mercoledì 17 novembre 2021

Il segreto del ventriloquio

Noi Ventriloqui Maggiori siamo accoliti del Ventriloquo Definitivo. Noi Ventriloqui Maggiori siamo catatonici, svuotati delle illusioni dell'individualità e dell'identità. Noi Ventriloqui Maggiori non agiamo più in alcun modo fisico. (Jon Padgett)

Arrivare in ritardo è sempre stata una delle caratteristiche salienti di questo blog. Quasi una “feature”, sebbene poco invidiabile. Ciò avviene non tanto perché tendo a non accorgermi di quel che mi succede attorno, bensì per quella proverbiale pigrizia che è la causa del trascorrere di intere ere geologiche tra il materializzarsi di un’idea e la sua realizzazione. Con il post di oggi riesco a battere addirittura due record, uno opposto all’altro: l’eccessivo anticipo e l’eccessivo ritardo. Come si spiega questa singolarità è presto detto: parlo di “eccessivo anticipo” perché ho comprato e letto “The secret of Ventriloquism” (Dunhams Manor Press) di Jon Padgett in inglese all’inizio dell’anno, poche settimane prima che i tipi delle Edizioni Hypnos se ne uscissero con l’annuncio dell’acquisizione dei diritti dell’opera e della conseguente traduzione; parlo di “eccessivo ritardo” perché tecnicamente avrei avuto mesi di tempo a disposizione per mettermi a scrivere questo articolo e arrivare a pubblicarlo in sincrono con l’uscita nelle librerie dell’antologia dell’autore americano, avvenuta lo scorso giugno. 
Sulla prima questione mi posso appellare alla sfiga: non avevo evidentemente alcun modo di prevedere ciò che di lì a poco sarebbe successo. Leggere in inglese non è mai stato un ostacolo invalicabile, ma è chiaro che una lettura nella mia lingua madre sarebbe stata, in un certo qual modo, più leggera e scorrevole (per non dire gradevole). La beffa vera, tuttavia, è che l’antologia di racconti (perché è di questo che stiamo parlando), uscita in originale cinque anni fa, è sbarcata in Italia con due racconti inediti che l’autore non aveva inserito (non avendoli ancora scritti) nella prima edizione. Ammetto che la tentazione di ricomprarmelo per un microsecondo mi ha sfiorato, ma è poi bastato un lampo di lucidità per accantonare la cosa. 

Perché Jon Padgett e perché “The secret of Ventriloquism”? Cosa mi ha spinto a pescare questo volume nell’oceano di pubblicazioni che offre il mercato americano? In primo luogo perché l’autore è da molti definito l’erede di Thomas Ligotti, aspetto questo che ha stuzzicato la mia curiosità (anche se sono cosciente che l’appellativo di “erede” ormai sia piuttosto inflazionato), in secondo luogo perché il pupazzo, ovvero lo strumento di lavoro di qualsiasi ventriloquo degno di questo nome, se traslato in un contesto horror si trasforma in uno dei soggetti più terrificanti, o perlomeno in uno di quelli che a me mette più angoscia. Non mi riferisco, si faccia attenzione, alla marea di bambole assassine che ha invaso i grandi schermi negli ultimi decenni, anche se in un certo senso fanno parte della stessa marco-categoria, ma proprio di quei pupazzi, dall’aspetto quasi mai piacevole, mossi con pazienza e sapienza da artisti a metà strada tra comici e prestigiatori. 
Non sono moltissimi i precedenti nel cinema e nella letteratura. Tra i primi citiamo “Il pupazzo del ventriloquo” (The Ventriloquist's Dummy) di Alberto Cavalcanti, episodio trainante del capolavorone “Incubi notturni” (Dead of Night, 1945), il superbo “Magic” (1978) con Anthony Hopkins, tratto da un romanzo che William Goldman scrisse due anni prima, il relativamente recente “Dead Silence” (2007) di James Wan, letteralmente pieno di questi orribili pupazzi, e un paio di superflui horror anni Ottanta che non vale nemmeno la pena citare. In letteratura lo scenario è ancora più scarno, visto che in Italia la parte del leone la fa ancora Slappy, il malefico pupazzo protagonista di numerosi episodi della serie horror per ragazzi “Piccoli brividi”. Tolto Slappy, e passando alle cose serie, quel che resta è solo un racconto di Ligotti ("The Clown Puppet", incluso nella raccolta “Teatro Grottesco”, 2015) e, appunto, questa nuova antologia di Jon Padgett, che tende quindi a riempire un vuoto cosmico senza precedenti.

La domanda che vi sarete posti a questo punto è in che modo il pupazzo di un ventriloquo possa essere più perturbante di una qualsiasi bambola cinematografica come Annabelle. È un’ottima domanda, alla quale cercherò di rispondere seguendo quelli che sono i miei istinti di consumatore di horror navigato. Credo siate tutti d’accordo sul fatto che uno degli schemi più efficaci dell'horror si basa sul manifestarsi della vita in qualcosa che non dovrebbe essere vivo (questo è un concetto che vale tanto per bambole e altri oggetti antropomorfi quanto, per estensione, per zombi e non-morti di varia natura). 
Rifacendomi a una vecchia teoria presentata nel 1970 dallo studioso di robotica nipponico Masahiro Mori, tanto più estremo è il realismo rappresentativo tanto più la figura in questione finisce per destare sensazioni spiacevoli come repulsione e inquietudine. Per spiegare meglio il punto, porto ad esempio la protesi di una mano che, necessariamente ricca di dettagli, è indiscutibilmente più perturbante delle protesi agli arti inferiori, le cui funzioni, essendo limitate all’essenziale, non ricordano nella forma nemmeno vagamente gli arti originali. Il pupazzo di un ventriloquo, sebbene non si trovi quasi mai al vertice del realismo rappresentativo teorizzato da Mori, è però in grado di animarsi secondo la volontà del suo conduttore, finendo per assumere una propria personalità che sfocia nel suddetto realismo e lo sorpassa a destra. Ma, attenzione, ciò che ci disturba è anche il ventriloquo stesso in quanto padrone del manichino. L'inquietudine proviene quindi da due figure distinte alle quali non sappiamo bene come rivolgerci, figure che a un certo punto non riusciamo nemmeno più a distinguere, al punto da perdere completamente la nostra capacità di orientare correttamente la nostra strategia difensiva. Nel libro "I Can See Your Lips Moving: The History and Art of Ventriloquism", l'autore britannico Valentine Vox scrive che ci fu un tempo in cui si credeva che i ventriloqui incanalassero lo spirito dei morti attraverso buchi nel loro corpo quali narici, orecchie, bocca e ano. Se a tutto questo aggiungiamo anche l’incubo della perdita del controllo, sentimento innato nel genere umano, ecco che abbiamo chiuso il cerchio.

Jon Padgett
è un ventriloquo. Sì, avete capito bene: prima ancora di essere uno scrittore che scrive racconti sulla pratica del ventriloquio, Padgett è egli stesso un ventriloquo. E ciò è abbastanza evidente da uno dei racconti inclusi in questa antologia, dove vengono illustrate nel dettaglio una serie di tecniche basilari che possiamo sperimentare noi stessi a casa davanti a uno specchio. Il racconto in questione, "20 simple steps to ventriloquism", racconta Padgett, ha alle spalle una storia particolarmente travagliata: una sua prima stesura risalirebbe alla prima metà degli anni Novanta e, dopo una serie infinita di versioni (lo stesso Ligotti ebbe modo di leggerle), trovò una sua forma definitiva vent'anni più tardi, quando venne acquistata da Joe Pulver e inserita nell'antologia "Grimscribe's Puppets" (Miskatonic River Press, 2013), che andò in seguito a prendersi lo Shirley Jackson Award. Tornando a "20 steps", come dicevo, è davvero interessante l'invito, da parte dell'Autore, alla pratica del ventriloquio e, ve lo assicuro, con i giusti suggerimenti e un po' di pratica è molto più facile di quanto possa sembrare. Il racconto, che inizia appunto come un manuale, evolve ben presto nella follia più pura, perché chi ha il coraggio di affrontare gli step successivi all'ottavo potrà evolversi nell'arte occulta del Ventriloquio Maggiore, filosofia immaginaria che attraversa tutte le storie di questa raccolta. Ogni storia in realtà ha un tema a sé, ma tutte sono collegate da un impercettibile filo che si inizia a percepire solo quando si è avanti nella lettura, ed è proprio qui che sta il genio di questa antologia. Non è una lettura "facile", tutt'altro, ma è sicuramente molto stimolante.
Non tutte le storie funzionano allo stesso modo e il motivo è abbastanza semplice: Jon Padgett le ha scritte in un arco di tempo molto ampio, come se fossero appunti, semplici frammenti di un eventuale romanzo che non si è mai realizzato e mai si realizzerà. Padgett, infatti, a un certo punto si rese conto che quei frammenti avevano una loro dignità anche così, presi singolarmente, senza doversi dannare l'anima alla ricerca di una liaison che ammorbidisca il passaggio tra uno e l'altro (qualcuno potrebbe interpretare questa scelta come una resa, o come una scorciatoia per la pubblicazione, ma posso assicurare che il risultato non avrebbe potuto essere più efficace di così).

L'antologia si apre con The Mindfulness of Horror Practice, una sorta di avvertimento dell'autore e un invito a sintonizzarci sulla sua stessa frequenza mentale; Murmurs of Voice Foreknown si concentra sull'incubo personale di un ragazzino vittima degli abusi del fratello maggiore; con The Indoor Swamp si iniziano a delineare i contorni dell'incubo che ci attende; in Origami Dreams il narratore rinviene nella sua abitazione alcuni appunti che descrivono il sogno bizzarro di un precedente inquilino; The Infusorium descrive la caduta della città di Dunnstown attraverso un'indagine su strani eventi avvenuti nei locali di una vecchia fabbrica, chiusa da anni; Organ Void è la storia di una donna che decide di acquistare un cartello di cartone da un senzatetto; The secret of Ventriloquism, che dà il titolo all'antologia, collega ordinatamente tutte le storie nella vicenda di un personaggio che cerca di accedere ai segreti del Ventriloquio Maggiore; Escape to Thin Mountain è il sospirato risveglio dall'incubo.
Nel complesso, Il segreto del ventriloquio è una lettura molto piacevole. Il senso di acuta inquietudine con cui il lettore si trova ad avere a  che fare permane in maniera sottile dalla prima all'ultima pagina, mentre nuovi piccoli dettagli, che si aggiungono col contagocce nel corso delle storie, aiutano a svelare i misteri che si celano negli angoli più bui della città di Dunnstown e nelle anime dei suoi abitanti. E per quanto riguarda il Ventriloquio Maggiore, è ragionevole chiedersi a volte se l'autore stesso ci creda davvero.

8 commenti:

  1. Mi hai fatto venire voglia. Vedo di procurarmelo immediatamente.

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  2. Seguo parecchie bolle letterarie, ma questo libro non mi è mai apparso davanti.
    Me lo segno, ti ringrazio, e spero di riuscire a leggerlo, prima o poi.

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    1. Anch'io ho la sensazione che ne abbiano parlato in pochi. Una delle poche cose che ho notato è stata una diretta Facebook dove i tipi di Hypnos hanno presentato il volume con Jon Padgett gradito ospite. Sicuramente è quello il miglior modo per entrare nel meraviglioso mondo del ventriloquio...

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  3. Ti dirò: era uno dei regali natalizi che volevo farmi. La tua recensione mi ha convinto ancora di più. A proposito....sono una di quelle persone che, sin da bambino, trova inquietanti i pupazzi dei ventriloqui.

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    1. Se lo compri poi mi dici come sono stati tradotti in italiano certi passaggi. Questo è infatti uno dei casi in cui tradurre deve aver richiesto una creatività fuori dall'ordinario

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  4. Lettura difficile ma stimolante. Ottimo. Racconti inediti. Perfetto. Grazie Hypnos!

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    1. Hypnos non delude mai. Peccato solo essere giunto con quel pizzico di anticipo (non credo che finirò per comprarmelo anche in italiano, nonostante gli inediti).

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