giovedì 12 febbraio 2015

Il villaggio nero (Pt.3)

Lo sguardo, ovvero il viatico della “discesa negli inferi” prima mentale e poi fisica di Tomasz Odonicz; un individuo normale la cui psiche senza ragione apparente collassa, si frammenta. Odonicz è un uomo come tanti altri, forse più colto della media, ma tutto cambia il giorno il cui la sua amante, Jadwiga, esce dal suo appartamento lasciando la porta aperta: quello si rivelerà essere il loro ultimo incontro perché lei morirà di lì a poco, forse per un incidente o forse suicida.
Ma, aldilà del dolore per la sua perdita, quello che lo angoscia è il gesto noncurante di Jadwiga, di solito così coscienziosa, e l’enigma espresso da quella porta aperta, quasi a celare i dettagli di un mistero. Come un velo appena appena scostato innanzi agli occhi, quel tanto che bastava per intuire che là, sull’altro lato, oltre la soglia, c’era un mistero i cui maggiori dettagli rimanevano gelosamente occultati. Nel giro di pochi mesi le paure di Odonicz giungono a vette parossistiche e la sua vita cambia radicalmente. Un folle terrore per le intersezioni tra le strade che, per lui, rappresentano un incontro con l’ignoto lo assale, e l’uomo prende a girare gli angoli ad occhi chiusi.
Col tempo arriva ad evitare quasi del tutto le strade di città, preferendo passeggiare in campagna dove la vista può correre libera per lunghe distanze senza incontrare ostacoli di sorta, e infine a lasciare sempre più di rado la sua abitazione, da cui ha eliminato qualsiasi oggetto possa fare da schermo, inclusi gli armadi. Ma non è ancora finita.
Fin dal momento in cui, sull'angolo della via Polna, era stato assalito così improvvisamente da questa sua interiore opposizione, ebbe sostanzialmente in avversione qualsiasi tipo di muro, di partizione divisoria; tutte quelle precarie “protezioni” atte a coprire soltanto momentaneamente quel che vi si trova oltre. Dentro di sé sentiva che ognuno di questi pretesi paramenti non era che un fatale, persino sleale espediente: una trovata per coinvolgerlo in un micidiale gioco a “nascondino”, costantemente destando il sospetto e la paura anche in assenza di un qualche elemento perturbante.
Perché celare le cose, se non meritavano d'essere occultate? Perché suscitare dunque inutili sospetti, come se “lì” ci fosse davvero qualcosa da nascondere? Perché gli oggetti più disparati spariscono da casa sua per tornare indietro qualche tempo dopo, sostituiti provvisoriamente da altri, oggetti su cui Odonicz si era ritrovato a rimuginare poco prima? È come se la sua mente potesse evocare oggetti da un’altra dimensione, oppure… come se l’ignoto lo attaccasse coscientemente modificando la sua percezione delle cose. Queste domande ne generano delle altre, sempre più terrificanti… il mondo esiste davvero, oppure è la creazione della mente di un qualche essere che esiste in un altro piano della realtà? O è forse Odonicz stesso il misterioso creatore che ha riempito il nulla con le creazioni della sua mente? E quale orrore vive dietro le sue spalle nell’attesa di mostrarsi a lui? L’irrazionale terrore di Odonicz di guardare dietro di sé tradisce la paura di non poterne sopportare la vista e l’uomo si convince che, fino a quando renderà sempre manifesta la sua presenza, questa ipotetica entità potrebbe decidere di non rivelarsi. La sua vita diventa ben misera, eppure accanto alla paura si fa strada una curiosità insopprimibile, finché un giorno…

Non so perché, ma ho una vera e propria passione per questo racconto. Forse perché, lungi dall’essere un borioso individuo col mito del superuomo, il protagonista è fragile, pieno di paure e fobie che potrebbero anche essere le mie. Forse perché qui oltre al tema filosofico vengono affrontati le paure e i tortuosi sentieri della mente umana. Forse perché, senza saperlo, Grabiński affronta qui questioni che, ne sono certo, gli sarebbe interessato esaminare alla luce della teoria olografica, se questa fosse stata postulata finché era ancora in vita. Comunque, la storia di Tomasz Odonicz che, ossessionato dall’enigma di una porta aperta, arriva a mettere in dubbio l’esistenza stessa dell’universo, per quanto mi riguarda è sicuramente una delle più inquietanti del lotto.

Volendone riassumere la trama in poche righe, “La stanza grigia” è il racconto di un uomo che prende in affitto una stanza e vi si trasferisce, ma nella guerra metodica e programmata contro un misterioso intruso si ritroverà ad avere la peggio. Com’è facile intuire lo scontro non avviene sul piano fisico ma su quello mentale, o meglio soprannaturale. La stanza è grigia perché intrisa dall’essenza dell’ex locatario Łańcuta, la cui immagine (o meglio, la sua eco) compare in ogni angolo. Si scopre che, per uno strano scherzo del destino, in precedenza lui e il nuovo inquilino hanno già condiviso (ovviamente abitandovi in momenti diversi) anche un altro alloggio. La stanza sembra gravata da una sorta di malinconica oppressione che trasuda letteralmente dai muri e dagli arredi e, cosa ancor più grave, Łańcuta “l’uomo triste” lo tormenta con la sua malinconica presenza anche di notte. Notte dopo notte, infatti, “l’altro” gli compare in sogno mentre, con aria pensierosa, guarda fuori dalla finestra, scrive o semplicemente se ne sta seduto a fissare qualcosa di indefinibile. Nonostante il portinaio dello stabile si rifiuti di fornirgli informazioni meno che vaghe, l’uomo si convince che, quando viveva lì (e magari anche nel presente), Łańcuta fosse malato. Di fatto, penso che una frase del tipo “lasciarci parte dell'anima” non sia da prendersi soltanto in senso figurato. Il nostro rapporto quotidiano con un certo luogo, un più prolungato soggiorno in un determinato ambiente, anche se privo di presenze umane o limitato alla sfera di oggetti inanimati richiama, dopo un certo periodo, una reciproca influenza e interazione. Lentamente si forma un qualche sfuggente tipo di simbiosi, le cui tracce talora si perpetuano per lungo tempo dopo che il contatto diretto s'interrompe. […] Nulla va perduto e nulla si disperde; tra le vuote pareti e i chiostri abbandonati persistono gli echi degli anni ormai trascorsi...
In questo racconto, dunque, Grabiński propone il tema degli echi, che saranno cardine, seppur da una diversa angolazione, anche ne L'engramma di Szatera, un tema forse non originale ma ugualmente interessante. Questa forma di possessione non è dissimile da quella dei fantasmi delle persone morte in circostanze tragiche che, si dice, infestano i luoghi dove sono vissuti oppure dove sono trapassati. Ma Łańcuta non è morto… o lo è?

12 commenti:

  1. Mh, il racconto della stanza potrebbe fare decisamente per me... Mi ha ricordato un breve fumetto (privo però della venatura sovrannaturale) che sembra avere la medesima tematica... ^^

    Moz-

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    1. Sono entrambi due racconti che mettono i brividi. Originali e dannatamente efficaci.

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  2. Ho letto a tocchi sia questo che il post precedente che non avevo fatto in tempo a leggere e commentare prima; devo dire che mi sembra piuttosto interessante questo autore. Trovo che le sue speculazioni effettivamente somiglino un po' al Poe de 'La Sfinge', cioè provocate da uno straniamento dalla realtà! Mi piacerebbe leggere che atmosfera si tocca nei testi!
    Ho letto proprio qualche particolare solo per non spoilerarmi nulla in vista di una eventuale lettura! :D

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    1. Lo straniamento dalla realtà è presente in diversi racconti di Grabiński, così come più o meno in tutti coloro che scrivono racconti fantastici. Nei due racconti illustrati oggi ci sono molti elementi in comune con "La Sfinge" come, appunto, l'aggrovigliarsi della realtà su un piano irreale. Ho cercato, per quanto possibile, di raggruppare nelle varie parti di questa mega-recensione racconti che avessero un comune filo conduttore e, questa volta, dopo i treni della volta scorsa, ho puntato sul tema dell'ossessione.
      P.S.: Vai tranquilla. In questa terza parte non c'è alcun pericolo di spoiler. Puoi leggere anche i "tocchi" che ti mancano senza rischio. ^_^

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  3. Qui si respira anche un'atmosfera alla Lovecraft. Fra l'altro i due sono vissuti più o meno in parallelo, nati e morti quasi insieme.

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    1. Hai visto giusto. Qui i toni sono nettamente più cupi e l'orrore è più percepito che reale.

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  4. Concordo con i commentatori che mi hanno preceduto: le tematiche ed il modo di impostarle somiglia molto a Lovecraft, Poe e mi permetto di ipotizzare al belga Jean Ray . Si vede che l' humus fantastico di quel periodo era quello.
    Anche le paure ed i timori mi sa.

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    1. Tra altro anche Jean Ray è disponibile nel catalogo Hypnos (ed è già un po' che lo sto marcando stretto).... Chissà che un giorno non finisca anche lui qui sopra...

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  5. Interessante "La stanza grigia", affascinante quanto inquietante. Mi ha fatto tornare in mente un episodio di una vecchia serie tv tipo "Ai confini della realtà", in cui ogni sera il protagonista riceveva, nello studio del suo appartamento, la visita di un "essere" invisibile e l'unico modo per liberarsene era dare fuoco alla stanza, morendo entrambi. Altro non ricordo, era serie in bianco e nero.

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    1. Non me lo ricordo proprio quell'episodio. E pensare che ero convinto di averli visti tutti. Forse è la mia memoria che comincia ormai a fare cilecca...

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  6. Sempre più affascinata *__*

    "Lo sguardo" potrebbe farmi andare fuori di testa (ancora di più, sì): si apre a moltissime speculazioni, credo! Questo tentativo di scandagliare la mente umana mi piace assai!

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    1. Quel racconto è infatti uno dei più interessanti dell'intera produzione dello scrittore polacco. Riesce a metterti addosso un'angoscia davvero devastante.

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