lunedì 1 aprile 2024

Speciale Food Movies 2024: che la grande abbuffata abbia inizio!

Quando, nel novembre 2022, misi la parola fine allo “Speciale Rancore”, incentrato sul franchise giapponese “Ju-On”, scrissi che mai più mi sarei avventurato di nuovo in un lavoro complesso e a tratti disumano come quello (e come quelli che lo hanno preceduto). Ovviamente mentivo, altrimenti non si spiegherebbe questo mio odierno incipit. A mia parziale discolpa, posso ora dire che mentivo in buona fede. Ero davvero deciso a non buttare via ulteriori montagne di ore, per non parlare delle notti insonni, con gli occhi su uno schermo e la scrivania piena di appunti, scritti rapidamente su foglietti di carta volanti e non. Un giorno poi è successo che ho cambiato idea. Quello che mi serviva era probabilmente solo un’idea abbastanza buona da meritarsi di essere sviluppata. È stato in pratica come accendere un interruttore: l’idea è arrivata e le dita hanno cominciato a muoversi sulla tastiera di questo computer. Già, ma quale idea? 
Sicuramente non avevo voglia di rimettermi a scavare nei meandri di qualche fenomeno cinematografico di provenienza asiatica, anche perché i più noti mi pare di averli già affrontati tutti. Non avevo nemmeno voglia di volgere lo sguardo a occidente e trovare un’analoga produzione seriale a stelle e strisce. In altre parole, avevo voglia di mettere una volta tanto da parte l’horror e concentrarmi su altro, qualcosa di nettamente più popolare, rivolto a un pubblico più ampio ed eterogeneo. Se ci sono riuscito? Beh, forse non del tutto, come capirete se avrete la pazienza di accompagnarmi in questo lungo viaggio, ma è indubbio che ci ho provato.

Ma veniamo al tema dello Speciale di quest’anno. Il titolo l’ho preso a prestito da un classico italiano del 1973 di quel grande e mai abbastanza compianto regista milanese che fu Marco Ferreri: “La grande abbuffata”, interpretato da quattro mostri sacri come Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Philippe Noiret e Michel Piccoli, non è ovviamente un horror ma, forse cento volte più di questi, rappresenta per il cinema italiano l’apice del non rappresentabile (superiore forse anche al “Salò” di Pasolini), un’esperienza visiva a tratti insopportabile che costringe a girare la testa o a utilizzare il vecchio quanto inutile trucco delle dita a persiana davanti agli occhi.
Eppure, nonostante tutto ciò, è un film che invita a una seconda visione, magari anche a una terza e a una quarta, perché nulla di tutto ciò che viene presentato è fine a se stesso. “La grande abbuffata” è l’apoteosi di ciò che quelli bravi chiamano “overfeeding syndrome”, ovvero la materializzazione del vuoto e della noia che pervadono la società attuale, una società in cui gran parte degli individui, ipnotizzati dai social e dai mass media, sono privi di autonoma capacità di elaborazione e le cui scelte comportamentali sono a tutti i livelli influenzate o condizionate dall'esterno. 
In questa partita a scacchi che è la vita, cibo e cinema sono inequivocabilmente gli alfieri, ed è così che nasce l’idea di uno speciale sui “food movies”, ovvero il cinema è pronto in tavola! 

Poiché molti film non sono tratti da sceneggiature originali, ma da romanzi o racconti più o meno famosi, sarebbe stato interessante un excursus letterario introduttivo sul cibo. La prova però mi è parsa da subito ardua quanto le dodici fatiche di Ercole, e ho accantonato l’idea più in fretta di quanto mi fosse venuta alla mente. A essere del tutto sincero, non so se avrei avuto molta carne da mettere al fuoco, perlomeno nell’individuare macrogeneri e tendenze nei quali incasellare le varie opere, perché nella mia vita ho visto di sicuro molti più film di quanti libri sia mai stato in grado di leggere alla mia velocità da bradipo, e il divario si fa sempre più grande: ahimè, invecchio! 
Peraltro, ho una certa allergia a tutti quei libri che includono nel titolo le parole ristorante, caffè e similari, tipo “Le ricette perdute del ristorante Kamogawa” (Hisashi Kashiwai) o “Basta un caffè per essere felici” (Toshikazu Kawaguchi) e anche al cinema, se posso, evito queste storie come la peste (con l’eccezione di “Le ricette della Signora Toku“, cui più avanti difatti farò un accenno). 
Volendo fare almeno una menzione letteraria, una sola, vi propongo "Gola" di John Lanchester (1996), bizzarra opera a metà tra il diaristico, il romanzo psicologico e il thriller che si ispira ai gialli del passato condendo però il tutto (è proprio il caso di dirlo) con una massiccia dose di humour inglese. Il libro fa l’equivalente di ciò che, al cinema, fanno opere come "Invito a cena con delitto" di Robert Moore (1976) o “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante” di Peter Greenaway (1989): un filone cinematografico che non ho volutamente esplorato solo per mancanza di tempo (insomma, qualcosa dovevo pur omettere). 

Ma tornando al cinema, è fuor di dubbio che sia oggi la forma d’arte più popolare. Ciò non è vero solo per le sue caratteristiche intrinseche (non occorre una preparazione culturale specifica per apprezzare la maggior parte dei film, anche se magari non se ne coglieranno tutte le sfumature), ma anche a causa dell’evoluzione (ma sarebbe forse meglio parlare di involuzione) con cui il mezzo cinematografico si è fatto strada nelle nostre vite. 
Con il costo del biglietto delle sale cinematografiche che è aumentato vertiginosamente, con le offerte delle numerose piattaforme di streaming, inevitabile pezza sul fenomeno del download illegale di inizio secolo, e con le chiusure forzate degli scorsi anni, che hanno dato il definitivo colpo di grazia al grande schermo, la visione di un film oggi si è trasformata da quello che un tempo era per molti l’evento più importante della settimana (mi riferisco ai decenni in cui sabato sera voleva dire cinema) a un rito come tanti altri, da consumare sul divano di casa, soli o in compagnia, senza che si badi troppo alla qualità del prodotto offerto. Senza, anzi, nemmeno porsi il problema se esista o meno un prodotto di qualità. L’importante è consumare, ovvero impegnare quel paio d’ore serali nella maniera più anestetizzante, con la prospettiva di farci accompagnare, magari il più rapidamente possibile, dallo stato di veglia al conforto di un sonno profondo. 
Non saprei dire con certezza se sia stata l’offerta che a un certo punto si è adeguata alla richiesta o viceversa (è un po’ come quella vecchia questione sull’uovo e la gallina), ma è certo che oggi, nel 2024, è sempre più difficile assistere a un film senza che, giunti i titoli di coda, vengano espressi lapidari commenti circa la mediocrità dell’esperienza appena conclusa. È un dato di fatto. 
Il sottoscritto, che è uno di quelli che di cinema ne ha sempre consumato parecchio, non è in grado di promuovere più di dieci titoli in un anno. Tutto il resto? Molta è spazzatura assolutamente dimenticabile, il cui sforzo per produrla appare quasi ingiustificato. 

Sono ormai lontani gli anni del cosiddetto “cinema d’autore”, ambito in cui registi particolarmente ispirati realizzavano vere e proprie espressioni di una poetica per certi versi quasi inaccessibile alle masse. Il cinema del nuovo millennio, con poche eccezioni, porta con sé solo schemi banali farciti di elementi visti e stravisti, immutati e immutabili, che hanno come unico comun denominatore la mancanza assoluta di idee. 
E attenzione, non sto parlando di una nuova forma estrema di “cinema di genere” che, come l’attuale, era fatto di schemi ed elementi ben riconoscibili: quello era un cinema che sarebbe comunque stato destinato a durare lo spazio di qualche anno, un decennio al massimo, adattandosi alla domanda di un pubblico particolarmente attento ed esigente (e non il contrario), esattamente l’opposto del pubblico di oggi, eterodiretto e che subisce passivamente tutto ciò che gli si propone. E ne è felice, come se vivesse in un mondo distopico in cui un grande fratello onnisciente, invisibile e indiscutibile tirasse i fili di milioni di vite, inconsapevolmente rassegnate e omologate. 
Perché perdere tempo a parlare di cinema, vi starete chiedendo? Mah, principalmente perché l’epoca attuale, angosciante e pericolosa da un lato, è senza dubbio interessante dal punto di vista storico. Un giorno qualcuno guarderà indietro e giudicherà, e quel giorno quel qualcuno potrebbe accorgersi che non proprio tutto era da buttare. 

Se la settima arte, ma sarebbe meglio dire l’arte in generale, è innegabilmente l’ingrediente principale per il nutrimento dell’anima, il cibo, dal latino “cibus”, indica tutto ciò che serve da nutrimento per il corpo. Il cibo, e di ciò qualcuno oggi potrebbe anche sorprendersi, è per definizione “costituito da organismi o parti di organismi vegetali o animali atti a fornire, dopo avere subito gli opportuni processi digestivi, energia e principi nutritivi (proteine, lipidi, glucidi, vitamine, minerali, acqua)”. Certo,ovvio, mi dico. Ma in quanti riescono davvero a riflettere oggi sull’essenza vera del nutrimento del corpo? In estrema sintesi, mangiamo per vivere oppure viviamo per mangiare? 
La deriva che abbiamo preso negli ultimi decenni mi fa pensare che sia ormai vera la seconda ipotesi, ed è una deriva non molto diversa da quella subita dal cinema nello stesso lasso di tempo. Intendiamoci, con questo non voglio dire che in precedenza tutti si sedessero a tavola solo ed esclusivamente per espletare una necessità fisiologica: basti pensare all’antica pratica conviviale del simposio, attraverso il quale Greci e Romani, dopo il banchetto, si intrattenevano l’un l’altro intonando canti, perdendosi nella conversazione e non ultimo dedicandosi al piacere del bere. 
È quello che facciamo ancora oggi, nelle lunghe e conviviali serate trascorse al ristorante con amici e parenti. Solo che oggi, a differenza di Greci e Romani, abbiamo perso di vista l’importanza del simposio rispetto al banchetto. Le conversazioni del dopo cena ormai si limitano a dare un giudizio sulla cucina e a pianificare la prossima mangiata. I più intraprendenti parlano magari di calcio o di motomondiale, oppure di figli e di animali domestici, ma la maggior parte parla ancora di cibo: "Si è mangiato bene"; "si è mangiato male"; "conosco un posto dove si mangia meglio". 
Sarà che più vado avanti e più ho bisogno di impegnarmi in riflessioni significative, ma con queste premesse fatico molto a mandare avanti con piacere le mie relazioni sociali. Il cinema del passato ci ha regalato scene iconiche: chi si dimentica i pranzi pantagruelici della saga del Padrino o il finto orgasmo simulato da Meg Ryan proprio seduta al tavolo di un ristorante in “Harry, ti presento Sally…” (Rob Reiner, 1989)? In questo piccolo progetto volevo verificare se, al di là di una mia percezione generale, il cinema oggi sappia ancora usare il cibo e suoi luoghi e gesti d’elezione in modo più pregnante, anziché limitarsi a fotografare l’appiattimento dei costumi che ho appena menzionato. Alla fine del viaggio avrete la mia risposta.



6 commenti:

  1. Il film di Ferreri non l'ho visto, ma conosco il suo gusto per la rappresentazione del cinismo più bieco che si annida nell'animo umano (ho visto "La donna scimmia" e mi ha lasciato un senso di amarezza tale che dubito riuscirei a guardarlo per una seconda volta).

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    1. Ferreri è uno che non ci è mai andato troppo per il sottile. Non tutto ha funzionato perfettamente ma, in generale, ci ha lasciato un'enorme ricchezza. Solo qualche giorno fa ho visto il suo "Ciao Maschio", con Mastroianni e Depardieu, che oltre che attualissimo, come un po' tutto il suo cinema, è stato quasi più assurdo de "La grande abbuffata". Eppure se certi attori facevano a gara per recitare nei suoi film significa che avevano visto giusto...

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  2. Complimentissimi per la nuova iniziativa e non vedo l'ora di godermi il viaggio: ho l'acquolina, direi :-P
    Fra parentesi, vorrei spezzare una lancia per "Le ricette perdute del ristorante Kamogawa", che qualche mese fa ho ascolto in versione Audible, trovandolo delizioso e toccante, e un rapporto fra cibo e narrazione davvero gustoso. Però concordo, di solito questi titoli nascondono esperienze di rara superficialità (infatti ho provato a fare il bis con altri titoli e autori rimanendo sempre deluso).

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    1. Nell'ultimo anno si sono moltiplicati a dismisura romanzi di autori, prevalentemente, giapponesi che tirano in ballo nei loro titoli ristoranti e librerie. Decisamente un po' troppo per non insospettirsi.
      Lo speciale che è appena iniziato riserverà grosse sorprese, vedrai. Tutta roba che raramente si è vista su questo blog...

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  3. Conosco solo di nome il film, in ogni caso curioso del viaggio che farai ;)

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    1. Saranno ritmi piuttosto serrati, molto più di quanto non succeda da queste parti....

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