venerdì 23 aprile 2021

Da donna a strega: lacrime e sangue (Pt.4)

L'INTRODUZIONE SI TROVA QUI
LA 1' PARTE DI LACRIME E SANGUE QUI

Marduk: "Opus Nocturne" album art, 1994
Con il post di oggi devierò un altro po’ (ma neanche troppo) dal tema cardine di questa serie, ma ora della fine spero che il motivo di questa parentesi sarà chiaro. 
Finora abbiamo parlato di alcuni significati attribuiti all’atto del sacrificio, e di altri parleremo in seguito, ma credo che valga la pena guardare a questo fenomeno da un altro punto di vista. Le sue interpretazioni più diffuse, infatti, tendono a non tener conto del grande mutamento che la mentalità dell’uomo deve aver subito con il passare del tempo. Ovvero, poiché l’uomo arcaico ragionava in modo profondamente diverso da noi, anche i suoi riti dovevano avere un significato diverso da quello che hanno assunto col passare del tempo, in una fase successiva della storia umana. 
Non vorrei dare l’impressione di essere qui a smentire ciò di cui ho parlato finora e di cui parlerò in seguito: Frazer, Graves eccetera hanno certo dato un’interpretazione dei riti e del folclore perfettamente coerente con quella parte di storia dell’umanità che hanno esaminato. Tuttavia, quei riti e quel folclore conservano in sé una matrice più antica, legata a una spiritualità arcaica di cui si è persa la memoria. Questo non è reso meno vero dal fatto che chi ha tramandato certi riti, se pure in una forma derivata o semplificata, nella maggior parte dei casi non fosse neppure in grado (per cultura o inclinazione personale) di accorgersi del loro significato primigenio. Ai nostri giorni la situazione non è mutata: il Cristianesimo moderno, ad esempio, differisce nella forma e nella sostanza da quello degli inizi, ma in pochi se ne rendono conto. Potremmo quindi dire che in ogni epoca ci sono state pratiche o credenze che sono in rapporto fra di loro, ma che ciò non prova che ci sia stata una convergenza trasversale di idee e mentalità nel mondo antico, semmai che queste credenze tendono verso gli stessi archetipi, che hanno cioè lo stesso valore metafisico. 

Uno di quelli che hanno approfondito questo argomento è stato l’antropologo e storico delle religioni Mircea Eliade; e anche se non occorre prendere lo studioso rumeno come unico riferimento, perché questa idea è condivisa da accademici e spiritualisti di ogni grado e ordine, è indubbio che l’appartenere a un’area, come quella balcanica, che costituisce un ponte non solo geografico tra Oriente e Occidente gli abbia reso più semplice un certo tipo di analisi. 

Mircea Eliade (1907-1986)
Eliade affermò che ogni azione dell’uomo arcaico era una rielaborazione mitica e dunque il primo e più importante significato del sacrificio è quello creatore. In tutte le società arcaiche era fortemente avvertito il desiderio del ritorno al “Grande Tempo”, cioè al tempo mitico delle origini; ogni atto e ogni cosa doveva ripetere o echeggiare un atto primordiale, perché se una cosa è stata fatta “una volta”, “in quel tempo”, in modo positivo e fecondo, la sua ripetizione ne acquisirà il senso e la funzione originari e questo la renderà efficace e ne assicurerà la durata; rifare un’azione significa farla coincidere con quella primigenia, e allo stesso tempo inserirsi in quel tempo originario, che è un tempo sospeso, e adempiere alle leggi cosmiche. Così le azioni umane continuano a collocarsi non solo nello stesso tempo (il tempo del mito) ma anche nello stesso spazio (il “centro” del mondo, perché desiderio dell’uomo è di porsi nel cuore della mappa del Cosmo). 
In quest’ottica, effettuare un sacrificio significa ripetere l’atto che ha dato origine al mondo, cioè creare la realtà. Ripercorrendo i miti cosmogonici, possiamo notare che molti di questi sono incentrati su forze che imperavano sul Caos prima della Creazione e che sono incarnate da un serpente o da un drago. Il serpente o drago primordiale viene ucciso da un dio del tuono e della tempesta e dal corpo del mostro si formano il mondo, la terra e il mare, come nel mito vedico di Vṛtra (Ahi) e Indra e in quello babilonese di Tiamat e Marduk
Leggende di mostri ofidici e di dèi loro avversari si trovano un po’ ovunque: nella mitologia greca abbiamo il racconto di Zeus che sconfigge Tifone, ma anche quello di Apollo e Pitone, di Eracle e Ladone e di Eracle e l’Idra di Lerna; sono nemici Jörmungandr e Thor nella mitologia norrena, Bashmu e Nergal in quella mesopotamica, Kaliya e Krishna in quella induista, Gonggong e Zhurong in quella cinese, Yamata-no-Orochi e Susanoo in quella giapponese. Nella cosmologia araba abbiamo Falak, il serpente che si trova al centro della terra e che teme Allah, e perfino nella Bibbia l’avversario di Dio è identificato nel Serpente. Ove non si parli di un drago o di un serpente, si menziona comunque genericamente un gigante primordiale o una divinità (Puruṣa e Marduk, ad esempio); in ogni caso, il mondo nasce da un sacrificio, il luogo del sacrificio diviene il “centro” del mondo e ogni morte trova un preciso senso di reintegrazione, restituzione al Cosmo (“polvere alla polvere”), sebbene non si possa mai realmente ripristinare l’unità primordiale. 

Gustave Doré - Marduk e Tiamat
Un sacrificio implica una morte violenta e prematura, avvenuta prima che la vita abbia espresso tutte le sue potenzialità: solo così la vita che è stata troncata, lungi dall’esaurirsi, se non all’apparenza, si trasforma e “anima” il Cosmo. In altre parole, il mondo, la terra e il mare “ricevono” la vita dalla creatura che è stata sacrificata. Come se la vita avesse una volontà sua propria e cercasse di prolungarsi sotto un’altra forma. 
Talvolta il sacrificio è in realtà un auto-sacrificio, come nel caso di alcuni miti mesopotamici (Marduk che crea l’uomo dal proprio sangue), o una sua forma implicita, come lo spargimento delle lacrime o del seme del dio, senza che venga specificato se a seguito di questo atto questo muoia o no. 
Queste credenze non si ritrovano solo nel corpus di leggende locali, nella produzione poetica e negli altri prodotti del folclore (proverbi, ballate, filastrocche ecc.), ma anche in rituali come quello di costruzione, che ne provano la decadenza dal livello metafisico originario a quello magico/rituale. Per esempio, secondo la tradizione indiana prima di avviare una costruzione occorreva scegliere il luogo più favorevole: l’astrologo identificava il punto esatto in cui si trovava la testa del serpente che sorregge il mondo, faceva conficcare un picchetto nel terreno esattamente in quel punto e lì veniva posta la pietra angolare, cosicché ogni palazzo o casa veniva a trovarsi in quello spazio mitico che è il centro del mondo, e diventava a tutti gli effetti una imago mundi. Più tardi il rituale fu spiegato come una precauzione contro i terremoti, ma questo è perfettamente coerente con il mito di Vṛtra, il serpente che giace attorcigliato sotto terra e a cui Indra trafigge la testa (il serpente tellurico fa tremare la terra, perciò questa diventa stabile solo quando il serpente viene ucciso). 
I sacrifici di costruzione sono conosciuti un po’ ovunque nel mondo e quasi tutti i monumenti famosi, siano essi palazzi, chiese, torri o ponti, conservano i resti di almeno una vittima sepolta viva nelle sue fondamenta. Poiché solo il dio può creare in modo perfetto, una volta e per sempre, l’uomo non può creare nulla se non anima la sua creazione sacrificando se stesso o qualcun altro (sacrificare vuol dire proprio “rendere sacro”). In altre parole, nulla può durare se non ha un’anima e non è animato, e una nuova opera non sarà viva finché non assorbirà, vampirescamente, l’anima del primo essere con cui verrà in contatto, il che spiega la credenza diffusa che il Mastro muoia non appena finita la sua opera. Ogni cosa costruita dall’uomo desidera durare, perciò se un sacrificio non sarà effettuato prima che questa venga terminata, a morire sarà la prima persona che entrerà nell’edificio, o come minimo (ma questo sembra un motivo nato più tardi) questa subirà una lunga serie di sciagure.

7 commenti:

  1. Vedi che sei arrivato a un solo passo dal guest-post per lo Speciale. Miranda non è forse una specie di strega? E la scomparsa delle ragazze sulla Roccia una forma particolare di sacrificio? P.S. E' solo un suggerimento, non voglio certo farti pressioni ;-)

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    1. L'idea mi attira davvero, ma se tu avessi una vaga idea di quanto tempo ci ha messo questo articolo da che ha preso forma a quando sono riuscito a finirlo e pubblicarlo di certo avresti più di un dubbio sulla mia capacità di lavorare in tempi così stretti. Firmato: il blogger più lento dell'universo. ^__^

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    2. Uhm... mi sa che tra noi due sarebbe una bella lotta decidere sul blogger più lento dell'universo ;D

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  2. I ritualismi legati all'edificazione di una casa sono una componente integrante dell'antico spiritualismo giapponese (ma sicuramente anche di molte altre culture che conosco meno). Leggendo testi dell'epoca Heian come le "Note del guanciale" di Sei Shonagon ci sono spesso riferimenti a persone che sostengono di "non poter uscire" o "non poter spostarsi" perché in quel dato giorno vi sono spiriti avversi nell'aria e quindi devono restare dentro la loro casa, che è un luogo protetto non solo a livello fisico ma anche metafisico.

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    1. Il effetti il concetto stesso di "sentirsi a casa" non ha una valenza soltanto psicologica ma molto più ampia di quanto comunemente si pensi, ma questo lo si scopre solo andando a scavare nel mito.

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  3. Mircea Eliade è stato spesso invocato -a volte anche a sproposito- da molti filologi della fantascienza e del fantastico, come l'ottimo De Turris, per il suo aver messo sullo stesso piano cristianesimo e marxismo. Un particolare che in più occasioni ha fatto trascurare tutto il resto degli studi di Eliade.
    Sono proprio curioso di leggere il seguito della tua analisi.

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  4. Se è per quello, Eliade è stato anche criticato per il suo antisemitismo. Ma mentre questo aspetto è storicamente provato, altri appunti a lui mossi sembrano più il frutto di un fraintendimento di alcuni aspetti delle sue opere nell'ambiente culturale italiano (dove, ciononostante, hanno attecchito e trovato fortuna).

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