L'amante di Szamota (così come il successivo A casa di Sara) riprende e amplia il tema dell’ossessione sessuale virando, come al solito, nel metafisico.
Quando Jadwiga Kalergis fa rientro in città dopo un anno di assenza, Jerzy Szamota riceve un invito a casa sua e ha finalmente l'occasione di conoscerla. Forse il giovane dovrebbe chiedersi come mai la bellissima Jadwiga abbia scelto proprio lui tra la sua sterminata e silenziosa schiera di ammiratori, ma il suo desiderio e la sua felicità sono così intensi che non lasciano spazio a ragionamenti: tra i due nasce subito una focosa relazione. La donna è appassionata, quasi selvaggia nella sua passione. Eppure, col tempo, Szamota diviene inquieto e dubbioso. Perché le stranezze di Jadwiga sono molte. La donna gli si concede una volta alla settimana, sempre nello stesso giorno: nella camera da letto della donna, sempre in penombra o avvolta nel buio più totale, lei si presenta con il capo coperto da un velo e non pronuncia mai una sola parola. Szamota, che non è un vanitoso e non ha nessun interesse a vantarsi della sua conquista, comincia però a domandarsi perché nessuno in città sembri essere a conoscenza del ritorno della donna. Perché Jadwiga, che una volta tanto amava la vita mondana, ora trascorre tutto il suo tempo in casa? E perché sul suo corpo ci sono voglie e altri segni che somigliano stranamente a quelli presenti, nella stessa posizione, sul corpo dello stesso Szamota? Sotto le carezze di Szamota il corpo di Jadwiga sembra addirittura perdere consistenza, e se lui, quasi un anno dopo l'inizio della relazione, non è ancora arrivato a svelare la vera natura della sua amante, il lettore a questo punto della storia avrà intuito da un pezzo come stanno le cose. Fantasma, demone o materializzazione dell'ossessione amorosa di Szamota, è evidente che Jadwiga è tutto fuorché una donna comune.
Nel caso però pensaste che questo racconto non vale il tempo speso per leggerlo, vi avverto che l'ultima pagina regala una di quelle immagini che si fissano per sempre nella memoria, quella di un uomo che si ritrova a stringere tra le braccia soltanto l'ombra del suo amore e, svelando l'inganno, lo perde per sempre. Come già ne L'engramma di Szatera, un'incursione nel macabro e nel grottesco che si ammanta di rara poesia; un bel risultato per quello che superficialmente potrebbe sembrare il racconto della materializzazione di una banale fantasia erotica e che forse, semmai, si potrebbe definire come il frutto di un'ossessione amorosa che, nel delirio di una mente schizofrenica, si incarna con esiti inaspettati. Secondo il database IMDb, di questo racconto furono girati due adattamenti, due cortometraggi: uno di 27’ di Leon Trystan (Kochanka Szamoty, 1927), alla cui sceneggiatura collaborò lo stesso Grabiński, e uno di 16' di Holger Mandel (Szamotas Geliebte, 1999). Sarebbe bello poterli reperire per capire se su celluloide la magia è rimasta intatta ma, allo stato attuale, non ho avuto fortuna.
Chi è Sara Braga? Una strega, un demone, un vampiro? una Gorgone, una Lilith? Probabilmente tutto questo e molto altro. Sara è una donna che sa ammaliare, che lega gli uomini a sé e li soggioga con il sesso per poi rubar loro l'energia vitale. Una femme fatale amata e odiata, desiderata e temuta. Un classico, un archetipo, il simbolo del femminile che sfida il maschile e, a volte, sa dominarlo.
Ma A casa di Sara è sì una storia di passione, ossessione e morte, ma è anche la storia di una vendetta pianificata e consumata con perizia. La storia di Władek, che decide di vendicare l'amico Kazio, logoratosi fino alla totale consunzione per Sara, una donna bella in modo oscuro, maligno, elegante e raffinata ma curiosamente respingente, che era diventata la sua ossessione carnale e amorosa dal primo momento in cui aveva messo le mai su di lei. O lei su di lui...
È chiaro che la bellezza e la gioventù della donna hanno qualcosa di sovrannaturale e Władek è deciso a saperne di più. Con studiato calcolo, quindi, prende il posto dell'amico al fianco della sua ex amante: a casa di Sara.
Nella lotta tra le due volontà, tra la donna e l'uomo, ben presto i ruoli si invertono e Władek sembra acquisire potere man mano che Sara si indebolisce. Eppure… E se Sara fosse solo un elemento della natura che cerca di sopravvivere nell'unico modo che conosce? Se così fosse, avrebbe ancora senso valutare le sue azioni usando concetti come calcolo e crudeltà? E soprattutto, chi avrà la meglio in questa lotta per la vita?
Questo racconto fu adattato per la tv nel 1984 in lungometraggio di 64' diretto da Zygmunt Lech: Dom Sary (Sara's House). Nel film, Sara è un succubo e uccide i suoi amanti con l’aiuto del suo servo Juliusz, che è la personificazione del demone Asmodeo. Quest’analogia fa riferimento al Libro di Tobia, che viene citato anche nel racconto di Grabiński: qui Asmodeo è un potente demone simbolo della discordia coniugale che uccise tutti i sette mariti di Sara direttamente nella camera nuziale prima ancora che potessero giacere con lei, finché Tobia, figlio di Tobi, non ricevette indicazioni dall'Arcangelo Raffaele su come scacciare questo demone (capitoli III e VI) e, grazie a questo, poté chiedere in sposa Sara e consumare il matrimonio.
In alcune tradizioni Asmodeo è associato a Lilith, la prima leggendaria moglie di Adamo, creata da Dio prima di Eva, cui si sarebbe unita una volta scacciata dall'Eden. Asmodeo avrebbe un serpente al posto della coda e, secondo altre fonti, si tratterebbe dello stesso serpente che tentò Eva offrendole il frutto dell’albero della vita…
Se L’Area o Lo sguardo sono le vette espressive de Il villaggio nero, i successivi Il bianco lemure e il successivo La storia del becchino (a differenza del già citato La vendetta degli Elementali) si possono senz’altro considerare dei racconti minori. Eppure, Il bianco lemure è un racconto intelligente. È intelligente perché, nella sua linearità, sa giocare bene le sue carte: per fare spavento, infatti, non sempre occorre servirsi di intrecci e dettagli cervellotici, ma è sufficiente fare appello alle nostre paure ancestrali. E cosa c’è di più tremendo e innato della paura del buio? Nell’immagine, semplicissima, di uomo che si ritrova a strisciare nel buio verso l’ignoto noi ritorniamo bambini, oppure ci figuriamo in procinto di fronteggiare qualcosa di oscuro e di terrificante. Inoltre, questo racconto segna una decisa incursione nella mitologia e, curiosamente, Grabiński sceglie di pescare da quella dell’Europa meridionale piuttosto che da quella dell’est. Il lemure è un primate ma qui, chiaramente, si coglie un riferimento più colto ai lemures, gli "spiriti della notte" della religione romana, ovvero gli spiriti dei defunti che, dopo una morte prematura o violenta, tormentano i vivi fino a portarli alla pazzia. Per una volta Piotruś, il protagonista di questa storia, non è uno scrittore né un erudito, ma un semplice spazzacamino, anche se le sue doti morali e il suo coraggio sono quelli tipici del “superuomo” grabinskiano. Tutto comincia con la sparizione di due suoi colleghi che hanno risposto, a turno, alla chiamata degli abitanti di un ex birrificio che vogliono liberare un camino intasato. Nessuno sa che una forza vendicativa si cela tra la polvere e la fuliggine del vecchio comignolo: è il lemure, che attende nel buio le sue vittime e gli succhia via la vita dalle tempie con la sua proboscide… Sopra di me, a forse qualche metro dalla lama della mia accetta ancora sollevata, nella fioca e radente luce del comignolo vidi una creatura, bianca come la neve, che mi fissava con due enormi e gialli occhi da gufo. L'essere, in parte scimmia e in parte gigantesco rospo, stringeva qualcosa d'oscuro fra gli artigli delle zampe palmate superiori, qualcosa che somigliava a un braccio umano, mollemente pendulo da un corpo la cui figura vaga, distorta, s'intravedeva sulla parete accanto. Chi avrà la meglio tra Piotruś e il lemure? Grabiński riserva spesso un fato avverso ai suoi protagonisti e ci ha abituati a finali drammatici, ma questo racconto potrebbe riservare delle sorprese: non vi resta che leggere per saperlo. Polvere alla polvere, fuliggine alla fuliggine.
Forse la più classica tra quelle presentate, La storia del becchino è ambientata nella nostra Toscana, anche se in una località fittizia: Foscara. Così come fittizia è l’opera “Satanae opus turpissimum, seu coemeterii Foscarae, regia urbis profana violatio”: non è altro che un personale pseudobiblium dall’improbabile titolo creato da Grabiński appositamente per questo racconto.
La storia della città di Foscara, i cui abitanti sono tormentati da incubi, visioni notturne e fantasmi che né le preghiere né gli esorcismi riescono a pacificare s’interseca dunque con quella di Giovanni Tossati, vera e occulta causa dell’inquietudine dei morti. È lui infatti ad aver creato le bellissime opere d’arte che adornano il cimitero maggiore e che, dopo la sua scomparsa, costituiscono il suo lascito alla comunità – un lascito che, come si scoprirà, nasconde però un orribile segreto.
Grabiński ci regala un altro personaggio indimenticabile, perché Tossati, torvo e ambiguo, sbucato dal nulla vent’anni prima e divenuto in breve tempo una delle persone più in vista della città, conduce una vita dai molti lati oscuri. Scalpellino, scultore e becchino, è tanto rispettato per il suo talento e per la sua dedizione al lavoro quanto temuto. In paese non ha famiglia né amici e inoltre, anche se nessuno sembra notarlo, nasconde il suo vero volto sotto una maschera di gesso (circostanza che, come il lettore avrà modo di appurare verso la fine della narrazione, avrà un ruolo cruciale nella sua morte). La sua scomparsa, misteriosa tanto quanto le sue origini, lo consegna alla leggenda, alimentando voci incontrollate che, però, sarà impossibile provare.
Accanto a questa figura, Grabiński tratteggia il cimitero maggiore, capolavoro d’arte sepolcrale e di blasfemia, angosciante scenario attorno al quale ruota tutta la vicenda, e arricchisce la narrazione di elementi gotici, sia classici sia tipici della tradizione slava. Il risultato non è forse molto originale, ma è di sicuro impatto.
E con questo ecco concluso il mio personale excursus nel mondo di Stefan Grabiński. Spesso si ricercano le novità letterarie, il che è giusto e sacrosanto, ma ci sono vere e proprie gemme nascoste già lì, a portata di mano, che meriterebbero altrettanta attenzione. Come detto in apertura di articolo, ormai un paio di settimane fa, Grabiński è stato per chi scrive la più bella scoperta letteraria del 2014. Chissà, forse potrebbe rappresentare una rivelazione anche per voi se, come mi auguro, fossi riuscito a stuzzicare la vostra curiosità, anche solo un pochino.
Quando Jadwiga Kalergis fa rientro in città dopo un anno di assenza, Jerzy Szamota riceve un invito a casa sua e ha finalmente l'occasione di conoscerla. Forse il giovane dovrebbe chiedersi come mai la bellissima Jadwiga abbia scelto proprio lui tra la sua sterminata e silenziosa schiera di ammiratori, ma il suo desiderio e la sua felicità sono così intensi che non lasciano spazio a ragionamenti: tra i due nasce subito una focosa relazione. La donna è appassionata, quasi selvaggia nella sua passione. Eppure, col tempo, Szamota diviene inquieto e dubbioso. Perché le stranezze di Jadwiga sono molte. La donna gli si concede una volta alla settimana, sempre nello stesso giorno: nella camera da letto della donna, sempre in penombra o avvolta nel buio più totale, lei si presenta con il capo coperto da un velo e non pronuncia mai una sola parola. Szamota, che non è un vanitoso e non ha nessun interesse a vantarsi della sua conquista, comincia però a domandarsi perché nessuno in città sembri essere a conoscenza del ritorno della donna. Perché Jadwiga, che una volta tanto amava la vita mondana, ora trascorre tutto il suo tempo in casa? E perché sul suo corpo ci sono voglie e altri segni che somigliano stranamente a quelli presenti, nella stessa posizione, sul corpo dello stesso Szamota? Sotto le carezze di Szamota il corpo di Jadwiga sembra addirittura perdere consistenza, e se lui, quasi un anno dopo l'inizio della relazione, non è ancora arrivato a svelare la vera natura della sua amante, il lettore a questo punto della storia avrà intuito da un pezzo come stanno le cose. Fantasma, demone o materializzazione dell'ossessione amorosa di Szamota, è evidente che Jadwiga è tutto fuorché una donna comune.
Nel caso però pensaste che questo racconto non vale il tempo speso per leggerlo, vi avverto che l'ultima pagina regala una di quelle immagini che si fissano per sempre nella memoria, quella di un uomo che si ritrova a stringere tra le braccia soltanto l'ombra del suo amore e, svelando l'inganno, lo perde per sempre. Come già ne L'engramma di Szatera, un'incursione nel macabro e nel grottesco che si ammanta di rara poesia; un bel risultato per quello che superficialmente potrebbe sembrare il racconto della materializzazione di una banale fantasia erotica e che forse, semmai, si potrebbe definire come il frutto di un'ossessione amorosa che, nel delirio di una mente schizofrenica, si incarna con esiti inaspettati. Secondo il database IMDb, di questo racconto furono girati due adattamenti, due cortometraggi: uno di 27’ di Leon Trystan (Kochanka Szamoty, 1927), alla cui sceneggiatura collaborò lo stesso Grabiński, e uno di 16' di Holger Mandel (Szamotas Geliebte, 1999). Sarebbe bello poterli reperire per capire se su celluloide la magia è rimasta intatta ma, allo stato attuale, non ho avuto fortuna.
Questo racconto fu adattato per la tv nel 1984 in lungometraggio di 64' diretto da Zygmunt Lech: Dom Sary (Sara's House). Nel film, Sara è un succubo e uccide i suoi amanti con l’aiuto del suo servo Juliusz, che è la personificazione del demone Asmodeo. Quest’analogia fa riferimento al Libro di Tobia, che viene citato anche nel racconto di Grabiński: qui Asmodeo è un potente demone simbolo della discordia coniugale che uccise tutti i sette mariti di Sara direttamente nella camera nuziale prima ancora che potessero giacere con lei, finché Tobia, figlio di Tobi, non ricevette indicazioni dall'Arcangelo Raffaele su come scacciare questo demone (capitoli III e VI) e, grazie a questo, poté chiedere in sposa Sara e consumare il matrimonio.
In alcune tradizioni Asmodeo è associato a Lilith, la prima leggendaria moglie di Adamo, creata da Dio prima di Eva, cui si sarebbe unita una volta scacciata dall'Eden. Asmodeo avrebbe un serpente al posto della coda e, secondo altre fonti, si tratterebbe dello stesso serpente che tentò Eva offrendole il frutto dell’albero della vita…
Se L’Area o Lo sguardo sono le vette espressive de Il villaggio nero, i successivi Il bianco lemure e il successivo La storia del becchino (a differenza del già citato La vendetta degli Elementali) si possono senz’altro considerare dei racconti minori. Eppure, Il bianco lemure è un racconto intelligente. È intelligente perché, nella sua linearità, sa giocare bene le sue carte: per fare spavento, infatti, non sempre occorre servirsi di intrecci e dettagli cervellotici, ma è sufficiente fare appello alle nostre paure ancestrali. E cosa c’è di più tremendo e innato della paura del buio? Nell’immagine, semplicissima, di uomo che si ritrova a strisciare nel buio verso l’ignoto noi ritorniamo bambini, oppure ci figuriamo in procinto di fronteggiare qualcosa di oscuro e di terrificante. Inoltre, questo racconto segna una decisa incursione nella mitologia e, curiosamente, Grabiński sceglie di pescare da quella dell’Europa meridionale piuttosto che da quella dell’est. Il lemure è un primate ma qui, chiaramente, si coglie un riferimento più colto ai lemures, gli "spiriti della notte" della religione romana, ovvero gli spiriti dei defunti che, dopo una morte prematura o violenta, tormentano i vivi fino a portarli alla pazzia. Per una volta Piotruś, il protagonista di questa storia, non è uno scrittore né un erudito, ma un semplice spazzacamino, anche se le sue doti morali e il suo coraggio sono quelli tipici del “superuomo” grabinskiano. Tutto comincia con la sparizione di due suoi colleghi che hanno risposto, a turno, alla chiamata degli abitanti di un ex birrificio che vogliono liberare un camino intasato. Nessuno sa che una forza vendicativa si cela tra la polvere e la fuliggine del vecchio comignolo: è il lemure, che attende nel buio le sue vittime e gli succhia via la vita dalle tempie con la sua proboscide… Sopra di me, a forse qualche metro dalla lama della mia accetta ancora sollevata, nella fioca e radente luce del comignolo vidi una creatura, bianca come la neve, che mi fissava con due enormi e gialli occhi da gufo. L'essere, in parte scimmia e in parte gigantesco rospo, stringeva qualcosa d'oscuro fra gli artigli delle zampe palmate superiori, qualcosa che somigliava a un braccio umano, mollemente pendulo da un corpo la cui figura vaga, distorta, s'intravedeva sulla parete accanto. Chi avrà la meglio tra Piotruś e il lemure? Grabiński riserva spesso un fato avverso ai suoi protagonisti e ci ha abituati a finali drammatici, ma questo racconto potrebbe riservare delle sorprese: non vi resta che leggere per saperlo. Polvere alla polvere, fuliggine alla fuliggine.
La storia della città di Foscara, i cui abitanti sono tormentati da incubi, visioni notturne e fantasmi che né le preghiere né gli esorcismi riescono a pacificare s’interseca dunque con quella di Giovanni Tossati, vera e occulta causa dell’inquietudine dei morti. È lui infatti ad aver creato le bellissime opere d’arte che adornano il cimitero maggiore e che, dopo la sua scomparsa, costituiscono il suo lascito alla comunità – un lascito che, come si scoprirà, nasconde però un orribile segreto.
Grabiński ci regala un altro personaggio indimenticabile, perché Tossati, torvo e ambiguo, sbucato dal nulla vent’anni prima e divenuto in breve tempo una delle persone più in vista della città, conduce una vita dai molti lati oscuri. Scalpellino, scultore e becchino, è tanto rispettato per il suo talento e per la sua dedizione al lavoro quanto temuto. In paese non ha famiglia né amici e inoltre, anche se nessuno sembra notarlo, nasconde il suo vero volto sotto una maschera di gesso (circostanza che, come il lettore avrà modo di appurare verso la fine della narrazione, avrà un ruolo cruciale nella sua morte). La sua scomparsa, misteriosa tanto quanto le sue origini, lo consegna alla leggenda, alimentando voci incontrollate che, però, sarà impossibile provare.
Accanto a questa figura, Grabiński tratteggia il cimitero maggiore, capolavoro d’arte sepolcrale e di blasfemia, angosciante scenario attorno al quale ruota tutta la vicenda, e arricchisce la narrazione di elementi gotici, sia classici sia tipici della tradizione slava. Il risultato non è forse molto originale, ma è di sicuro impatto.
E con questo ecco concluso il mio personale excursus nel mondo di Stefan Grabiński. Spesso si ricercano le novità letterarie, il che è giusto e sacrosanto, ma ci sono vere e proprie gemme nascoste già lì, a portata di mano, che meriterebbero altrettanta attenzione. Come detto in apertura di articolo, ormai un paio di settimane fa, Grabiński è stato per chi scrive la più bella scoperta letteraria del 2014. Chissà, forse potrebbe rappresentare una rivelazione anche per voi se, come mi auguro, fossi riuscito a stuzzicare la vostra curiosità, anche solo un pochino.
Grazie TOM per il tuo strepitoso lavoro su Grabinski *__*
RispondiEliminaPenso che tutti siano rimasti colpiti e incuriositi da questo autore, che, a tutti gli effetti, è una "novità": meno male che alcune volte le CE si dimostrano coraggiose e ci permettono di recuperare materiale pressoché sconosciuto.
Alcuni dei racconti, che ci hai così brillantemente presentato, mi sono sembrati interessantissimi *__*
Magari mi faccio un regalo :P
Grazie per le belle parole. È stata una lunga maratona ma alla fine ne è sicuramente valsa la pena. Temevo che molti non avrebbero retto il ritmo e la lunghezza dell'articolo, ma alla fine nessuna delle sei parti è rimasta senza commenti, il che è stato un grande risultato. Il catalogo della Hypnos è davvero notevole: oltre a "Il villaggio nero" ed a "Il re in giallo" di Chambers ci sono molte cose che mi incuriosiscono....
EliminaPer quanto riguarda me non c'è dubbio, Invogliare hai invogliato.
RispondiEliminaIo nel 2014 di grandi scoperte non ne ho fatte. L'unico autore nuovo che ho letto è stato Georges Simenon e non è che proprio io sia rimasto folgorato.
Aggiungo i miei complimenti per i nuovi ritmi di pubblicazione dei post :O
I ritmi di pubblicazione dei post torneranno ad essere quelli usuali a partire da subito. In questo caso (come già era stato per il monumentale Twin Visions) ho preferito stringere i tempi per non annoiare troppo e per non lasciare il blog troppo a lungo in balìa di un solo argomento.
EliminaIo un pensierino sul volume della Hypnos l'ho fatto, in attesa di tempi migliori con meno letture sul groppone.
RispondiEliminaComplimenti per la maratona! (Ammetto che non l'ho letta tutta, conto di recuperarla più avanti.)
Non mi aspettavo di vedere molte persone superare lo scoglio delle prime due o tre parti. Le maratone di questo genere sono esaltanti ma alla lunga tendono a stancare. Fa forse bene Ivano a non metterle mai tutte di seguito....
EliminaA casa di Sara di sara mi ha ricordato tanto una figura mitologica norrena. Non so se hai presente: si chiama Mara, ed è la parola che ha poi portato filologicamente al composto Nightmare, ovvero incubo. Spesso viene identificato come un succubo, ma diversamente da quest'ultimo agisce durante i sogni, cavalcando la propria vittima, così da poterla uccidere attraverso l'amplesso e gli incubi che questo induce, o se vogliamo innesta. Certo qui la questione è spiccatamente diversa, ma mi ha in qualche modo ricordato questa figura norrena che mi ha sempre molto affascinato!
RispondiEliminaComunque davvero un ottimo lavoro, per assurdo ho letto solo gli ultimi due episodi di questo filone di post, ma conto di recuperare al più presto!
In italiano c'è in effetti una certa assonanza, ma temo che sia solo un caso. Dal punto di vista etimologico la Sara di Grabiński (dal polacco Sary) ha poco a che fare con Mara (dal germanico marōn, divenuto mære in inglese e da cui deriva, come hai giustamente osservato, night-mære).
EliminaP.S.: Sei credo il primo caso di lettore che inizia a leggere dal fondo anziché dall'inizio... Ma non importa. Benvenuto!
ahahaha perché ho iniziato a leggere l'ultimo e ho proseguito con quello sotto, poi mi sono reso conto che stavo andando al contrario ahahaha
EliminaNon ho parole....
EliminaCiao :)
RispondiEliminaSei riuscito ad incuriosire anche me, che non amo decisamente il genere. Non ti assicuro che approfondirò questa curiosità, però.... In fin dei conti sono sempre una che non ama mettersi in tensione :P
A presto ^_^
Se sono riuscito ad incuriosire anche te (che una volta mi dicesti di essere una fifona) significa che ho proprio fatto bingo. ^_^ Grazie!
EliminaCome detto in un precedente commento, "Il villaggio nero" l'ho inserito nella lista di letture da fare. E' stato molto interessante seguirti in queste sei puntate e anche se hai pubblicato a ritmo serrato, non sei risultato pesante, tutt'altro, con ogni nuova pubblicazione hai fatto aumentare il desiderio di leggere Grabiński, avendo anche la bravura di non spoilerare
RispondiEliminaGrazie. MI fa piacere sentirtelo dire. Quando si pubblicano articoli così monumentali la paura è sempre quella di annoiare.
EliminaConsidera la mia curiosità decisamente stuzzicata :)
RispondiEliminaBene! Ti sei letta tutti e sei post in un colpo solo, ne deduco...
Eliminaaccipicchiolina mi sono persa qualcosa di sensazionale con questi tuoi post su Grabinski! Premetto che "A casa di Sara" non lo leggerò mai, per una (banale se vuoi) antipatia nei confronti di quel nome femminile, che però proprio non mi riesce di superare -_-" ma pe ril resto, mi hai stuzzicata eccome!!
RispondiEliminaSe c'è mai stata nella tua vita una Sara che ti ha fatto del male, il racconto di Grabinski può essere un'occasione di rivalsa su una sua omonima.... ^_^
EliminaArrivo solo ora, perché non ho avuto tempo di leggere questa serie di post prima!
RispondiEliminaNon avevo mai sentito nominare Grabinski, ma ora mi hai decisamente incuriosito. Ora ho tantissime letture arretrate, ma segno il titolo per tempi migliori.
E poi c'è anche un altro problema: l'unico momento in cui ho tempo di leggere è sul treno, ma a giudicare dal tema di questi racconti, non mi sembra una scelta così azzeccata... Rischierei di farmi venire un attacco d'ansia!
I treni di oggi mettono ansia a prescindere, con o senza letture weird tra le mani. Se ti consola io stesso ho letto tre quarti de "il villaggio nero" proprio su un treno... non è stato così drammatico. Grazie per essere passata e per aver letto 6 post tutti d'un fiato!
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