sabato 2 aprile 2022

L'altra gelosia

ARTICOLO PUBBLICATO SU
IL 7 AGOSTO 2015

Nei giorni scorsi sono precipitato in un mood nostalgico che mi ha portato a perdermi nei meandri di quel passato glorioso che vedeva il sottoscritto fare la spola tra due blog, questo e il mitologico Obspolitation, creatura dalla vita breve ma in grado di regalarmi parecchie soddisfazioni. Frugando tra le sue pagine ho ripescato un post di cui non conservavo alcun ricordo e che all'epoca rappresentava, per i canoni di Obsploitation, una clamorosa singolarità. La cosa era talmente evidente che usai infatti queste parole: "una volta tanto oggi cerchiamo di stare alla larga dalle boiate e ci tuffiamo direttamente nel cinema d’autore". Sono passati sette lunghi anni e credo sia giunto il momento di salvare quell'articolo dall'abisso dell'oblio, offrendogli una seconda possibilità in questo nuovo contesto. Il regista, Salvatore Piscicelli, oggi ha 74 anni ed è ancora praticamente (e ingiustamente) sconosciuto ai più, come scrissi in quel vecchio articolo. A titolo di cronaca, secondo IMDb la sua carriera si è arricchita nel frattempo di un solo film, "Vita segreta di Maria Capasso" (2019), del quale ha curato soggetto e regia. Personalmente mi duole aver perso di vista il suo lavoro e forse questa potrebbe essere l'occasione giusta per recuperare il tempo perduto. Ma torniamo a "L'altra gelosia"...

Siamo dalle parti di Pomigliano d’Arco, città natale di Salvatore Piscicelli, colui al quale dobbiamo l’esistenza stessa di questo “Immacolata e Concetta: l’altra gelosia”, piccolo gioiello datato 1979 e premiato, nello stesso anno, con il Pardo d’Argento al festival di Locarno. Perché partiamo proprio da Pomigliano d’Arco? In primo luogo perché Salvatore Piscicelli, regista oggi praticamente (e ingiustamente) sconosciuto, ha dedicato ampi tratti della sua carriera registica alla sua terra e alle sue contraddizioni, beneficiando nelle sue pellicole di volti da questo punto di vista davvero caratteristici quali quelli di Ida Di Benedetto, Marcella Michelangeli, Marina Suma e Tony Esposito. In secondo luogo perché Pomigliano d’Arco è anche la location nella quale si muovono le due protagoniste della vicenda di cui proverò a parlarvi oggi. Immacolata e Concetta: due donne che a causa di alterne vicende conosceranno il carcere, s’incontreranno e s’innamoreranno. È la cronaca di un amore lesbico dai contorni molto delicati, un amore felice finché rimane racchiuso fra quattro mura, perfetto nella sua condizione intima e privata, ma che diventerà inaccettabile nel momento in cui si troverà a fare i conti con il giudizio di una società tutt’altro che pronta a convivere con una diversità dalle proporzioni, per essa, inaudite.
Concetta (Marcella Michelangeli) si trova in carcere per aver già difeso strenuamente la sua diversità in passato. Esasperata al punto dal non poter più sopportare di essere additata e condannata, Concetta decise di rivolgere un’arma contro colui che rappresentava l’ostacolo più grande al suo modo di essere. Immacolata (Ida Di Benedetto) in carcere ci finisce invece per motivi molto meno ideologici: un maldestro tentativo di avviare una ragazzina alla prostituzione e poter così far fronte alle proprie difficoltà economiche. Le due compagne di sventura inizieranno in carcere una relazione intensa, una relazione che assumerà ben presto il carattere di una completa dipendenza dell’una nei confronti dell’altra. Questa espressione come potrete intuire non è casuale. Si dice sempre che in una coppia uno ama e l'altro si fa amare, o comunque uno dei due ama più dell'altro; ebbene, anche all'interno di questa atipica coppia si creerà una situazione di disequilibrio data dal fatto che una delle due donne ama (o sa amare) più dell'altra.

Una volta scontata la pena, infatti, e spalancate le porte del carcere, tutto sarà naturalmente molto diverso. Non l’amore, che inizialmente non può che essere immutato (se non amplificato dal breve distacco dovuto ai diversi tempi di scarcerazione), quanto il suo dover interagire con un mondo esterno impreparato alla sua esistenza. Immacolata giungerà a invitare Concetta alla convivenza in casa propria, indifferente al fatto di dover imporre la presenza dell’amante al proprio marito e alla figlia. Un marito, il suo, tutto sommato passivo nella sue reazioni: seppur devastato dal dolore e dalla vergogna, egli non riesce a trovare la forza di opporsi alla perdita della propria identità e del proprio letto coniugale (contraddizione? Come spiegherò dopo, non credo). La figlia, poco più che una bambina, cercherà a suo modo una strada per ristabilire la normalità provando a recuperare l’attenzione della madre, ma una caduta dalle scale finirà per lei tragicamente, lasciandola invalida per tutta la vita.

I vicini di casa osservano la vicenda un po’ increduli, lasciando noi stessi spettatori altrettanto increduli di fronte a tanta passività e indifferenza, soprattutto in virtù del contesto culturale dell’epoca e, più nello specifico, di quello ancor più tradizionalista della provincia campana. In questa storia virata tutta al femminile, in effetti, gli uomini non fanno una gran bella figura: approfittatori, traditori e preoccupati più della forma che della sostanza. Come il marito di Immacolata, che grida allo scandalo per la presenza di Concetta disinteressandosi invece delle frequentazioni maschili della moglie, e che finisce comunque in qualche modo per accettare la nuova situazione perché, spesso, nelle famiglie cosiddette tradizionali tanto più ci si affanna a rimarcare il ruolo predominante dell'uomo tanto più il pater familias è, in realtà, la donna. Ruolo che Immacolata manterrà anche nella nuova relazione, di cui Concetta invece rappresenterà la componente debole e dipendente (a simboleggiare quelle madri di famiglia senza lavoro né prospettiva che, oggi come allora, si annullano nella famiglia perché la famiglia è la loro unica prospettiva). Ruolo che paradossalmente, ma solo in apparenza, invece di cementare la coppia ne causerà la disgregazione e darà il via a quella tragedia che fin dall'inizio aleggia su questa storia. Assuefatti come siamo a terribili fatti di cronaca nati in seno alla famiglia o alla coppia, alla fine del film avremo un assaggio di cosa significhi davvero “l'altra gelosia”.

Opera prima di Salvatore Piscicelli, “Immacolata e Concetta: l’altra gelosia” apre idealmente la sua trilogia napoletana che si completerà nel giro di pochi anni con altri due titoli davvero notevoli: “Le occasioni di Rosa” (1981) e “Blues metropolitano” (1985), dei quali spero di potervi parlare in futuro.
Un’opera questa difficilmente etichettabile, trovandosi all’intersezione tra commedia amara e melodramma con numerose escursioni nell’erotismo, in sporadici casi anche in prossimità dell’hard. Un’opera che, sebbene sia a volte in bilico tra personaggi e situazioni al limite del ridicolo, riesce a trasmettere in ogni sua scena un forte messaggio sociale, in grado di far vibrare le corde anche dello spettatore più disattento. Un messaggio prima di tutto di emancipazione. Emancipazione della donna, emancipazione della diversità sessuale, emancipazione degli umiliati e degli offesi, emancipazione da una realtà sociale opprimente, schematica e grondante di false moralità. Una realtà sociale che in nessun modo però potrà opporsi alla tenacia di due donne che non hanno in fondo nulla di cui colpevolizzarsi, se non il fatto di essere state sopraffatte dal loro amore. Immacolata è sposata e ha una figlia, questo è vero, ma è forse diversa la sua posizione da quella di tante coppie eterosessuali che si sfasciano ogni giorno per mille motivi diversi? Non credo. Eppure, un po’ ipocritamente, facciamo fatica a non parteggiare un pochino per quella bambina che si ritrova improvvisamente una seconda madre dentro casa e, contestualmente, perde un riferimento paterno, per quanto debole ed effimero possa essere stato.

Ma la bambina e, in maggior misura, il marito di Immacolata non sono che semplici comparse nel vasto disegno de “L’altra gelosia”, perché ciò che più conta è la grande dignità con cui le due donne portano avanti il loro rapporto, senza eccessi, senza volgarità, senza nessuna intenzione a nuocere ad alcuno se non a se stesse, immergendosi in una storia che non potrà che portare sofferenza.
In fondo cos’è l’amore se non il massimo ideale a cui tutti noi aspiriamo? E non è forse l’amore, di contro, il sentimento che offre felicità e sofferenza in egual misura?
Scritto da Piscicelli a quattro mani con la moglie Carla Apuzzo, “Immacolata e Concetta: l’altra gelosia” è un film crudo che non lascia spazio alcuno alla speranza. Un film con un finale coraggioso, ovviamente tutt’altro che lieto, che lascia lo spettatore privo del benché minimo sostegno, svuotandolo di ogni capacità di azione e reazione. Un film, se vogliamo inusuale, realizzato da un grande regista che meriterebbe di essere maggiormente conosciuto. Un regista che ha dimostrato di aver saputo raccogliere a piene mani l’eredità di quei pochi grandi che in passato seppero mostrare Napoli e le sue contraddizioni senza censure: la Napoli dei Rossellini (Paisà, 1946), la Napoli dei De Sica (L’oro di Napoli, 1954), la Napoli dei Rosi (La sfida, 1958) e naturalmente la Napoli popolare di Eduardo De Filippo (Napoli Milionaria, Natale in casa Cupiello) e, non ultima, la Napoli tragicomica del grande Totò.


6 commenti:

  1. Hai fatto bene a recuperare questo articolo, molto interessante e dubito che molti conoscano questo film...

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    1. Era un articolo che nemmeno ricordavo e in cui sono incappato per caso inseguendo vecchi ricordi. Dubito che altri se ne ricordassero, così come dubito che siano in molti ad aver visto (e a ricordare) questo film. Occorre senz'altro recuperare altro di Piscicelli.

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  2. In effetti, è la testimonianza di un'epoca in cui fare outing della "diversità" era decisamente una sfida alle "regole" non scritte della società. Anzi, diciamo pure che in certi contesti specifici è ancora oggi una sfida non facile da lanciare e rispetto alla quale le reazioni sono abbastanza simili a quelle di qualche decennio fa.

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    1. Probabilmente lo è ancora, una sfida. Oggi, è vero, se ne parla molto più di un tempo ma il più delle volte a sproposito, giusto per dar fiato alla voce.

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  3. Hai fatto benissimo a recuperare il pezzo. Vedi che sei in pieno Mood nostalgico, del resto non può che aiutare anche se spero - ed è un augurio di vero cuore - che questo periodo,questa fase ti serva per ripartire alla grandissima.

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    1. Obsploitation fu una parentesi eroica che, seppur breve, mi aveva segnato parecchio. Non sono del tutto sicuro di aver voglia di riviverla (è stato davvero impegnativo gestire due blog per due anni), ma ancora mi fa piacere ricordare quel tempo. Tra l'altro ho la netta sensazione che scrivessi molto meglio allora di adesso...

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