martedì 23 novembre 2021

Da donna a strega: lacrime e sangue (Pt.7)

James Jacques Joseph Tissot, The Scapegoat
Illustration for 'The Life of Christ', c.1886-94
L'INTRODUZIONE SI TROVA QUI
LA 1' PARTE DI LACRIME E SANGUE QUI

Il significato forse più evidente dell’uccisione rituale è quello espiatorio, o quantomeno questa è la prima, logica riflessione che può venire alla mente in una società, come la nostra, in cui il sentimento religioso si esprime tramite lo svelamento (confessione) del peccato e la riparazione. Meno immediato viene chiedersi in che modo il sacrificio di un singolo possa espiare le colpe della collettività, ma se avete letto fino a qui la risposta è piuttosto scontata: davanti a una simile esigenza, l'umanità si rivolse alla magia per trovare una soluzione. Per la legge del contagio è possibile trasferire le proprie malattie o le proprie colpe a un oggetto, e di conseguenza al primo che lo toccherà o comunque che ne verrà in contatto. Quando c’era la necessità di una purificazione o espiazione collettiva, gli antichi sacrificavano un animale-totem, che assurgeva a ricettacolo di tutte le colpe e le disgrazie della comunità e, morendo, le portava via con sé, ma in un certo periodo della storia è probabile che la vittima fosse umana. Se il re doveva morire prima di essere corrotto dalla vecchiaia, scaricare sul suo capo il peso dei peccati della comunità che rappresentava aveva un suo senso. 
Il cristianesimo, con i suoi concetti di capro espiatorio e agnello che lava i peccati del mondo, non ha fatto altro che reiterare una tradizione già esistente all’epoca della sua nascita. Non è un caso che proprio l’agnello sia uno degli animali (uno dei tanti) dei quali si riteneva che il dio del grano assumesse le sembianze. 
L’agnello, il maiale, o il toro o il cavallo prescelto per il sacrificio non era altro che il dio incarnato. Un dio che si sacrificava a se stesso. Nella storia dell’umanità ci furono anche sacrifici propiziatori, ma probabilmente non furono né i principali né i più antichi. 

Quando invece la rimozione generale dei mali (per esempio, un’epidemia diffusa) assumeva la forma di una cacciata forzosa degli spiriti (o, più, tardi, dei demoni), gli abitanti dei villaggi improvvisavano vere e proprie processioni per i campi e per le strade, percuotendo il terreno, le porte, gli stipiti delle porte, eccetera, con rami e bastoni fra urla e grida terrificanti. 
In qualche luogo la cacciata dei demoni (o, più tardi, in Europa, di Satana o delle Streghe) veniva organizzata periodicamente in determinati periodi dell’anno, come la fine della stagione agricola oppure quel periodo “magico” di dodici giorni che intercorre fra Natale e l’Epifania, durante il quale le forze del male erano attirate nel nostro mondo ma altrettanto facilmente potevano venirne scacciate. 
È alla luce di queste premesse che bisognerebbe considerare alcuni miti della mietitura, in modo simile a quanto fatto con i miti della primavera esaminati nella parte 4 e nella parte 5

Demetra, la madre del grano
Fu l'etnologo Wilhelm Mannhardt, prima ancora di Frazer, a studiare le tradizioni rurali europee, specialmente germaniche, legate alla cosiddetta Madre del grano (o dell’orzo, della segale, del riso, del mais, dei piselli, a seconda del tipo di coltura), o più genericamente Madre del raccolto o Grande madre, cercando di ricondurle alla figura della dea greca Demetra; Frazer estese poi la ricerca fino alle Americhe e alle Indie Orientali, ma le basi di queste tesi sono le medesime, ovvero che i contadini anticamente credessero in uno spirito della vegetazione immanente che doveva essere preservato nell'ultimo covone e trasmesso sotto quella forma alla nuova semina. In pratica si credeva che lo spirito si trasferisse da una pianta all’altra, fino all’ultima, cosicché quando anche questa fosse stata mietuta (o tagliata, o raccolta) sarebbe stato possibile catturare (a), mettere in fuga (b) o uccidere (c) lo spirito stesso. 

L’ultimo covone/pianta veniva conservato e onorato, spesso sotto forma di una sagoma o bambola rivestita di panni femminili; talora il feticcio veniva portato in processione, altre volte portato direttamente a casa di chi l’aveva mietuto, ove restava (spesso appeso a un chiodo) fino alla primavera o fino alla successiva semina, momento in cui veniva disfatto. Nel primo caso (a), una parte del covone/fantoccio veniva sparso sui campi pronti per essere seminati (cioè mischiandone i chicchi fra il grano nuovo, se di grano si trattava), come fertilizzante, e una parte veniva aggiunta al mangime per gli animali perché li fecondasse. Nel secondo caso (b), i mietitori/contadini univano le forze e percuotevano assieme l’ultima pianta/covone per scacciarne lo spirito. Nel terzo caso (c), il covone era di cattivo auspicio e chi lo riceveva era oggetto di scherno, da un lato perché veniva identificato con esso e dall’altro perché si temeva che la miseria o la carestia avrebbe colpito il suo podere, sotto forma di una vecchia immaginaria che avrebbe dovuto essere mantenuta, nutrita, fino alla primavera. 

Theodor Kittelsen - Kornstaur i måneskinn (Stooks of Corn in Moonlight), ca 1900
Ecco perché se da un lato si diceva che avvistare la Madre del grano nei campi prospettava una buona annata, dall’altro questa poteva essere usata come spauracchio per i bambini. Nelle tradizioni dei vari paesi la Madre del grano assumeva i nomi più disparati, e la sua natura ambivalente, buona e nefasta, era espressa proprio dalla presenza di appellativi positivi e di altri spregiativi: Fanciulla (Scozia), Vergine, Donna (Svezia), Regina (Germania, Austria, Inghilterra, Bulgaria), Sposa (Germania), Vecchia (Scozia, Polonia, Boemia, Lituania: Baba o Boba in polacco e lituano significano proprio “la vecchia”), Nonna, Strega (Scozia)…
Era l’ultimo a raccogliere, a mietere o a legare i fasci di spighe a dover “mantenere la vecchia”, e così si faceva a gara a chi mieteva più velocemente, o si gettava o portava il covone di nascosto nel campo o nell’aia del vicino, ma non mancavano casi in cui invece ci si contendeva il privilegio di tagliare le ultime spighe rimaste, perché le usanze variavano da regione a regione. Nelle Highlands scozzesi, ad esempio, l’ultimo covone era chiamato “la Fanciulla tosata” e si credeva che chi lo riceveva si sarebbe sposato entro l’anno, se però la mietitura veniva completata tardi, dopo il tramonto, al covone veniva affibbiato il nome di Strega e si diceva che portasse sfortuna. Qualche volta l’ultimo covone aveva lunghezza e peso esagerati, perché fosse difficile portarlo a casa e perché si sperava che, in questo modo, il raccolto dell’anno dopo sarebbe stato altrettanto corposo: per Frazer, questo era un vero e proprio rituale magico travestito da tradizione. 

Più raramente, l’ultimo covone era detto il Nonno o il Vecchio, al maschile, e ancor più raramente il Bambino, nel senso che lo si considerava come un infante separato dalla madre dalla falce del mietitore, perché mietere l’ultimo covone era come recidere il cordone ombelicale. Quando invece c’era una Sposa del grano, c’era anche uno Sposo e al termine della mietitura, o talora quando la nuova stagione era già cominciata, due abitanti del villaggio li impersonavano e mettevano in scena il loro matrimonio. 
Solo i greci sembrano aver rappresentato il grano sia come madre (Demetra) che come figlia (Persefone) simultaneamente, ovvero come vecchia e come giovane, e per Frazer questo altro non è che la prova di una marcata evoluzione religiosa. A noi invece interessa ribadire ancora il carattere, se non esclusivo, prevalentemente femminile di queste raffigurazioni. Come sappiamo la locuzione Strega, fuori dall’ambito rurale in cui l’abbiamo incontrata oggi, ha un più ampio significato. La Baba o Boba, con il suo cappello di paglia ben calato sulla testa, rimanda non solo alla figura della Befana, ma anche più genericamente alla strega che cavalca la scopa e che ha ovunque un carattere maligno.
CONTINUA

4 commenti:

  1. Il "rituale magico travestito da tradizione" è un po' il sostrato di tutta la cultura popolare. Tipo - andando parecchio fuori tema - lo zodiaco e tutti gli annessi e connessi sul segno zodiacale, l'oroscopo, le affinità, etc., che al giorno d'oggi è il tipico argomento "frivolo" di cui si discute quando si parla del più e del meno perché è una tradizione che ormai fa parte del nostro costume anche se la scienza nega ogni reale evidenza dell'astrologia. Ma un tempo le previsioni astrologiche erano temute e rispettate.
    Immagino che certe tradizioni derivati da rituali magici ancestrali legate al mondo rurale siano scomparse solo come conseguenza della "scomparsa" della ruralità. Il mondo agricolo ha progressivamente ridotto il numero degli addetti, e i pochi che ci lavorano seguono impostazioni da dipendenti di un'azienda, non da membri di una comunità. Il raccolto del grano non è più un momento sacrale per il futuro della comunità, è solo una valutazione del prezzo da applicare al grossista che lo deve acquistare.

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    1. Credo tu abbia centrato esattamente il punto. Il ricordo del significato più profondo del rituale della mietitura, perché di questo si tratta, si è perso e quel che resta è una mera operazione meccanica, slegata da qualunque connotazione metafisica, un momento in qualche modo più rassicurante ma anche meno significativo.

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  2. Interessante questa accezione rurale del termine "strega" che mi era ignoto, e mi fa pensare al "residuo" a cui Calasso ha dedicato varie pagine sparse nel suo monumentale ciclo sul sacrificio (gli undici volumi che vanno da "La rovina di Kash" a "La tavoletta dei destini". E davvero curioso anche quel dipinto di pittore norvegese che non ho mai sentito nominare.
    Quindi, come vedi, a dispetto delle tue previsioni, in parte mi hai stupito :-)

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    1. Allora questi post, benché diversi da come li avevo progettati e da come li avrei voluti, non sono del tutto inutili... un po' mi hai rincuorato. :-) Su Calasso come sai ho parecchie lacune, quindi non mi esprimo. P.S.: saranno i colori, saranno quei covoni antropomorfi, ma me quel dipinto piace molto.

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