Prefiche su un frammento ceramico attico 535–525 a.C. circa |
LA 1' PARTE DI LACRIME E SANGUE QUI
Abbiamo visto in precedenza che i Greci adoravano Adone e le feste a lui dedicate si tenevano ogni anno, e anche se le cerimonie potevano variare da un luogo all’altro, le lamentazioni erano una costante. Le donne, in particolare, preparavano effigi del dio morto e al culmine delle celebrazioni le trasportavano fino al luogo della finta sepoltura tra sonori pianti e gemiti, e infine le gettavano in mare o in una sorgente. Talvolta il giorno dopo si celebrava il ritorno del dio alla vita, ma più spesso questo avvenimento era sottinteso.
Nel culto trieterico dedicato a Dioniso ctonio il dio era assente dalla terra per dodici mesi, un tema che in origine non esisteva. In quel periodo gruppi di donne (o, in tempi più tardi, cantori e musicanti) lo celebravano con inni, poi gli dedicavano invocazioni e lamentazioni al suono delle trombe per sollecitare il suo aspetto vitale e risvegliarlo, dopodiché il dio era di nuovo presente fra loro, incarnato in un corpo umano. Ad Atene c’erano invece delle feste annuali a lui dedicate che prevedevano sacrifici animali.
Anche al frigio Attis erano dedicate cerimonie annuali, ma erano decisamente più cruente e forse per questo il suo culto infiammò Roma, ove sopravvisse per qualche tempo perfino all’Editto di Costantino. Un’effigie del dio veniva appesa a un albero sacro e poi sepolta e nel terzo giorno, il “giorno del sangue”, che si teneva il 24 marzo, il sommo sacerdote si incideva le braccia per bagnare l’altare e l’albero sacro con il suo sangue. Orde di fedeli lo imitavano, incidendosi le braccia e il corpo, ed è possibile che l’esaltazione mistica fosse favorita dall’ingestione di sostanze allucinogene. In quello stesso giorno, i sacerdoti novizi forse sacrificavano al dio la propria virilità; ma il culto di Attis prevedeva anche cerimonie segrete, che pare includessero un sacro pasto e un battesimo di sangue con il sacrificio di un toro. Il giorno dopo, 25 marzo, quando si celebrava la resurrezione del dio, i toni si alleggerivano, assumendo i toni di un colorato carnevale. Ai bagordi seguiva un giorno di riposo, dall’alba al tramonto, e l’ultimo giorno, specie a Roma, una processione al torrente dedicato al dio.
Peter Nicolai Arbo, The Wild Hunt of Odin (1872) |
Com’è noto la Caccia Selvaggia è un corteo di esseri soprannaturali intenti in una
battuta di caccia notturna, con cavalli e cani al seguito, che fa parte del folclore di tutta l’Europa settentrionale, da est a ovest, ma si è diffuso anche in altre aree, inclusa quella alpina. Per l’equazione che vede del diabolico in tutto ciò che soprannaturale è nota anche come “cavalcata infernale” (delle streghe stesse non si diceva forse che potessero volare?).
Di norma la Caccia selvaggia viene ascritta alla mitologia nordica, nella quale è il dio Odino ogni anno a portare in processione le anime dei guerrieri caduti in battaglia nei giorni successivi al solstizio d’inverno. Nella tradizione celtica è invece associata alla dea-cavalla Epona, la cui figura finisce per sovrapporsi a quella di Diana ed Ecate.
Alcuni ritengono però che il mito legato a una divinità femminile sia più antico, e si riallacci a un periodo remotissimo in cui la donna era vista come l’artefice e padrona del destino dell’uomo, ma che si sarebbe “invertito” con l’avvento del patriarcato. Questo si sarebbe riflettuto anche nell'evoluzione della stregoneria: come in Gran Bretagna, dove era quasi sempre lo stregone maschio ad avere il ruolo dominante.
Peter Nicolai Arbo, The Wild Hunt of Odin (1872) - particolare |
Ma perché dico “simulare”? Benché probabilmente si fondassero su una genuina emozione, le lamentazioni non erano casuali e nemmeno il sintomo di un’isteria di massa: come tutti i riti erano una parte integrante del culto, un modo di placare l’anima del dio-grano che moriva sotto la falce del mietitore e sotto gli zoccoli dei buoi. La morte del dio, benché luttuosa e meritevole di un tributo, era indispensabile al reiterarsi della vita, perché esso era la personificazione della fertilità del suolo che “moriva” per rinascere alla vita nella stagione della semina.
Dal punto di vista mitico, la mietitura equivale alla castrazione (si pensi al falcetto con cui Crono evira il padre Urano, traslato nella tradizione druidica del taglio del vischio dalla quercia). Il re castrato veniva ucciso e consumato “eucaristicamente” allo stesso modo in cui vengono mangiati anche l’orzo, il grano e gli altri cereali.
Ma certamente c’è anche un altro significato dell’uccisione rituale che non va trascurato, e di cui parleremo nella prossima puntata.
La descrizione della celebrazione dedicata a Attis mi fa venire in mente l'autolesionismo dell'autoflagellazione alla quale avevo dedicato un post per il tuo progetto sul "piacere della sofferenza". In effetti i culti religiosi se si considerano i soli rituali (lasciando da parte la spiritualità e le diverse soluzioni proposte a livello teologico) finiscono con l'avere tantissimi punti in comune, prescindendo dalla distanza cronologica e geografica dei culti stessi.
RispondiEliminaSì, ricordo bene il tuo post e,anche se ai più sarà sfuggita, avevo notato anch'io l'analogia. Ci sarebbe da riflettere sul perché su questo blog ricorrano sempre questi argomenti, ma è forse meglio lasciar perdere... ^__^
EliminaUn ritorno alle vecchie care atmosfere blogghiche ^__^ In realtà non ho nessun rimpianto, ma fa comunque un effetto strano pensare che fino a pochi mesi fa anch'io scrivevo di queste cose. Ma mai dire mai. Intanto mi metto in attesa dell'"altro significato dell'uccisione rituale che non va trascurato" ;-)
RispondiEliminaVuoi sapere la verità? Neppure io scrivo più di queste cose. Nel senso che gli abbozzi delle puntate di questo ciclo (e di OdR) sono stati tutti scritti oltre tre anni fa, in qualche caso anche prima; di recente mi sono messo solo a revisionarli, con l'idea di ampliare il discorso e arrivare al "contenuto" che mi ero prefisso. Purtroppo, mi sono reso conto che non ne sono più in grado, perché a parte la fatica di riprendere il filo del discorso dopo tanto tempo, mi sono reso conto che in questo preciso momento storico mi mancano la voglia e la forza (la testa, forse) per farlo. Nonostante questo non voglio buttare via il lavoro che ho già fatto e quindi ve lo proporrò ugualmente: vorrei essere certo che almeno quanto ho già scritto venga pubblicato prima di prendere decisioni che riguardano la vita di questo blog. Quanto all'altro significato dell'uccisione rituale di cui parlerò a breve, sono certo che non è nulla che possa sorprenderti.
EliminaAttendo la prossima puntata allora.
RispondiEliminaSarai accontentato a breve. :-)
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