Le tracce più corpose di queste tradizioni (i sacrifici di costruzione, ndr, cfr. articolo precedente) si trovano nella produzione letteraria del sudest europeo. Ballate serbe, greche, romene, ungheresi, bulgare, estoni eccetera, narrano di edifici nelle cui fondamenta viene murata viva una donna (spesso la moglie del Mastro, talora una vergine), un bambino o due gemelli per rendere l’opera perenne o addirittura per poter terminare la costruzione (talora ciò che viene costruito durante il giorno crolla di notte). Ci sono varianti in cui la donna accetta il suo destino, altre in cui maledice il marito oppure il palazzo/monastero/ponte; in genere la vittima ha un figlio che, restando orfano, assume attributi divini, perché condivide il destino dell’orfano primordiale che nel mito viene allevato da un animale o da un essere soprannaturale. In altre varianti si racconta anche la sorte del Mastro, che si riunisce con sua moglie tramite una morte violenta, una forma del sacrificio che gli permette di trasportarsi nello stesso piano cosmico dove lei si trova. È il caso della famosissima Ballata di Mastro Manole: il ricongiungimento tra i due sposi è possibile perché la moglie sta prolungando la propria esistenza nella pietra dell’edificio che ospita le sue spoglie mortali, e quando lui muore cadendo da un’impalcatura, dal punto in cui è caduto sgorga una sorgente, le cui acque filtrano tra le pietre. Il monastero della leggenda è quello di Argeș, in Romania; anche la Fonte di Manole esiste ancora, ed è tappa obbligata per i turisti che si recano al monastero.
Quando il ricordo del mito cosmogonico si perse, si svilupparono varianti dei riti di costruzione in cui anziché un essere vivente (una persona o, in una fase successiva, un animale) si seppellivano nelle fondamenta degli oggetti carichi di una particolare energia, come metalli preziosi oppure ossa e altri resti umani (alcuni dei quali vengono oggi definiti “reliquie”: peccato non ci sia modo di approfondire l’argomento).
Se nelle leggende chi viene ucciso con l’inganno non muore, ma si trasforma in un animale o in una pianta, è così anche nelle fiabe, con la differenza che qui in genere l’eroe o eroina muta per effetto di un incantesimo e quindi alla fine può recuperare la sua forma umana (mi viene in mente “I cigni selvatici” di Andersen, ma forse non è l’esempio più calzante).
Non solo le costruzioni di edifici, ma tutte le attività che imitano la creazione necessitavano di un sacrificio umano: la costruzione di una barca, la pratica metallurgica, persino l’apertura di una miniera o il dissodamento di un campo. Per lo stesso principio, la fondazione di una nuova città richiedeva la ricerca e la consacrazione di un centro, che diveniva un altare dedicato al dio e attorno al quale si sviluppava l’insediamento umano.
Pareidolia |
Non è solo per una forma di pareidolia se notiamo una certa simmetria tra la fisiologia umana, e specialmente il volto, e i corpi architettonici (le finestre come occhi, la porta come bocca, eccetera). Un fenomeno simile a quello che accade quando osserviamo gli astri e la terra (il sole è l’occhio del cielo, le profondità terrestri sono le viscere della terra, le sette note sono i sette pianeti, eccetera). La geografia, prima ancora di ricalcare quella biblica, ricalcava quella mitica. Ma per l’uomo arcaico anche gli oggetti di uso comune dovevano essere costruiti secondo un principio cosmologico.
Tutto ciò che abbiamo descritto finora presuppone una visione antropocosmica in cui la concezione di umanità è molto più ampia di quella odierna, così come quella di “vita” non è limitata a quella umana, animale e vegetale, come avviene oggi; diversamente sarebbe difficile spiegare le stesse basi dell’alchimia, con i suoi connotati filosofici e mistici. Tuttavia, la continuazione della vita non presuppone per forza, come nel caso di Mastro Manole e sua moglie, la presenza di un involucro o di un luogo fisico. In precedenza abbiamo menzionato Ifigenia: ebbene, Eliade usa proprio Ifigenia come esempio di una creatura cui era stata data la possibilità di sublimare la sua semplice esistenza in un corpo di carne. Potremmo dire che il suo sacrificio, se si fosse compiuto, le avrebbe donato un corpo immateriale identificabile nella spedizione in partenza per Troia. Invisibile come un petalo fra le pagine di un libro, Ifigenia sarebbe sopravvissuta nella gloria di quell’impresa, nella guerra e, infine, nella vittoria. (**)
Eliade si oppone fermamente al concetto che nell’antichità i sacrifici fossero fatti per placare o per ingraziarsi il dio; o meglio, non nega che esistessero anche questi aspetti, ma pensava che lo scopo principale di ogni sacrificio fosse quello di rigenerare il dio. Ogni volta che il re si ammalava, o si verificavano siccità o pestilenze o gli invasori erano alle porte, insomma in tutti quei casi in cui la collettività correva un grave pericolo, il sacrificio era volto a rafforzare il dio, anzi a riportarlo all’origine, all’inizio del tempo, quando era nel pieno delle sue forze. Ripetendo grazie al sacrificio la creazione del mondo, anche il dio poteva tornare a essere com’era “una volta”.
Mandragola |
Secondo una leggenda, la Mandragola cresce ai piedi del patibolo su cui sia morto un innocente (nelle versioni nordiche, dal seme di un impiccato), così come nell’antichità classica, e in generale nel Mediterraneo e nell’Asia Minore, troviamo molti miti incentrati su piante nate dal sangue o dal cadavere di dèi della vegetazione o di eroi che hanno subito una morte violenta: dal cadavere di Osiride l’edera, la spiga e la vite, da Dioniso la melagrana, da Attis la violetta, da Adonis l’anemone. Una leggenda persiana narra che dal seme che Adamo versò in sogno nacque una pianta che in seguito si trasformò in una coppia umana, mentre delle erbe “sante”, o secondo altre tradizioni il grano, la vite e la mirra, spuntarono ai piedi della Croce su cui perì Gesù.
Sono temi che si mischiano a quelli che, al rovescio, narrano della nascita di un uomo (o di un essere soprannaturale) da una specie vegetale. Non si creda però che tali motivi si ritrovino solo nelle leggende, perché in effetti anche la cronaca ne contiene moltissimi. Frazer ad esempio menziona, senza citare la fonte, che sulle pendici di Neerwinden, dove nel 1693 si era svolta la sanguinosa battaglia di Landen, il suolo, fertilizzato dalla morte, aveva germogliato una distesa di papaveri rossi, scarlatti come il sangue che li aveva nutriti. Commenti analoghi sono stati fatti sul luogo dove si svolse la battaglia di Waterloo.
Tutti questi motivi sono coerenti con il tema del sacrificio creatore o con la sua variazione, cui ho già accennato sopra, costituita dalla creazione delle piante come parte dell’intero processo di Creazione da parte del dio, per autosacrificio (cioè dalle sue lacrime, dal sudore, eccetera); ancora una volta, con l’avvento del Cristianesimo la rottura con le vecchie tradizioni e credenze fu solo apparente, e l’analogia tra il sangue di Cristo come viatico per la salvezza dell’umanità e quello delle piante come panacea per tutte le piaghe e tutti i mali si fa evidente.
Le donne continuarono a raccogliere le erbe, ma inquadrarono il loro rito nella visione cristiana. Non solo il passare del tempo, ma anche questo cambio di prospettiva separa chi morì bruciata come strega da chi invece fu considerata una pia seguace del Redentore.
(*) Parlando di pratiche ascetiche, tra le definizioni di meditazione in cui nel tempo sono incappato c’è anche quella del rifluire del Sé, l’entità psichica individuale, nella realtà meditata in modo da divenire parte del “puro atto osservativo” e ricreare in sé quella dimensione di “prima dei tempi”. Si parte dal presupposto che i miti della creazione che, ridotti all’osso, parlano di un’unità cosmica che si immola, frammentandosi (e che presentano un’omologia con quelle teorie della fisica che descrivono la realtà precedente il Big Bang come una dimensione in cui l’osservatore non era ancora scisso dall’oggetto osservabile), non intendono il sacrificio primigenio come una morte nel vero senso del termine, perché naturalmente nessun essere può mai uccidere o essere ucciso, ma soltanto permutare o permutarsi; dunque dev’essere possibile anche il processo inverso, il ri-fondersi del sé nella sorgente originaria.
(**) Tra parentesi, anticamente la vittima del sacrificio non era mai una donna, ma al massimo un animale femmina. Nel caso di Ifigenia questo potrebbe spiegare quella parte della leggenda che racconta che la fanciulla venne scambiata con un cervo…
L'importanza del sacrificio dipende moltissimo anche dalla cosmologia inerente a una particolare cultura. Gli altari Dogon, come riporta Marcel Griaule, grondavano sangue (animale) dalla mattina alla sera; niente del genere si riscontra invece tra gli aborigeni australiani.
RispondiEliminaGrazie per il contributo, Ivano. Ci sono molti aspetti della questione che non mi è possibile affrontare, altrimenti andrei veramente troppo fuori tema. Ma sono sicuro che il lettore di questi articoli conosca già l'argomento a menadito; mentre il lettore occasionale, che passa qui per caso e incappa in questi post, probabilmente se ne allontana subito a gambe levate. ;-)
EliminaMa sarebbe forse altrettanto valido dire che là dove si elevano altari, ci sono sacrifici.
EliminaChé poi, in realtà, anche nell'Antico Testamento si fa spesso riferimento a sacrifici animali. É nel Nuovo Testamento che l'agnello viene "sostituito" dal sacrificio ultimo e definitivo di Gesù (d'altronde il Cristianesimo nasce con Gesù, non con Abramo e Mosé).
RispondiEliminaNon per nulla Cristo viene definito l'agnello di Dio; poiché il cristiano, come dicevano i "pagani", mangia il proprio dio, l'uccisione e il consumo degli animali è stato sempre considerato parte dell'ortodossia religiosa, e il vegetarianismo una forma di eresia. Si tratta di un concetto che si è radicato nel tempo, dato che in seno a molte delle prime sette cristiane (fra gli Esseni ad esempio) non si consumava carne. A me, che pure non sono vegetariano, riesce molto difficile giustificare la mattanza degli agnelli a Pasqua in base alla teologia cristiana.
EliminaConcordo con Ariano, anche nel vecchio testamento si fa spesso menzione di sacrifici animali. E poi, ci stavo riflettendo adesso, anche i sacrifici umani- se si fa fede alla storia di Abramo e di Isacco-non dovevano essere del tutto sconosciuti nell'antichità al popolo ebraico. Nel Vecchio Testamento la vicenda è molto trasfigurata, però potrebbe essere indice del fatto che in epoche precedenti anche il popolo ebraico avesse praticato sacrifici umani. Non sarebbero i soli comunque tra i popoli dell'antichità....
RispondiEliminaSì, le letture bibliche offrono un bello spaccato di usi e costumi antichi, che il Cristianesimo ha inglobato, sincretizzandoli. Il passato, incluso quello del popolo ebraico, presenta molti aspetti che probabilmente non sono ancora stati sviscerati del tutto.
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