mercoledì 7 aprile 2021

Confessioni di una maschera #9 (Storie di calcio, Pt.2)

Secondo tuffo nelle mie memorie calcistiche a distanza di pochi giorni e nuovo episodio della serie “Confessioni di una Maschera”. Prima di procedere vi consiglio, se non lo avete già fatto, di andarvi a leggere il post precedente, perché la storia di oggi inizia là dove ci eravamo interrotti. Avevo iniziato, come dicevo, ad accampare scuse sempre più improbabili per scantonare gli inviti del mio amico interista a trascorre le domeniche con lui allo stadio. La noia ormai mi aveva ucciso e non avrei potuto mai più trascorrere i miei pomeriggi in quella maniera allucinante. Per par condicio, tuttavia, decisi di accettare un invito parallelo da parte di un amico milanista e, devo ammettere, con poche speranze feci il mio primo ingresso nello stadio rossonero (che poi è lo stesso, come sapete) in occasione di un Milan-Monza di serie B.

Era il 13 marzo 1983 e la partita andò esattamente come dovette andare, considerata la disparità tra le due formazioni. Alla fine del primo tempo erano già 4-0 (Verza, Jordan, Damiani, Battistini) e il secondo tempo nessuno fece più nulla per tenere svegli i tifosi. Ricordo, a tal proposito, il mio amico lamentarsi di ciò (mentre a me il Monza risultava a quel punto anche simpatico). È interessante a questo punto notare una sostanziale differenza tra il tifoso interista e quello milanista: mentre il primo tende a volar via dallo stadio a un quarto d'ora dalla fine (accade spesso, come abbiamo visto), il secondo tende a rimanere inchiodato sul suo seggiolino ben oltre il triplice fischio finale. Quel mio amico, per esempio, una volta terminata la partita si voltava verso i suoi vicini e iniziava a commentare quello che aveva visto, trovando di che lamentarsi sul comportamento dell'allenatore, dell'arbitro, del pubblico, del meteo o di qualunque altra cosa gli desse una ragione per ritardare all'infinito l'uscita dallo stadio. Non sono certo che questa sia una caratteristica generale del tifoso milanista, ma ho il forte sospetto che sia così. Da parte mia quello non fu un buon esordio e non credo di essere tornato a San Siro, sponda rossonera, in quella stagione (che tra l'altro il Milan vinse agevolmente con largo anticipo, nonostante lo storico scivolone interno con la Cavese ormai entrato nella storia). 

13 marzo 1983, Milan-Monza 4-0: il terzo gol dei padroni di casa firmato da Oscar Damiani.
Accanto a lui, con il numero 9, lo scozzese più sdentato di tutti i tempi Joe Jordan, detto lo squalo
Certamente tornai sul luogo del delitto l'anno successivo e precisamente il 19 febbraio 1984, quando il Milan, risalito prepotentemente in serie A, alla quinta di ritorno si trovò a incrociare le spade con una lanciatissima Juventus. Dopo la sconfitta di misura subita dal Milan a Torino nel girone d'andata c'erano tutte le premesse per una gara equilibrata, senonché Oscar Damiani si fece espellere da pirla dopo soli tre minuti di gioco, lasciando campo libero a una Juventus che passeggiò letteralmente sulle macerie rossonere. Terminò 3-0 con i gol di Platini, Rossi e Vignola. Anche in quel caso, ovviamente, le speranze di sgattaiolare via al fischio finale si infransero in un tornado di discussioni post-gara. Ultimo mio ingresso nella San Siro rossonera anni Ottanta, certificato da tagliando gelosamente conservato, fu un penosissimo derby Milan-Inter (0-0) del 18 marzo 1984 di cui, com'è prevedibile, non ricordo assolutamente niente se non lo spettacolo delle tifoserie e il particolare che quella volta eravamo in tre, i due "cugini" che si beccavano a vicenda e io, in mezzo, che non facevo altro che chiedermi se saremmo andati a casa un quarto d'ora prima o un quarto d'ora dopo. Finì probabilmente con quella partita il mio biennio di formazione calcistica. Per la cronaca il Milan quell'anno terminò ottavo, dietro a una Juve campione e a numerose altre squadre. Come avrete capito, né il mio amico "bauscia" né il mio amico "casciavid" riuscirono a coinvolgermi nella loro passione, che prese definitivamente il largo verso altri colori. Eppure ricordo con piacere quelle uscite domenicali, nonostante il freddo, la pioggia e le chiappe indolenzite (a quei tempi a San Siro non c'erano ancora i seggiolini: si stava seduti sul cemento). Credo che, come per tutte le cose della vita, arrivi il momento di dire basta e di iniziare a dedicarsi ad altro. Il calcio in sé mi piace ancora, ma non al punto dal passare due ore consecutive a guardarlo, specialmente se a tirar calci al pallone ci sono due squadre dei cui destini mi frega meno di zero. 

Trascorsero quasi quindici anni prima del mio rientro in uno stadio importante, ma questa è un'altra storia che magari un giorno racconterò (o magari anche no, dipenderà da come queste mie ultime “Confessioni di una Maschera” saranno recepite). Certamente l'atmosfera non sarà mai più la stessa di quei meravigliosi anni Ottanta, in parte perché non ci saranno più i protagonisti del mondiale spagnolo a calcare il terreno, ma soprattutto perché crescendo si guarda tutto con occhi diversi, viene a mancare quel sense of wonder che può entusiasmare un ragazzino. E viene a mancare anche il tempo, si può dire. O meglio, l'attenzione comincia a spostarsi altrove e quelle domeniche pomeriggio trascorse allo stadio, con gli occhi sul campo e l'orecchio incollato alla radiolina, cominciano a sembrare poco importanti. Oggi, quarant'anni più tardi, un po' rimpiango quei momenti.

Ecco i biglietti che sono riuscito a ripescare dai miei cassetti di ricordi. Il misterioso biglietto in basso
a destra potrebbe essere davvero di tutto. Purtroppo vatti a ricordare quarant'anni dopo...

10 commenti:

  1. Io li rimpiango, oltre che per motivi anagrafici e perché le cose andavano meglio (in questo caso non è un luogo comune ;-) anche perché non c'era l'esasperazione odierna. Francamente mi auspico un grosso ridimensionamento in termini economici (compresa, anzi, in primis la squadra che tifo) e il ritorno a una dimensione più nazionalpopolare, in cui se un giocatore guadagna mezzo milione di euro l'anno è considerato strafortunato e strapagato, non un "poveretto" rispetto ai tanti che prendono cinque, dieci, venti volte di più... (E il discorso dovrebbe valere anche per i manager delle grandi aziende, ma qui il discorso sconfina off topic...)

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    1. La corsa al rialzo è partita ormai tantissimi anni fa, quando le spagnole iniziarono a mettere sul piatto centinaia di milioni per mettere su squadre di fenomeni. In parte hanno avuto ragione, visti i trofei che si sono portati a casa, ma ora quel giochino gli si sta ritorcendo contro. Tutte le altre squadre hanno poi iniziato a fare altrettanto, e per poterlo fare hanno svenduto i propri colori a cinesi, arabi e americani. Uno schifo senza fine...

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  2. Una coincidenza che vinceva la Juve negli scontri diretti? Qualcosa doveva certamente significare..

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    1. Non vorrei sembrare cinico, ma la Juve ha quasi sempre vinto gli scontri diretti con le milanesi. Specialmente a San Siro dove nel corso degli ultimi trent'anni, con rare eccezioni, si è presa sempre delle grandi soddisfazioni. L'unico scontro diretto che contava qualcosa, e mi riferisco alla finale dell'Old Trafford, andò invece come andò...

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  3. Io li rimpiango non tanto in termini di spettacolo e campioni, ma per l'entusiasmo commovente e partecipativo che avevo quando ascoltavo le partite in radio o attendevo di vedere i gol nelle trasmissioni Rai.
    Oggi è tutto spettacolarizzato ed i calciatori sono più icone pubblicitarie che veri e propri miti calcistici, non a caso prevedo un calo drastico d'interesse dei giovanissimi, che comunque è già in atto.
    Le ultime icone del passato sono Messi e Ronaldo, appena smetteranno loro si vedranno solo tanti atleti che corrono come dannati e che hanno un fisico da centometristi, tipo come quasi tutti gli attaccanti che giocano nel campionato inglese.

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    1. Messi e Ronaldo non sono diversi da tanti altri che corrono sui nostri campi di gioco. Sono solo stati i migliori della loro generazione, dentro e fuori dal campo, e lo hanno dimostrato.
      Il vero problema è tutto ciò che gira intorno al mondo del calcio e che non fa che esaltare il primo pirla che ti gioca due partite buone di fila facendogli montare la testa. Balotelli è della stessa generazione degli altri due e guarda cos'ha combinato. Neanche al Monza riesce a fare la differenza...

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    2. Mio fratello frequenta un club cittadino dove molto spesso frequentano due ex calciatori di serie A che ormai vivono in città e fanno gli allenatori, e spesso quando parlano di calcio loro affermano che è venuta meno la tecnica, tanto che quando allenano si stupiscono del fatto che molti calciatori non sanno fare nemmeno un passaggio in verticale di cinque metri.
      Ed è una cosa che si vede anche nei massimi campionati, praticamente sono pochissimi i giocatori che hanno tecnica ed estro o che sanno giocare in verticale o saltano l'uomo, basta vedere la Juventus attuale in tal senso, dove solo Cuadrado e Dybala sono in grado di fare un dribbling.
      Mentre Chiesa è bravissimo, ma è un po' il prototipo del calciatore moderno tutta corsa e dinamismo.
      Io guardo una partita attuale e mi accorgo di quanto siano lontanissimi gli anni '80/90, ma anche i primi anni del duemila.

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    3. Si, è vero, nessuno gioca più in verticale, ed è uno dei motivi per cui la Juve, seppur in superiorità numerica, non è riuscita ad aver ragione di un mediocre Porto. Negli anni Ottanta, con un Platini che faceva lanci di quaranta metri su Rossi e Boniek era tutta un'altra cosa (anche se poi, lo sappiamo bene, arrivava puntualmente un Amburgo a sistemare le cose)...

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  4. Sinceramente e lo ammetto non sono mai andato allo stadio. Ho le mie preferenze, tifo una squadra ben precisa però non ho nessuna intenzione di lasciarmi trascinare negli eccessi da tifoso. certo, il Calcio degli anni 80 rimane un'altra cosa lontano anni luce da quello che è diventato oggi.

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    1. Infatti oggi non solo non vado più allo stadio, ma nemmeno mi metto a guardare il calcio in televisione perché so già che tempo dieci minuti mi addormenterò (si, qualche partita di Champions ogni tanto me la guardo, le rare volte che la passano in chiaro, ma facendo anche contemporaneamente altre cose).

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