A cosa si ispira la terrificante figura di Sadako? Quale oscuro mistero si cela dietro ad uno dei più vendicativi fantasmi del cinema giapponese? Questo è il momento di mettere per un attimo da parte lo speciale dedicato al Ring cinematografico per avventurarsi in una delle più affascinanti leggende della tradizione giapponese, una leggenda che, ormai da diversi secoli, fa tremare (e in parte anche sognare) intere generazioni.
La leggenda di Okiku è una delle più antiche storie di fantasmi giapponesi di tutti i tempi, le cui origini risalgono a un tempo talmente remoto che il suo ricordo è andato perduto con il trascorrere dei secoli. Le prime testimonianze certe risalgono al 1741, anno in cui uno spettacolo intitolato Banchō Sarayashiki (番町皿屋敷, The Dish Mansion at Banchō) era in scena al teatro Toyotake-Za che, in ordine di importanza, rappresentava il secondo teatro dei burattini di Osaka (il più importante, il Takemoto-Za, sorgeva esattamente dal alto opposto della strada).
Non è tuttavia escluso che il Banchō Sarayashiki fosse anche di molto precedente, considerato che il Bunraku ha caratterizzato un po’ tutto il periodo Tokugawa (1600-1867). D’altra parte non è un mistero che Chikamatsu Monzaemon (近松 門左衛門), uno dei più importanti autori di Kabuki e di Bunraku, fosse già attivo nel XVII secolo e i suoi lavori più celebri, The Love Suicides at Sonezaki (曾根崎心中, Sonezaki Shinjū, 1703) e The Love Suicides at Amijima (心中天網島, Shinjūten no Amijima, 1721), dimostrano, nel caso ce ne fosse bisogno, che l’interesse del pubblico era concentrato essenzialmente su storie di intensi amori dai tragici epiloghi e, in quanto a questo, il Banchō Sarayashiki non era davvero secondo a nessuno.
Ho parlato non a caso di storia d’amore, in quanto una delle versioni del dramma, quella edulcorata e probabilmente più celebre, è effettivamente una storia d’amore, anche se portata alle estreme conseguenze da una certa dose di autolesionismo, se mi passate il termine. Un tipo di autolesionismo che oggi parrebbe quantomeno bizzarro e fuori luogo, ma che in fin dei conti era lo specchio di quei tempi. Nell’articolo di oggi però non ci focalizzeremo su tale versione, bensì su quella che evidenzia l’aspetto più inquietante di Okiku, l’aspetto che forse più di ogni altro si avvicina alle caratteristiche che abbiamo riscontrato anche in Sadako.
La storia, come spesso accade, si fonde con la leggenda e oggi è dannatamente difficile discriminare le due cose.
Molti anni fa, nella provincia di Harima, una bellissima fanciulla di nome Okiku lavorava al servizio di un samurai di nome Aoyama Tessan, a sua volta subordinato a un feudatario che, dall’alto del castello di Himeji, dettava legge sulla regione. Il castello naturalmente esiste davvero, è considerato uno degli edifici più belli dell’intero Giappone ed è patrimonio dell’UNESCO dal 1993.
Secondo fonti non confermate, i fatti che videro protagonista Okiku risalirebbero ai primi giorni di gennaio dell’anno 1653, il che ci porterebbe a identificare il signore di Himeji con Honda Masakatsu, il daymio che controllò quelle terre dal 1638 al 1671, un periodo lunghissimo per quell'epoca.
Leggenda vuole che Aoyama Tessan fosse da tempo perdutamente innamorato di Okiku senza però essere ricambiato. Le avance del samurai venivano respinte sistematicamente fino al giorno in cui quest’ultimo, portato ormai alla disperazione, decise di passare alla maniere forti.
L’occasione si presentò alla vigilia di una delle grandi feste che il suo Signore dava abitualmente presso il suo castello. Per l’occasione gli fu ordinato di assicurarsi che fosse messo in tavola un servizio di dieci piatti appartenenti alla collezione personale del daymio, un servizio preziosissimo composto da pezzi unici in stile olandese. Aoyama decise di nasconderne uno e, alla vigilia del ricevimento, si levò contro la sua serva accusandola di aver perso uno dei piatti del suo padrone. Alla serva stupefatta il perfido samurai si dichiarò comunque disponibile a offrire protezione in cambio del suo consenso a giacere con lui. Inconsapevole della perfida trama la giovane Okiku, pur consapevole che tale accusa non poteva significare altro che una condanna a morte, rifiutò l’oscena proposta. Aoyama Tessan, ancora una volta umiliato, si scagliò furente contro la donna, la strangolò e gettò il suo corpo nel pozzo.
Da quel momento, notte dopo notte, si ode una voce cavernosa risalire dalle profondità della terra. Una voce disperata che, ancora inconsapevole dell’inganno, non trova requie al pensiero del decimo piatto smarrito. Ogni notte la si sente contare disperatamente… uno, due, tre, quattro cinque, sei, sette, otto, nove... e dopo il nove, un lungo sospiro e di nuovo uno, due, tre… continuamente, una notte dopo l’altra, instancabilmente. Okiku si trasformò in uno spirito senza pace in grado di trascinare il suo assassino, notte dopo notte, negli abissi della follia.
Una diversa versione riferisce invece che Aoyama Tessan era caduto in disgrazia a causa di un tentativo fallito di rivolta contro il suo Signore: a seguito di tale avvenimento Okiku, rimasta senza protezione, cadde in balia del capo delle guardie del feudatario. L’epilogo della vicenda rimane comunque identico, nonostante si sia voluto identificare l’omicida con una terza persona. Un'ulteriore versione vuole che Okiku si accorga del complotto ordito da Aoyama e lo denunci al suo Signore: il perfido samurai, per tapparle la bocca, agisce come sappiamo.
Esiste anche una leggenda correlata che sposta però gli avvenimenti indietro di due secoli ed eleva Okiku da semplice serva a dama di compagnia. Il feudatario, questa volta identificato in Hosokawa Katsumoto, riceve direttamente da Okiku la soffiata del complotto in atto a suo danno. In questa ennesima versione il finale diventa anche più cruento, perché Asayama Tetsuzan, il malvagio samurai il cui nome ha qui subito una lieve modifica, non si accontenta di strangolare la poveretta, ma mette in atto un'efferata tortura: l’appende per i piedi alla corda di un pozzo e, sadicamente, prende a accanirsi su di lei con la katana, prima lentamente, poi aprendole ferite sempre più profonde finché, prima che sopraggiunga la morte, la lascia cadere di sotto con un ultimo netto colpo di spada. Una scena terribile che non poteva che scatenare le forze più oscure dell’inferno. E così, quella stessa notte, lo spirito di Okiku, trasformatosi in un onryō (怨霊), troverà la strada del ritorno dal regno dei morti.
Ma la storia d’amore a cui si era accennato all’inizio? Che ne è stato? Non vi preoccupate, parleremo presto anche della versione più romantica della storia di Okiku, anche se probabilmente non riusciremo a farlo in questo mese di aprile, visti i ritmi serratissimi che questo progetto impone.
Nel frattempo però, se avete in progetto un viaggio in Giappone per ammirare la fioritura dei ciliegi (quest’anno siete già un pelino in ritardo per il sakura, ma se correte in aeroporto dovreste farcela), perché non prevedere una sosta presso il castello di Himeji? Il castello è una delle attrazioni più visitate di tutto il Giappone e spesso viene usato come location di film (ad esempio, sono stati girati lì “Ran” di Akira Kurosawa e “L’ultimo Samurai” di Edward Zwick). Oggi è ancora possibile visitare il pozzo nel quale la leggenda vuole che Okiku abbia trovato la morte. Se passate da quelle parti e decidete di recarvi nottetempo a visitarlo, prestate attenzione: benché mossi dal senso di vendetta, gli onryō molto difficilmente si accontentano di tormentare chi in vita fece loro del male. Spesso il loro rancore, amplificato dal trascorrere dei secoli, finisce per colpire irrazionalmente chiunque incroci la loro strada o si trovi a passare, anche inconsapevolmente, nei luoghi a cui il loro spirito è più legato. D’altra parte Ring dovrebbe avervi insegnato qualcosa, no?
Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta la parte 9 in un totale di 100. Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte dello Speciale Ghost in the Well che è iniziato il primo del mese. Buona lettura! P.S.: Possiamo spegnere la 9° candela...
Oh, finalmente la leggenda storica alla quale si ispira la serie di film. E così forse scopro anche il significato di una sanguinosa stampa di Yoshitoshi che avevo inserito nel mio blog nel post a lui dedicato.
RispondiEliminaP.S.: hai ragione, se andassi in Giappone una delle cose che vorrei vedere è il castello di Himeji.
Non sono sicurissimo che quello Yoshitoshi abbia davvero a che fare con Okiku (non v'è infatti traccia né di pozzi né di piatti) ma, da alcune descrizione che ho letto, è molto probabile che lo sia. Sicuramente è invece Okiku il fantasma rappresentato nella prima immagine di quel tuo post.
EliminaPensa che quando sono andato in Giappone quel castello era chiuso per ristrutturazione... roba da mangiarsi le mani!
Splendido nuovo pezzo del puzzle ;-)
RispondiEliminaOvviamente da maniaco-ninja anch'io adoro il castello di Himeji, dove durante le riprese di "Si vive solo due volte" le comparse, vestite con judoji ma che fingevano di essere i ninja di Tiger Tanaka, lanciavano maldestramente gli shuriken e in seguito molti si lamentarono dei danni provocati alle mura del castello durante le riprese. Curiosamente il primo film occidentale a mostrare dei ninja è stato girato nei pressi di un monumento nazionale usato tempo prima dagli americani per motivi bellici: proprio per rivolta contro l'umiliante presenza di uno straniero invasore, e una classe politica corrotta che gli stringe le mani, alcuni scrittori di sinistra negli anni Cinquanta inventarono un personaggio letterario anacronistico, un dichiarato falso storico che ancora oggi chiamiamo ninja...
Posso immaginare il disastro compiuto giocando maldestramente con gli shuriken... Roba da pazzi!
EliminaIo ormai ti leggo in religioso silenzio. :-)
RispondiEliminaI tuoi articoli ci arricchiscono culturalmente e ci aiutano a comprendere sempre più l'affascinante folklore del Sol Levante, non smettere.
Stavo infatti cominciando a notare il tuo religioso silenzio... lieto di sapere che continui a leggere ^_^
EliminaIdem come Pirkaf :)
RispondiEliminaAnche tu religioso?
EliminaMi inserisco nella sica dei commenti di @Pirkaf e @ Orlando Furioso. ;)
RispondiEliminaCommento furbetto ;)
EliminaGiusto a titolo di curiosità devo dire che questa leggenda in modo molto semplificato l'avevo già incontrata, ma la cosa che mi fa pensare è il dove, in un episodio di Doraemon.
RispondiEliminaE' stato già detto ma, affascinante, e per certi versi inquietante.
Non ho visto quell'episodio, ma questa cosa di Doraemon mi sa che mi era già giunta all'orecchio...
EliminaCerto, una bella differenza tra la componente legata alle leggende (nelle versioni riportate) e la rappresentazione cinematografica...
RispondiEliminaÈ la naturale evoluzione di un mito. Basti pensare alle figure classiche a noi più familiari, come vampiri e licantropi, e come si siano evoluti attraverso anni, se non secoli, di (re)interpretazioni.
EliminaSai per caso il significato del nome Sadako? Ko è la desinenza femminile e fin qui ci arrivo, ma Sada?
RispondiEliminaIl termine Sada (貞) significa purezza, castità, verginità; la desinenza ko (子) significa bambino/a, fanciullo/a.
EliminaNon ricordo di avere mai incontrato nomi giapponesi maschili che terminano in -ko. Però adesso mi fai anche ricordare che il kangi Ko sta per "piccolo".
EliminaQueste storie di fantasmi dell'Oriente sono davvero cruente, molto di più di quelle a cui siamo abituati qui in Europa, che hanno un'anima un po' più "psicologica" e meno "fisica".
RispondiEliminaNon saprei.. forse è che a certe "nostre cose" siamo talmente abituati che non ci facciamo più nemmeno caso...
EliminaChe leggenda terrificante. Questa storia della voce in fondo al pozzo che conta i piatti e poi ricomincia mi ha fatto venire la pelle d'oca.
RispondiEliminaMi ricordavo vagamente di aver già visto questo castello; poi hai citato "Ran” di Akira Kurosawa e mi si è accesa una lampadina. Invece non mi ricordo per nulla in quale scena compare ne "L'ultimo samurai". Off topic: vorrei chiederti se quest'ultimo ti è parso un bel film o meno.
L'ultimo samurai? Quando lo vidi ricordo lo trovai piacevole, ma ti parlo di molti anni fa. Ormai me ne rimane solo un ricordo sbiadito. Non so se il mio giudizio oggi, dopo tanta acqua passata sotto i ponti, potrebbe essere ancora identico. Se dovessi scommetterci sopra direi però di no.
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