celebre "Canone inverso", "La variante di Lüneburg" mostra già chiaramente l'abilità del suo ideatore a comporre puzzle talmente complessi che il lettore faticherà non poco, e solo attraverso il suo aiuto, a districare. Se questo fosse un libro giallo sicuramente non avrebbe nulla da invidiare ai grandi classici del genere, ho pensato. Ma questo non è un libro giallo, questo offre molti più spunti di quanti un libro giallo abbia mai offerto, pur mantenendone l'estetica e regalando quella rara emozione che ci costringe a leggere un rigo dopo l'altro per arrivare il prima possibile alla parola fine. Curiosa e intelligente è la scelta di Maurensig di alternare l'io narrante nel momento in cui quest'ultimo avrebbe rischiato di rivelare anzitempo particolari troppo importanti per il lettore. Il finale però lascia una vaga sensazione di incompiutezza, difficilmente descrivibile. Dopo aver girato l'ultima pagina mi sono sentito un po', come dire, derubato di qualcosa che mi stava appassionando.
Paolo Maurensig è ritornato sull'argomento scacchistico in tempi recenti con il suo ultimo lavoro, datato 2013, dal titolo "L'arcangelo degli scacchi: vita segreta di Paul Morphy" (Mondadori), dedicato ad uno dei più grandi talenti che il celebre gioco di strategia abbia mai avuto. 
È facile, aggiungo io, identificare nella figura di Paul Morphy anche uno dei protagonisti de "La variante di Lüneburg", il tenebroso Tabori, un campione di scacchi precipitato nell'inferno dei lager nazisti.

Chiudiamo con un saggio... anzi no, tecnicamente è più una biografia che un saggio, o forse è un po' tutte e due le cose. Avevo recuperato questo libro un paio di anni fa, per pochi soldi, a una fiera del libro usato. Tenuto malissimo e violentato da improprie sottolineature, l'ho spesso consultato senza mai averlo davvero letto dalla prima all'ultima riga. Ora che l'ho fatto molte cose mi si sono finalmente chiarite. Senza altro indugio riporto qui di seguito ciò che è indicato in quarta di copertina: Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), fondatrice della Società teosofica, è stata un personaggio affascinante e avventuroso come pochi altri. Di nobile famiglia russa, dotata di poteri psichici straordinari, giovanissima si spinse da sola in regioni impervie e lontane (India, Tibet e montagne dell'Himalaya) dove venne in contatto con misteriosi "Maestri", uomini evoluti dai quali ricevette l'insegnamento iniziatico che ella successivamente codificò nei principi di base della teosofia. Primi fra tutti, i concetti di fratellanza universale, reincarnazione e karma, evoluzione attraverso le esperienze di vita. Il grande merito di H.P. Blavatsky e dei suoi successori è quello di avere scoperto per l'Occidente (e in gran parte anche per l'Oriente, come riconobbe lo stesso Gandhi) la grande tradizione filosofico-religiosa indiana, da tempo caduta nell'oblio, di aver operato a favore dello sviluppo sociale e culturale indiano, di aver promosso il risveglio spirituale in un'epoca improntata al materialismo. Questo libro ricostruisce le vicende di vita di H.P. Blavatsky e dei suoi più stretti collaboratori e amici, e delinea lo sviluppo di un movimento di pensiero che ha un suo indubbio ruolo nella storia del pensiero religioso, filosofico ed esoterico del nostro tempo.

Helena Petrovna Blavatsky mi affascina ormai da un sacco di anni, da quando lessi il suo nome sullo scaffale di una celebre libreria esoterica di Milano (oddio, non so quanto sia celebre in generale, ma per me lo è). Una figura singolare che, in vita, è sempre additata come “una dei più abili, ingegnosi e interessanti impostori della storia” (come sentenziato dalla Society for Psychical Research), appellativo che ancora oggi, a un secolo di distanza, non le si è staccato di dosso, nonostante le pubbliche scuse, giunte ormai postume, da parte dei suoi più importanti detrattori.
Il volume, scritto da Paola Giovetti per Edizioni Mediterranee, racconta la vita della Blavatsky sin dalla sua fanciullezza e le circostanze che la condussero alla realizzazione del suo testo più famoso, opus magnum del pensiero teosofico: "La dottrina segreta" (1888). Un giorno magari ne parleremo più diffusamente qui sul blog. Sicuramente meglio di quanto fatto in passato.
Per quest'oggi è tutto. Ma non "tutto" nel senso più definitivo del termine. Ho ancora diversa carne al fuoco ed è matematico che si tornerà presto a parlare di libri da queste parti. Presto quando? Molto presto, ve lo assicuro.

25 commenti:

  1. Bella carellata, ottima scelta. Hola con acclamazione per Mitchell e per La signora Blavatsky ( se non ricordo male ebbe una storia con l'eroe dei due mondi. Bello e interessante il percorso iniziatico che per certi versi fu causa di isolamento. Grandi intellettuali e industriali dell'epoca " di rito scozzese" la osteggiarono e la diffamarono anche dopo la sua morte. ma questa è un altra storia.

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    1. Ricordi bene! Helena Petrovna Blavatsky, tra le sue mille avventure, poté vantare anche una parentesi da guerriera garibaldina. Sembra quasi impossibile crederlo....

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  2. I tuoi gusti e i tuoi interessi si vedono in pieno. Io li conosco già bene grazie alla frequentazione del blog, ma anche un "neofita" che leggesse solo questa lista riuscirebbe a farsi un'idea.

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    1. In effetti le mie scelte, per chi mi conosce, sono abbastanza prevedibili. Vorrei potervi stupire, magari un altr'anno, ma non credo possa accadere... ^_^

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  3. Mi intriga il romanzo di Maurensig, me lo tengo buono per letture future.

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    1. I romanzi dove una scacchiera è protagonista sono sempre affascinanti. Hai mai letto "La tavola fiamminga" di Arturo Pérez-Reverte? Un vero capolavoro...

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  4. Beh per me, e lo dico senz'ombra di ironia e col massimo rispetto, la Blavatski non era più "impostora" (si dice così?) di L. Ron Hubbard. Entrambi magnifici narratori, diciamo che hanno fatto un percorso simile in direzioni diverse: Helena ha fondato la Società Teosofica e ha scritto magnifici libri sulla "sua" storia del mondo, Ron ha iniziato come scrittore SF e poi si è fatto la sua Chiesa "scientifica" (che forse gli ha reso di più).
    La Tachipompa dev'essere interessante: mi ha fatto venire in mente un altro dimenticato scrittore di "Fantascienza-Fantasy" ottocentesca, il francese (ma anti-Verniano) J. H. Rosny aîné, a cui negli anni 80 la Nord dedicò il bel volume "Altri Mondi". Nelle sue descrizioni di esseri extradimensionali che vivono invisibili accanto a noi anticipa addirittura Lovecraft, ma senza il suo pessimismo e il suo disincantato materialismo. Mitchell sembra più "tecnologico" come in genere lo sono gli americani.

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    1. MI pare che ci sia un abisso tra la Blavatski e Hubbard. Quest'ultimo ha messo in piedi la sua chiesa personale e ha venduto tonnellate di "vangeli" che gli hanno permesso di mettere in piedi un impero economico, la Blavatski invece è stata additata come truffatrice (tanto quanto Hubbard) senza tuttavia aver messo da parte un solo centesimo in tutta la sua vita.
      Per quanto riguarda Mitchell, Rosny e tanti altri (ci metto anche Hodgson) è davvero incredibile quanta letteratura dimenticata o sottovalutata ci sia in giro.

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    2. In effetti hai ragione, specie dal punto di vista economico.
      E' solo che io considero "grandi narratori" tutti coloro che da Gilgamesh in poi hanno cercato di dare un senso all'universo e all'uomo riconducendoli a una logica e a un fine "superiore" al puro meccanicismo. Da materialista (vorrei definirmi "Lovecraftiano" o "Leopardiano") riconosco che hanno cercato di soddisfare un bisogno dell'umanità, e perciò li rispetto.
      Forse anche Hubbard, chissà, essendo figlio di una società in cui il successo economico (diciamo in senso neo-calvinista, impropriamente ma tanto per capirci) è cosa virtuosa, ha creduto di essere "nel giusto".

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    3. Tutto può essere. D'altra parte è anche difficile stabilire quanto Hubbard sia riuscito a mantenere la sua barca sulla rotta desiderata. Una volta che la macchina da soldi è partita saranno saltati a bordo in mille aggrappandosi al volante.

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  5. Penso che nel bene e nel male Helena Blavatsky abbia influenzato come pochi altri la cultura europea dalla fine dell'800 in poi. E' davvero difficile trovare artisti, intellettuali e perfino scienziati a cavallo tra XIX e XX secolo che non abbiano avuto a che fare, o poco o molto, con il suo movimento.

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    1. Mi pare che Helena Blavatsky fosse avanti di un secolo rispetto ai suoi tempi. Forse non ha influenzato quasi nessuno dei suoi contemporanei, ma di sicuro ha influenzato centinaia di persone nei decenni successivi, quando il mondo era ormai (quasi) pronto a recepire la sua opera.

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  6. Vero Ivano, senza contare le influenze nei periodi successivi, nei termini di "riformare" determinati percorsi iniziatici.

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  7. Io quest'estate ho letto:
    - un Ellery Queen e un Nero Wolfe
    - 4 romanzi di Dick
    - Cronache marziane di Bradbury (riletto)
    - Cento racconti di Bradbury (miseria, c'era dentro roba introvabile!)
    - Orfani del cielo di Heinlein
    - 2 romanzi di Vonnegut
    - La scienza della fantascienza (un saggio, letto durante le pause tra una lezione e l'altra)

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    1. Quasi tutta fantascienza, vedo... Sembrerebbero interessanti quei cento racconti di Bradbury... vado a curiosare in giro...

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    2. Io di Bradbury ho "34 racconti". Me ne mancano ben 66 :O

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  8. Grazie dell'apprezzamento per "La Tachipompa e altre storie"!
    La mancanza dei racconti di Mitchell in italiano e nella conoscenza degli esperti di fantastico, troppo pronti ad attribuire primati immeritati a Wells o simili, era una grave lacuna. Più ancora della scarsa diffusione de il "Ventesimo Secolo" di Albert Robida, opera ricca di satira intelligente che ha ispirato pure Miyazaki per l'estetica de "Il Castello Errante di Howl".

    Un'operazione culturale (perché, alla fine, lo stile di scrittura è quello che è, pur tenendo testa comunque con Wells) che, in mancanza di altri editori disposti a prendersene carico, abbiamo dovuto fare noi. :-)

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    1. ...ed io non posso che essere contento (e vi ringrazio di cuore) per avermi dato modo di scoprire Mitchell. Non è da tutti il coraggio di pubblicare un autore dimenticato. Un'operazione che può davvero scardinare i soliti luoghi comuni che vogliono Jules Verne l'unico in grado di avere idee per i suoi tempi rivoluzionarie.
      Grazie per essere passato di qua, Duca!

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  9. Belle letture, tutte!*__*
    Pensa che La Tachipompa e altre storie è finito nella lista delle letture future da un po': fatico a ricordare dove e come ho scoperto questo titolo, ma mi ha colpito parecchio!
    Maurensig è invece una sicura "prossima" lettura: sono anni, ormai, che desidero leggere La variante... e se non l'ho fatto è unicamente per mancanza di tempo e troppe letture *__*

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    1. Ti capisco. Le liste di lettura sono sempre monumentali e continuano a crescere invece di decrescere. Pazzesco!

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    2. Il che è allo stesso tempo entusiasmante e terribile! XD

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  10. Mi incuriosisce Mitchell, ma penso che per quest'anno l'operazione "nostalgia" mi farà recuperare Chambers.

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    1. Anche perché così, intanto, seguirei meglio i tuoi post su Carcosa... ;)

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    2. Mitchell o Chambers? Sono entrambe ottime scelte! Scegliendo il secondo avresti però effettivamente un vantaggio su molti altri...

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