La prolungata chiusura estiva del blog ha lasciato numerosi strascichi, come potete ben immaginare. Mi sono lasciato indietro molte cose di cui avrei voluto parlare. Mantenere un blog non è solo osservare una programmazione standard, che cerchi di seguire e proseguire ciò che si è iniziato, bensì assecondare la scrittura "di pancia" che, proprio come in un diario, vorrebbe che le emozioni di un preciso istante possano liberarsi. Uno degli impulsi che a stento non mi ha fatto ribollire il sangue nelle vene è esploso di schianto un pomeriggio di metà luglio, solo un paio di giorni dopo la discesa del mio provvisorio sipario: era la notizia della scomparsa del buon vecchio zio George.
Ormai sono trascorsi quasi due mesi da quell'infausto giorno, ma mi piacerebbe lo stesso dedicare due parole al regista che, forse più di ogni altro (anzi, senza forse), ha rivoluzionato la logica del cinema dell'orrore.
Inizio a scrivere questo articolo senza aver ben chiaro fino a che punto potrò spingermi senza apparire noioso e melenso. Su George Andrew Romero è già stato scritto di tutto, specialmente (e inevitabilmente) nelle ultime settimane. Cosa mai potrei aggiungere?
Il mio primo incontro con il genio romeriano fu tutto sommato piuttosto singolare: non fu un film, bensì un disco ad incuriosirmi. Ricordo che entrò in casa mia un vecchio vinile, probabilmente ceduto da qualche amico o parente (questo non lo ricordo) al quale quel disco faceva evidentemente cag##e: era la colonna sonora di Zombi (Dawn of the Dead, 1978), firmata da quel gruppo prog-rock chiamato Goblin del quale nemmeno i sassi potevano ignorare l'esistenza.
Non mi fu difficile capire il motivo per cui il dimenticato donatore si era liberato di quel vinile: a parte il primo brano, decisamente avvolgente (L'alba dei morti viventi), tutto il resto era veramente inascoltabile; una di quelle colonne sonore che non hanno alcuna ragione di esistere senza le immagini per le quali sono state pensate. Eppure, quel singolo brano iniziale non mancò di entrarmi nel cervello come una punta di trapano nel muro. Non sto dicendo che senza quel vinile non sarei mai finito tra le grinfie di Romero, ma posso senz'altro dire che contribuì nettamente ad accorciare i tempi.
Come andò in seguito non lo ricordo. Probabilmente fu proprio con Dawn of the Dead, il secondo capitolo della trilogia classica, che feci conoscenza con il grande regista. Gli altri vennero dopo. Il terzo capitolo, Day of the Dead, anche molto dopo. Paradossalmente, per motivi più che altro anagrafici (nel 1978 ero piccino), scoprii prima gli zombi farlocchi di Lucio Fulci, per merito (o per colpa) di qualche coraggioso passaggio televisivo.
Oggi che Romero è entrato a far parte del mondo dei trapassati, possiamo con certezza affermare che "he won't stay dead", parafrasando lo slogan presente sulle locandine del primo fortunato capitolo. Questo per dire che tutto quello che siamo abituati a vedere, che abbiamo visto in passato (perlomeno a partire da quella "notte" del 1968) e che vedremo in futuro è stato certosinamente codificato proprio da Romero.
Come ebbi già modo di scrivere un paio di anni fa, prima di Romero lo zombi era semplicemente una creatura delle credenze popolari haitiane del periodo coloniale: nella pratica una specie di burattino senza fili, privo di volontà propria, destinato a compiere i lavori più ingrati sotto il controllo di una sorta di macabro sacerdote detto bokor. È esattamente il tipo di creatura ritratta al cinema dal capostipite del genere, quel "L'isola degli zombies" (White Zombie, 1932) che vedeva da Bela Lugosi nella parte del villain, e replicato successivamente da titoli come "Ho camminato con uno zombi" (I Walked with a Zombie, 1943) di Jacques Tourneur.
George Romero cancellò tutto questo con un solo colpo di spugna e creò il morto vivente così come lo conosciamo adesso, ovvero come il protagonista dei nostri incubi più terrificanti. Non più un semplice "drogato", ma un vero e proprio cadavere risorto dalla tomba, pallido, sanguinolento, spesso orribilmente mutilato, che si aggira per il mondo a passo lento ma inesorabile, con lo sguardo perso nel vuoto, alla perenne ricerca di esseri umani su cui scatenare il proprio feroce (e contagioso) istinto cannibalico. Sulle origini di tali rinnovate creature Romero (e tutti coloro che seguirono il suo schema) ha sempre più o meno sorvolato, rendendo di fatto lo zombi ancora più terrificante.
Potrei stare per ore a parlare di come Romero abbia celato dietro i suoi walking dead messaggi di critica nei confronti della società americana: il razzismo e la paura del diverso in prima battuta ("The Night of the Living Dead", 1968), il consumismo e il desiderio del superfluo in seconda battuta ("Dawn of the Dead", 1978), il militarismo e la politica dei paraocchi in terza ("Day of the Dead, 1985). Ci vorrebbero però delle settimane per sviscerarne ogni aspetto, per cui mi limiterò a quanto detto.
Anni fa, durante un’intervista a Wired, George Romero si era soffermato su come fossero cambiati gli zombie dopo di lui: “I miei zombie erano senza cervello, ora invece sembrano essere diventati più pericolosi. Nei miei film non erano intelligenti, semplicemente avevano un vago ricordo di un certo comportamento." In effetti, oggi gli zombi fanno decisamente più paura: Zack Snyder nel remake di "Dawn" del 2004 ha per esempio sdoganato gli zombi corridori, amplificandone la pericolosità ma allontanandosi dai concetti pavloviani illustrati da Romero e senza una strada ben chiara da percorrere. Che devastazione! In fondo non serviva andare oltre Romero. Non c'è nulla oltre Romero. Lui ce lo ha già spiegato. I morti viventi non sono affatto creature nate dal suo immaginario: egli non ha fatto altro che applicare uno specchio sui nostri schermi e ci ha invitato ad ammirare la nostra immagine riflessa. Gli zombi siamo noi. Chi altri, se no?
Quando si fa tutto di fretta a volte si finisce spesso per dimenticarsi le cose. Il presente articolo non è affatto un caso isolato: esso si inserisce in un progetto che si è voluto chiamare "Blog of the Dead", una serie di omaggi che oggi appaiono in diverse altre galassie della blogosfera. Siamo più o meno tutti, come avrete certamente notato, piuttosto in ritardo nell'omaggiare il vecchio zio George (tanto più che nel frattempo altri lutti hanno sconvolto il mondo del cinema horror), ma pazienza.
Vogliate quindi navigare rapidamente verso i seguenti lidi: Redrumia, Delicatamente Perfido, White Russian, Non c'è paragone, Combinazione Casuale, Una mela al gusto pesce, Pietro Saba World e il Bollalmanacco di Cinema.
Ormai sono trascorsi quasi due mesi da quell'infausto giorno, ma mi piacerebbe lo stesso dedicare due parole al regista che, forse più di ogni altro (anzi, senza forse), ha rivoluzionato la logica del cinema dell'orrore.
Inizio a scrivere questo articolo senza aver ben chiaro fino a che punto potrò spingermi senza apparire noioso e melenso. Su George Andrew Romero è già stato scritto di tutto, specialmente (e inevitabilmente) nelle ultime settimane. Cosa mai potrei aggiungere?
Il mio primo incontro con il genio romeriano fu tutto sommato piuttosto singolare: non fu un film, bensì un disco ad incuriosirmi. Ricordo che entrò in casa mia un vecchio vinile, probabilmente ceduto da qualche amico o parente (questo non lo ricordo) al quale quel disco faceva evidentemente cag##e: era la colonna sonora di Zombi (Dawn of the Dead, 1978), firmata da quel gruppo prog-rock chiamato Goblin del quale nemmeno i sassi potevano ignorare l'esistenza.
Non mi fu difficile capire il motivo per cui il dimenticato donatore si era liberato di quel vinile: a parte il primo brano, decisamente avvolgente (L'alba dei morti viventi), tutto il resto era veramente inascoltabile; una di quelle colonne sonore che non hanno alcuna ragione di esistere senza le immagini per le quali sono state pensate. Eppure, quel singolo brano iniziale non mancò di entrarmi nel cervello come una punta di trapano nel muro. Non sto dicendo che senza quel vinile non sarei mai finito tra le grinfie di Romero, ma posso senz'altro dire che contribuì nettamente ad accorciare i tempi.
Come andò in seguito non lo ricordo. Probabilmente fu proprio con Dawn of the Dead, il secondo capitolo della trilogia classica, che feci conoscenza con il grande regista. Gli altri vennero dopo. Il terzo capitolo, Day of the Dead, anche molto dopo. Paradossalmente, per motivi più che altro anagrafici (nel 1978 ero piccino), scoprii prima gli zombi farlocchi di Lucio Fulci, per merito (o per colpa) di qualche coraggioso passaggio televisivo.
LtoR: la notte (1968), l'alba (1978) e il giorno (1985) degli zombi |
Come ebbi già modo di scrivere un paio di anni fa, prima di Romero lo zombi era semplicemente una creatura delle credenze popolari haitiane del periodo coloniale: nella pratica una specie di burattino senza fili, privo di volontà propria, destinato a compiere i lavori più ingrati sotto il controllo di una sorta di macabro sacerdote detto bokor. È esattamente il tipo di creatura ritratta al cinema dal capostipite del genere, quel "L'isola degli zombies" (White Zombie, 1932) che vedeva da Bela Lugosi nella parte del villain, e replicato successivamente da titoli come "Ho camminato con uno zombi" (I Walked with a Zombie, 1943) di Jacques Tourneur.
George Romero cancellò tutto questo con un solo colpo di spugna e creò il morto vivente così come lo conosciamo adesso, ovvero come il protagonista dei nostri incubi più terrificanti. Non più un semplice "drogato", ma un vero e proprio cadavere risorto dalla tomba, pallido, sanguinolento, spesso orribilmente mutilato, che si aggira per il mondo a passo lento ma inesorabile, con lo sguardo perso nel vuoto, alla perenne ricerca di esseri umani su cui scatenare il proprio feroce (e contagioso) istinto cannibalico. Sulle origini di tali rinnovate creature Romero (e tutti coloro che seguirono il suo schema) ha sempre più o meno sorvolato, rendendo di fatto lo zombi ancora più terrificante.
Potrei stare per ore a parlare di come Romero abbia celato dietro i suoi walking dead messaggi di critica nei confronti della società americana: il razzismo e la paura del diverso in prima battuta ("The Night of the Living Dead", 1968), il consumismo e il desiderio del superfluo in seconda battuta ("Dawn of the Dead", 1978), il militarismo e la politica dei paraocchi in terza ("Day of the Dead, 1985). Ci vorrebbero però delle settimane per sviscerarne ogni aspetto, per cui mi limiterò a quanto detto.
Anni fa, durante un’intervista a Wired, George Romero si era soffermato su come fossero cambiati gli zombie dopo di lui: “I miei zombie erano senza cervello, ora invece sembrano essere diventati più pericolosi. Nei miei film non erano intelligenti, semplicemente avevano un vago ricordo di un certo comportamento." In effetti, oggi gli zombi fanno decisamente più paura: Zack Snyder nel remake di "Dawn" del 2004 ha per esempio sdoganato gli zombi corridori, amplificandone la pericolosità ma allontanandosi dai concetti pavloviani illustrati da Romero e senza una strada ben chiara da percorrere. Che devastazione! In fondo non serviva andare oltre Romero. Non c'è nulla oltre Romero. Lui ce lo ha già spiegato. I morti viventi non sono affatto creature nate dal suo immaginario: egli non ha fatto altro che applicare uno specchio sui nostri schermi e ci ha invitato ad ammirare la nostra immagine riflessa. Gli zombi siamo noi. Chi altri, se no?
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Quando si fa tutto di fretta a volte si finisce spesso per dimenticarsi le cose. Il presente articolo non è affatto un caso isolato: esso si inserisce in un progetto che si è voluto chiamare "Blog of the Dead", una serie di omaggi che oggi appaiono in diverse altre galassie della blogosfera. Siamo più o meno tutti, come avrete certamente notato, piuttosto in ritardo nell'omaggiare il vecchio zio George (tanto più che nel frattempo altri lutti hanno sconvolto il mondo del cinema horror), ma pazienza.
Vogliate quindi navigare rapidamente verso i seguenti lidi: Redrumia, Delicatamente Perfido, White Russian, Non c'è paragone, Combinazione Casuale, Una mela al gusto pesce, Pietro Saba World e il Bollalmanacco di Cinema.
Alla fine non ce l'ho fatta ad organizzare un omaggio a George, abituato come sono con gli ZZombie (cioè gli zombie di serie Z) mi sono allontanato dalla sua via. Infatti la sua seconda trilogia mi ha profondamente deluso e faccio finta che non esista...
RispondiEliminaChissà invece che, come te, gli faccia un omaggio tardivo ;-)
La vedo anch'io come te: dopo la trilogia classica Romero ha prodotto solo oscenità (pur senza raggiungere i vertici espressivi di Fulci). Se deciderai per un omaggio tardivo, il banner BotD è libero da copyright! ^_^
EliminaSiamo lenti come gli zombie ma sicuramente il pensiero arriverà a Zio George.
RispondiEliminaIntanto, bellissimo amarcord e ancor più bella riflessione su ciò che Romero ha lasciato al cinema e a noi! :)
Sono riflessioni che di sicuro avranno fatto anche altri, ma ci tengo a sottolineare anche l'ovvio, se necessario.
EliminaAmmetto di non aver mai visto film di Romero, forse è giunto il momento di fare un tentativo quanto meno come omaggio postumo al regista.
RispondiEliminaLa "notte" originale del '68 è decisamente un buon inizio. Meglio se la versione in bianco e nero.. e non quella "ricolorata" successivamente.
EliminaLa saga degli zombie rimarrà per sempre nella storia, vista e molto apprezzata tutta, alcuni altri film invece mi mancano...comunque lui era davvero un grande e lo sarà sempre ;)
RispondiEliminaA chi è nato e cresciuto con i "walking dead" probabilmente il vecchio ciclo romeriano farà un po' sorridere... ma dannazione se quei primi zombi non facevano paura.
EliminaBella disamina, e per certi versi il mio percorso è stato simile al tuo. Anche se gli zombi fulciani io li ho veramente tanto amati.
RispondiEliminaProbabilmente c'è stato un periodo in cui li ho apprezzati anch'io, gli zombi fulciani, ma rivisti adesso... stento a credere che sia potuto davvero accadere.
EliminaSono dannatamente curioso di conoscere i tuoi piani! In effetti, visto che mi ci fai pensare, ci sarebbe spazio per un lungo speciale su Romero, talmente grande è stata la sua presenza.
RispondiEliminaGrande commento, alla fine Romero era un grande regista in grado di inventare a modo suo un vero e proprio genere cinematografico che oggi viene esplorato con tutte le evoluzioni - talvolta anche involuzioni - del caso.
RispondiEliminaOggi il genere zombesco forse è anche eccessivamente abusato... probabilmente Romero tornerà quando lo sfacelo che abbiamo davanti agli occhi si sarà ridimensionato.
EliminaBello il post su George a tutto tondo,gli zombie corridori però c'erano già in 28 giorni dopo,nel 2002!E mi ricordo che mi terrorizzarono molto di più proprio per il fatto che era più difficile scappare da loro XD
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