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Il Bodhisattva Vajrapani |
Abbiamo parlato di odio, ma resta da fare un piccolo passo indietro e domandarsi che cosa gli permetta di germogliare e crescere, perché è evidente che un sentimento così devastante non può sedimentare in un animo sereno, ma attecchisce solo laddove lo spirito sia predisposto all’ira. Tutti conosciamo quella profonda alterazione dello stato emotivo che è il sintomo di un’avversione profonda; la sua caratteristica è la distruttività, perché si manifesta sempre in modo violento e talora non si esaurisce neppure con l’annientamento di chi o di ciò che lo ha generato, finendo per alimentarsi da sé in una spirale infinita.
Le due religioni più diffuse in Giappone vedono l’ira in maniera differente.
Lo Shintoismo non ha dogmi veri e propri e quindi non si occupa nello specifico della questione, ma il suo fine è fornire una serie di insegnamenti positivi che in parole semplici possono essere riassunti nel condurre una vita semplice e gioiosa in armonia con le persone e la natura, il che include naturalmente anche la correttezza nei rapporti personali e il dare il giusto valore ai sentimenti degli altri. Non seguire questi precetti porta a divenire (e rimanere) impuri, ma ha effetti funesti anche sugli altri. Difatti, per lo Shintoismo le anime felici alla morte diventano spiriti ancestrali, mentre chi muore in preda all’angoscia diventa un fantasma (yūrei); in particolare, chi perisce per mano altrui non può trovare la pace, ma sarà pervaso dal rancore (urami) e diventerà uno yūrei, uno spirito rancoroso in cerca di vendetta, oppure un funayūrei, se morto in mare, o un goryō, se proveniente dalle classi aristocratiche.