lunedì 27 settembre 2021

Haïta il pastore

La sua vita trascorreva così, ogni giorno identico all'altro, tranne quando la tempesta dava sfogo all'ira di una divinità offesa. Allora Haïta si rifugiava nella sua grotta e, col viso tra le mani, pregava affinché solo lui venisse punito per i suoi peccati e il resto del mondo fosse risparmiato dalla distruzione. Talvolta, quando diluviava e il ruscello usciva dagli argini, costringendolo a spingere il gregge terrorizzato verso la alture, intercedeva presso gli dèi per gli abitanti delle città, che, come gli era stato detto, vivevano nella pianura, al di là delle due colline azzurre che costituivano l'ingresso della sua valle. «Ok Hastur», sei stato molto premuroso" invocava Haïta «nel porre le montagne così vicino alla mia grotta e al mio ovile, in modo tale che io e il mio gregge possiamo sfuggire alla collera dei torrenti; ma devi salvare anche il resto del mondo con mezzi a me ignoti, o altrimenti non ti adorerò più». (Ambrose Bierce, Haïta the Shepherd).

In questo lungo percorso che stiamo compiendo alla ricerca di una risposta sulla vera essenza del Re in Giallo e della perduta Carcosa, c'è un particolare a cui abbiamo accennato vagamente ma che mai abbiamo veramente approfondito, e di ciò mi sono ricordato scrivendo il precedente articolo. Oggi è quindi il caso di rimediare e fare un deciso passo indietro fino alle origini dei Mythos, ovvero fino ad uno dei primissimi racconti che, cronologicamente parlando, Ambrose Bierce consegnò a noi appassionati. 
Pubblicato per la prima volta il 24 gennaio 1891 sul magazine "The Wave: A Journal of Nineteenth-Century San Francisco" di Joyce Noble Howard (Florida State University College of Arts and Sciences) il racconto "Haïta the Shepherd" giunge cinque anni dopo il ben più noto "An Inhabitant of Carcosa" di cui abbiamo ampiamente già parlato all'inizio di questa nostra avventura e, assieme a quest'ultimo, rappresenta il solo altro racconto di Bierce che si può accostare in qualche modo a quella che noi chiamiamo mitologia in giallo. 
"Haïta the Shepherd" (1) narra le vicende di Haïta, un ingenuo pastorello devoto al culto di Hastur, dio dei pastori. Quando l'ira di quest'ultimo, offeso dall'umanità, promette di affogare le città con grandi tempeste, egli lo minaccia di abbandonare la fede (cfr. brano introduttivo). Identificare Hastur con un essere (umano o divino che sia) non è affatto una novità: ce ne eravamo già accorti il giorno in cui affrontammo il racconto "The Demoiselle d'Ys", incluso nel King in Yellow chambersiano (in quell'occasione, forse ve lo ricorderete, Hastur era un falconiere al servizio della damigella del titolo). Si pone a questo punto il problema di far convivere l'idea che Hastur possa essere allo stesso tempo un individuo e un luogo (una città, una regione o, come abbiamo visto la volta scorsa, una stella). (2) L'impresa si rivela subito piuttosto complessa. Occorre pertanto andare con ordine. 

Leggendo il brano riportato in apertura ciò che si prova è una strana sensazione di deja-vu: un pastore, il suo dio e una catastrofe incombente sono elementi che certamente appartengono in qualche modo anche alla tradizione cristiana, per cui non trovo niente di meglio da fare che aprire una vecchia Bibbia e iniziare da lì le mie ricerche. Il vero problema è che nella Bibbia c’è una vera e propria moltitudine di pastori che, nel corso dei millenni, hanno discusso con un Dio incollerito i dettagli di un eventuale castigo universale. Da che parte quindi cominciare? Visto che nel racconto di Chambers si parla esplicitamente di piogge torrenziali, il parallelismo più ovvio a cui potrei pensare è quello con il mito biblico del diluvio universale (3). Proviamo a vedere se la cosa sta in piedi. 
Nella Genesi (6,18 e sgg.) Dio affida a Noè il compito di mettere in salvo le specie animali e quindi, dopo il Diluvio, di divenire il capostipite di una rinnovata umanità. Sappiamo che Noè era uno Zaddiq ovvero un "uomo giusto", titolo oggi riservato ai maestri spirituali, il che lo pone benissimo sotto una luce di "pastore", anche se ciò non ci viene detto esplicitamente nella Genesi. Ma Noè era davvero un pastore di anime? In effetti la figura di Noè è per molti aspetti singolare, egli sembra accettare passivamente le decisioni di Dio e non si sente mai la sua voce. Dio dice e Noè obbedisce: persino le misure dell'arca sono stabilite. Tutto il contrario di ciò che sembra essere Haïta il pastore che, al contrario, arriva addirittura ad opporsi al suo Signore, minacciandolo. 

La cultura babilonese, nell'ambito dell'epopea di Gilgamesh, riferisce lo stesso episodio: Utnapishtim è incaricato dal dio Enki (Ea) di creare una nave gigante in preparazione di una gigantesca alluvione che spazzerà via tutta la vita. Egli si rivolge quindi al suo dio con queste parole. "Quello che hai comandato io lo onorerò e lo compirò, ma come risponderò alla gente, alla città, agli anziani?". Esattamente come Haïta, Utnapishtim si pone il dubbio e lo esprime, dimostrando in questo modo una particolare attenzione per il popolo. La vera differenza è che Utnapishtim dichiara qui esplicitamente che del diluvio “dovrà risponderne”, particolare che sembra suggerire la sua posizione intermedia tra la divinità e l’umanità (un pastore, appunto). Nell'assunto che le figure di Noè e di Utnapishtim coincidano, ecco quindi che nell'epopea di Gilgamesh troviamo forse il riscontro che cercavamo (4). Ma non è così facile, perché se ci addentriamo meglio tra le pagine bibliche, saltano fuori altre ipotesi. Una su tutte ci porta a identificare Haïta non più nella figura di Noè ma in quella in un altro grande patriarca: Mosè, che sappiamo per certo fosse un pastore (5)

Haïta, facendo un passo indietro, è un pastore ingenuo che prega nel santuario di Hastur, dio dei pastori, e che non conosce nulla delle sue origini. Certamente è un individuo dal cuore d'oro: lo vediamo preoccuparsi che le città non vengano spazzate vie dalla furia delle acque e, successivamente, lo vedremo prendersi cura di un santo eremita che vive non lontano da lui. Sappiamo dalla Bibbia che lo stesso Mosè fu un uomo molto altruista e, sebbene non fosse certo un campione di oratoria (6), ebbe modo di scambiare ben più di quattro chiacchere con Dio quando quest’ultimo gli apparve in una fiamma di fuoco (7) dal mezzo di un roveto (8). Trovò anche il coraggio, tra l’altro, di sollevare delle obiezioni. (9) Ma soprattutto anch’egli, come Noè, ebbe a che fare con le acque (10), il che rende Mosé un alias altrettanto valido, se non addirittura migliore per Haïta. Ciò che purtroppo qui manca è la catastrofe, a meno di non considerare tale quella che si è abbattuta sul popolo egizio. 

La vera chiave forse sta tutta in quell’ultima frase: “E Hastur […] salvò le città e deviò le acque al mare”. Questo breve ma significativo passo ci fa pensare che il dio dei pastori non sia solo un essere cieco e vendicativo, bensì un dio che ha a cuore la salvezza dei giusti. Ciò richiama alla mente l’episodio della Genesi nel quale viene descritta la distruzione di Sodoma e Gomorra (in quel caso la pioggia fu di fuoco anziché d’acqua, ma non importa). Secondo quanto riferisce la Bibbia, Yahweh rivelò ad Abramo che stava per distruggere le due peccaminose città, ma Abramo intercedette per le persone giuste chiedendo e ottenendo che si salvasse la piccola città di Zoar, nei pressi di Sodoma. Al termine di quella singolare contrattazione, Dio inviò una pioggia di fuoco e zolfo che incenerì del tutto Sodoma con i suoi abitanti (11). Ma Abramo era o non era un pastore? La Genesi riferisce (12) che il patriarca biblico “era molto ricco in bestiame”, e ciò farebbe di lui più un mandriano che un pastore; tuttavia il suo stesso nome (dall’ebraico אַבְרָהָם, il cui significato è "Padre di molti") individuerebbe per lui un ruolo di pastore di anime, e ciò pone Abramo nella posizione di essere un alias per Haïta migliore sia di Noè che di Mosè

La verità forse non la sapremo mai, ma ciò a cui ci porta questo lungo discorso è la netta sensazione di un parallelismo tra la mitologia hasturiana e quella delle grandi religioni monoteiste (Noè, Mosè e Abramo, come è noto, hanno dei corrispondenti anche nel Corano). 
All’improvviso, mentre parlava (il soggetto è Haïta, ndr), un intenso splendore si riversò su di lui, costringendolo a sollevare lo sguardo, perché gli era parso che il sole stesse facendo capolino attraverso uno squarcio tra le nuvole, ma non c’erano nuvole. A poco meno di un metro di distanza apparve una bellissima fanciulla. […] Haïta era in estasi. Si alzò e si inginocchiò in adorazione al suo cospetto, mentre ella gli posava una mano sulla testa. «Avvicinati […] Non devi adorarmi perché non sono una divinità, ma se sarai fedele e obbediente, non ti abbandonerò mai». Haïta le prese la mano e si rialzò balbettando parole di gioia e di gratitudine, e rimasero mano nella mano a sorridersi vicendevolmente. La guardò con venerazione e trasporto e disse: «Ti prego, incantevole fanciulla, dimmi come ti chiami e da dove e perché sei venuta.» Alle sue parole ella si posò un dito sulle labbra in segno di ammonimento e iniziò a ritrarsi da lui. […] «Oh, giovane presuntuoso e ingrato! Allora devo lasciarti così presto? Dovevi per forza rompere subito il patto eterno?» (Ambrose Bierce, Haïta the Shepherd).
Ecco un altro passaggio interessante: mentre Haïta si rivolge ad Hastur con un linguaggio anche piuttosto diretto (13), si aprono le nubi e, come nella più classica delle apparizioni mariane, appare una “figura angelica”, dall’aspetto indubbiamente femminile I due, Haïta e la tipa, stringono una sorta di alleanza (i cui termini, come da tradizione, sono piuttosto vaghi) e tutto procede bene fino a che egli non osa chiederle il nome. Il parallelismo con le tavole della legge e con il secondo comandamento della tradizione cristiana (14) è ancora una volta evidente, anche perché, leggendo il racconto, non dubitiamo nemmeno per un attimo che l’angelica creatura sia un’emanazione (al femminile) dello stesso Hastur (15). Ecco quindi che si arriverebbe a spiegare il motivo per cui Hastur, secondo i canoni della mitologia “in giallo” viene definito come “Magnum Innominandum”, ovvero “Colui che non deve essere nominato”, epiteto che deriva dal concetto classico di non invocare determinati dèi per nome poiché i loro doveri erano così importanti per il mantenimento del mondo che distrarli aveva il potenziale di causare terribili disastri. 

Viene quindi da chiederci se Hastur, che non deve essere nominato, sia il suo vero nome o se al contrario di tratta di un epiteto accettabile nello stesso modo in cui Adonai fu usato al posto di YHWH, il famoso tetragramma con cui il Dio degli israeliti si è rivelato a Mosè e che è stato interpretato come Yahweh, o Yehovah a seconda delle culture. Non sarebbe quindi una novità che Hastur, come molti Grandi Antichi, abbia altri nomi in altre culture, come ad esempio variante greca Xastur, da cui Khastur o Castro, termine che addirittura potrebbe collegarlo al mito di Urano, la divinità primordiale che venne colta nel sonno da uno dei suoi figli e spietatamente evirata con un falcetto (16). Giungiamo quindi all’ultimo passaggio, dove ad Haïta viene finalmente rivelata l'identità della misteriosa fanciulla: 
«Figliolo, ho prestato ascolto alla tua storia e ho riconosciuto la fanciulla. Io stesso, come molti altri, l’ho vista. Sappi allora, che il suo nome, che ella non ti permetterebbe nemmeno di chiederle, è Felicità. Tu le hai detto la verità: è capricciosa, perché impone delle condizioni che nessun uomo può rispettare e punisce l’inadempienza con l’abbandono. Arriva solo quando non la si cerca, e non accetta che le si facciano domande. Bastano solo una parvenza di curiosità, un barlume di dubbio o un’espressione di timore, ed ecco che essa scompare!» (Ambrose Bierce, Haïta the Shepherd).
E qui Chambers svela praticamente tutte le sue carte. Se pensate a Dio è più facile associarlo alla sofferenza che alla felicità; se pensate a Dio è più facile associarlo al dolore che alla gioia. Ciò deriva dal fatto, e di questo la responsabilità è della religione, che ci viene presentato un Dio che proibisce praticamente tutto quello che dà piacere alla vita e obbliga a soffrire. Soffrire qui in cambio di un’ipotetica felicità dopo la morte: ecco il grande inganno della religione. Tutto ciò per ottenere la sottomissione a leggi irrazionali che nessun uomo con un briciolo di intelligenza potrebbe mai considerare. E perché esse siano considerate vengono imposte alle persone sotto la minaccia della paura, inculcando in esse un continuo senso di colpa nei confronti di cose vaghe e indecifrabili (“una parvenza di curiosità, un barlume di dubbio…”) e poterle così dominare. Non ci credete? Andatevi a leggere questo passaggio del Deuteronomio, il libro contenente le prescrizioni di Mosè sulla vita religiosa e sociale del popolo ebraico dopo l'insediamento in Palestina. Come può essere felice un uomo che è perennemente sotto la spada di Damocle di un Dio così vendicativo? Usando le parole di Chambers, la religione “impone delle condizioni che nessun uomo può rispettare e punisce l’inadempienza”. Un meccanismo diabolicamente perfetto: la religione è una struttura di leggi che fa si che l’uomo si senta sempre in colpa, sempre nel peccato, e per quanti sforzi faccia non riesca mai a sentirsi all’altezza. 
Ho letto un po’ dappertutto, nei commenti al racconto Haïta the Shepherd che ho trovato in rete, che Hastur sarebbe dipinto da Chambers come un dio buono e generoso. Ma chiaramente, per quanto abbiamo visto, non è così. Hastur non è né più né meno generoso di tutti gli altri dei. È un dio ingannatore che con una mano ti mostra la carota e con l’altra sistematicamente ti batte col bastone. Come può quindi essere felice l’uomo che dipende da questo Dio? E infatti non lo è, così come non lo è Haïta, il pastore. 
CONTINUA



Note: 
1. Il termine 𐌷𐌰𐌹𐍄𐌰 (Haïta), in gotico è la prima persona singolare del verbo "chiamare". Non v'è certezza del fatto che Bierce fosse stato davvero consapevole della cosa, ma se confermato allora il titolo del racconto potrebbe tradursi in "Io chiamo il pastore" o, ancora meglio, "Io mi chiamo (sono) il pastore
2. È opinione ormai comune che il termine Hastur, per assonanza, possa essere stato ispirato dal regno delle Asturie, nel nord della Spagna, ma non vi sono basi solide identificate che giustifichino tale opinione. 
3. Non sappiamo, per inciso, se l'Antico Testamento, riferendoci del Diluvio, ci stia testimoniando un fatto realmente avvenuto, magari un racconto che estrapola a livello mondiale un evento locale o se più semplicemente sia una parabola-allegoria per creare un mito. 
4. Anche se non l'ho citata, una terza versione altrettanto famosa dell'episodio è rintracciabile nel mito greco di Deucalione e Pirra, due anziani coniugi senza figli ai quali Zeus offrì la salvezza dal diluvio. Citato da Ovidio (Metamorfosi I, 177-415) l'episodio non si sofferma più di tanto sugli aspetti terreni e non ci da modo di fare alcun confronto con le figure di Noè e di Utnapishtim. 
5. Mentre Mosé stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. (Esodo 3:1) - 
6. «Mio Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono mai stato prima e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua». (Esodo 4:10) 
7. All’improvviso, mentre parlava, un intenso splendore si riversò su di lui, costringendolo a sollevare lo sguardo, perché gli era parso che il sole stesse facendo capolino attraverso uno squarcio tra le nuvole, ma non c’erano nuvole. (Ambrose Bierce, Haïta the Shepherd). 
8. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. (Esodo 3:2) 
9. Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall’Egitto gli Israeliti? (Esodo 3:11) 
10. Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore, durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra. (Esodo 14:21-22) 
11. «Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato una grande misericordia verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia. Vedi questa città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù - non è una piccola cosa? - e così la mia vita sarà salva» (Genesi 19:17-22) 
12. “Abramo era molto ricco in bestiame, argento e oro”, (Genesi 1:2) 
13. Non supplicherò mai più gli dèi di concedermi la conoscenza che essi mi negano. Si rendano conto una volta per tutte che non possono danneggiarmi in alcun modo. Io farò il mio dovere come meglio potrò e se commetterò qualche errore per colpa loro, così sia! (Ambrose Bierce, Haïta the Shepherd). 
14. La tradizione cattolica segue il testo del Deuteronomio e il comandamento in questione è il secondo. Secondo la tradizione ebraica originale, che invece segue il testo dell'Esodo, lo stesso comandamento è invece il terzo della serie: “Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano”. (Esodo 20:7). Il Corano invece lo cita per primo: “Venite, vi reciterò quello che il vostro Signore vi ha proibito e cioè: non associateGli alcunché…” (Corano, Surat Al-An‘âm, 6:151) 
15. Nella terza edizione della Encyclopedia Cthulhiana, viene anche citata Xastur, un essere femminile avatar di Hastur che, al pari di Lilith, approfitterebbe delle tenebre per sedurre gli amanti addormentati. 
16. Cfr. Esiodo, Teogonia

8 commenti:

  1. Andando parecchio di palo in frasca, credo che la "natura di Dio" sia un problema che abbia coinvolto intellettualmente e emotivamente gli autori americani in modo particolare poiché da un lato gli Stati Uniti nascono come comunità di gruppi religiosi particolarmente devoti, fuggiti nelle "colonie", a costo di condizioni di vita molto dure per sottrarsi alle persecuzioni e alla "corruzione" delle istituzioni secolari europee.
    Dall'altro lato però questa fede così profonda porta i coloni ribelli a giustificare in nome di Dio anche atti esecrabili come lo schiavismo e lo sterminio dei nativi "pellerossa"... Quindi credo che la nozione di un Dio "spietato" in qualche modo sembra riflettere come uno specchio l'atteggiamento dei coloni, cosicché i loro discendenti più intellettuali e dotati di senso critico (Bierce, ma anche Hawthorne e soprattutto Melville) si domandano con grande coinvolgimento emotivo quale sia la vera natura di Dio. E non trovano una risposta univoca proprio perché è troppo grande il contrasto fra un un Dio che dovrebbe essere contemporaneamente misericordioso e spietato.

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    1. Gli americani sono andato oltre, riuscendosi ad inventare i "culti" più allucinanti al solo scopo di radunare menti ingenue da sacrificare sul'altare di chissà che cosa (ho visto con i miei occhi un edificio sul quale era presente l'insegna di una curiosissima "chiesa del culto della spada fiammeggiante", che si rifaceva a chissà quale episodio locale). Loro hanno molto da farsi perdonare, per fatti commessi in tempi piuttosto recenti, ma la chiesa ufficiale per come la conosciamo noi, ha dalla sua l'esperienza di duemila anni. Quel dio misericordioso e/o spietato (a seconda della convenienza del momento) oggi è solo uno strumento totalmente denudato di logica e, per quanto mi riguarda, non m'interessa occuparmene se non da un punto di vista sociologico.

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  2. Il Diluvio è praticamente ricordato nei testi sacri di tutte le religioni più antiche, se non erro, se ne parla anche nel Popol Vuh, il libro sacro degli antichi Maya.

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    1. Hai ragione, anche i Maya ebbero il loro diluvio. La vera domanda è se tutte queste culture abbiano fatto riferimento ad un unico, grande, evento globale, oppure se si trattò di circoscritti eventi locali curiosamente descritti in maniera analoga. Tu che dici?

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    2. @ Insidiano M
      Secondo me si è trattato di un unico evento globale, talmente dirompente e distruttivo da essere rimasto nella memoria collettiva di molti popoli. Ma è solo il mio parere. So comunque che gli archeologi in Mesopotamia scavando tra le rovine di una città (non mi chiedere quale, non me lo ricordo) hanno trovato tracce di una antica inondazione, molto ampia al punto da risultare perfino anomala rispetto alla media del periodo.

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    3. @ Obsidian e non Insidiano
      Maledetto correttore automatico...lol

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    4. Credo anch'io nella versione globale, anche se nutro qualche dubbio sulla questione dell'arca salvifica...

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