mercoledì 21 settembre 2016

Mutazione

Più che un approfondimento, l'articolo di oggi vuol essere il modo di mettere nero su bianco alcune riflessioni che riguardano i temi scientifici trattati nella storia di Ring. Ma potrebbe esserci anche dell’altro. Mettere i miei pensieri in ordine non sarà facile, ma ci proverò. 
Uno dei punti deboli della saga sembrerebbe essere l'innesto di elementi scientifici all’avanguardia in un contesto che ai nostri occhi appare, ahimè, datato, il che se vogliamo è un po' il rischio che corrono, con il passare del tempo, tutte le opere che sfiorano questi temi, per via del confronto con il nuovo che avanza. 
In realtà, questa percezione è legata prevalentemente agli adattamenti televisivi dei romanzi di Kōji Suzuki, le serie “Saishūshō” e “Rasen” delle quali abbiamo parlato pochi giorni fa. Benché siano state realizzate entrambe alle porte del Duemila, l’impressione è che siano molto più datate, e anche se l’azione non viene mai a mancare, le due serie ricordano irrimediabilmente delle soap opera, un po’ per la sceneggiatura e un po’ per il taglio delle inquadrature e l’uso delle musiche; l’aspetto dei due prodotti appare inoltre amatoriale anche se, bisogna ammetterlo, molto può essere dovuto alla bassissima risoluzione (ad occhio un 480p@25fps) con la quale sono state caricate su YouTube. Non è quella, tuttavia, l’impressione che si ricava dalla lettura dei romanzi. Perfino il primo, che a suo tempo ho definito “senza infamia e senza lode”, e che comunque a scanso di equivoci è ben scritto e piacevole da leggere, può essere rivalutato alla luce del suo avvincente sequel, che poi è anche il capitolo che segna davvero l’incursione della storia in campo scientifico.
Tutti i romanzi della celebre trilogia di Ring (Ring, Spiral e Loop) sono stati scritti da Suzuki negli anni ’90, e all’epoca la questione della clonazione era più che mai d’attualità: la nascita della pecora Dolly risale infatti al 1996, anche se non tutti sanno che Dolly non fu affatto il primo animale in assoluto a essere clonato, ma soltanto il primo mammifero la cui origine derivava da una cellula adulta anziché da un embrione (la discussione etica infuriava da tempo negli ambienti accademici anche se l’eco mediatica si ebbe solo più tardi).
Le uniche trasposizioni del secondo romanzo di Sukuzi furono le due serie TV e l’omonimo film (Spiral, il cosiddetto sequel apocrifo) di Jōji Iida e purtroppo, come ho già avuto modo di spiegare, a mio parere sono tutti dei pessimi adattamenti. Se è normale apportare delle modifiche alla storia originale in fase di sceneggiatura, è inaccettabile che nel farlo se ne stravolga il senso o, peggio ancora, se ne mini la comprensione. La maggiore pecca di Iida fu in realtà dovuta alla necessità di riallacciarsi al “Ring” di Nakata, che trasformava Kazuyuki Asakawa in una donna e Ryūji Takayama nel suo ex marito e padre di suo figlio: alleandosi con Sadako il Ryūji di Iida perde di credibilità, mentre il personaggio inventato da Sukuzi, non avendo figli (né, evidentemente, altri legami affettivi degni di nota), aveva potuto trasformarsi in un cinico traditore dell’umanità senza troppi problemi.
Un’altra scelta che finisce per rendere le vicende del film poco chiare è quella di far risorgere Sadako nei panni di Mai Takano, forse una “scelta di marketing” che permetteva di riutilizzare un’attrice già presente nel primo film ma che fu, se vogliamo, anch’essa figlia delle precedenti scelte di Hideo Nakata; nel film di Iida, Sadako ritorna incomprensibilmente dal regno dei morti con l’aspetto di Mai, e potrà replicarsi solo mantenendo l’aspetto delle persone che via via vengono infettate dal virus; nel libro, invece, il virus Ring contiene sia geni umani (quelli, appunto, di Sadako) sia quelli del vaiolo, pertanto, dopo che Mai è stata infettata, Sadako (ri)nasce da lei con il suo vecchio aspetto, ma anche come ermafrodita “perfetto” (cioè con gli organi riproduttivi di entrambi i sessi) e ciò significa che potrà di fatto continuare a partorire se stessa, trasmettendo alla sua “prole” solo e unicamente il proprio codice genetico. In origine, ricordiamolo, di Sadako si diceva che fosse soggetta a femminilismo testicolare e di conseguenza, come individuo XY, quindi biologicamente un maschio, non aveva l'utero (ne ho parlato qui).

Se non altro, però, Jōji Iida non stravolse il finale del libro, al contrario di ciò che avvenne nelle serie TV dove era necessario, immagino, pagare dazio al mezzo televisivo. La serie “Rasen” in particolare offre un lieto fine che è insieme consolatorio (Sadako si pacifica e il mondo è salvo) e moralista (la clonazione è un atto contro natura e chiunque apprenda di essere nato per clonazione rinuncerà alla vita piuttosto che accettare la sua condizione di “secondo”: questa, personalmente, è la “lezione” che ne ho tratto).
Prima di proseguire oltre, bisogna domandarsi che cosa ha impresso davvero Sadako sulla videocassetta: una maledizione per diffondere il suo odio e vendicarsi dell’umanità, come suggeriscono quasi tutte le trasposizioni cinematografiche, o qualcosa di diverso? Una delle chiavi di lettura delle trasposizioni dei romanzi è che il cerchio (ring) simboleggi l'odio eterno di Sadako, e dunque che l'amore e la decisione volontaria di non duplicare la cassetta per non fare del male ad altri sia la vera chiave per spezzare il cerchio, ovvero la maledizione… Ad esempio, l’ultima puntata della prima serie TV è costruita partendo da questo assunto. Molto commovente, ma anche molto lontano da quello che aveva in mente Suzuki! Leggendo “Spiral” appare chiaro che il ritorno di Sadako è stato pianificato fin dal momento della sua morte. Non c’è e non c’è mai stato da parte sua alcun desiderio di vendetta, ma soltanto quello di riprendere un’esistenza terrena interrotta troppo presto.
Questa è una affermazione rivoluzionaria, come avrete notato! Sin dall’inizio di questo speciale abbiamo parlato di Onryō (怨霊), ovvero dei fantasmi vendicativi della tradizione giapponese e ora, mesi dopo, ci rendiamo conto che Sadako non è affatto uno di loro!
Il video maledetto, se vogliamo essere più precisi, è il prodotto di due volontà: la sua e quella del virus. Prima di morire, Sadako era stata violentata da Nagao, l’ultimo malato di vaiolo registrato in Giappone, e ne era stata contagiata. Costretti nel pozzo, Sadako e il virus erano destinati a perire insieme, ma la loro volontà di sopravvivere era stata più forte e, grazie alle facoltà ESP di Sadako, aveva fatto sì che le loro informazioni genetiche potessero essere codificate nelle immagini del video.
Questo era stato possibile proprio per la qualità intrinseca delle immagini, che sono in pratica delle fotografie in grado di registrare un gran numero di informazioni su una superficie molto ridotta: pochi fotogrammi potevano contenere tutto il DNA di Sadako e del virus. Il passo successivo era inserire un messaggio per obbligare coloro che la guardavano a fare una copia della cassetta e a diffonderla per poter restare in vita. Potremmo domandarci insomma chi ha usato chi, se non fosse che un conflitto tra la donna e il virus, entrambi confinati nel pozzo, sarebbe stato solo sterile e, anzi, controproducente per entrambi…


La stessa forma ad anello del virus Ring simboleggia il ripetersi del suo ciclo vitale, la sua reincarnazione, mentre i virus aperti riscontrati in gran quantità nel corpo di Mai (ma anche di Kazuyuki Asakawa) hanno una forma che ricorda quella degli spermatozoi.
Quel che era avvenuto poi era nulla più che uno scherzo del destino: i ragazzi che per primi avevano guardato il video, nel cottage, non avevano creduto alla maledizione e avevano cancellato di proposito la parte finale del messaggio, quella che avvertiva di continuare la catena, di modo che chi lo avesse visto dopo ne fosse ancora più terrorizzato. La cassetta necessitava di essere replicata per diffondersi e proprio per questo l’incompletezza del suo messaggio non poteva essere un crudele tiro mancino di Sadako: se chi ha visto la cassetta non vedesse l’opportunità di salvarsi la vita, perché mai dovrebbe duplicarla? Tuttavia, proprio questo evento imprevisto era stato determinante per il successivo svolgersi degli eventi.
Le intuizioni di Sukuzi che rendono la sua opera unica sono parecchie, ma si possono riassumere, fondamentalmente, in due punti.
La prima grande intuizione è immaginare che il virus Ring sia un parto della coscienza, riallacciandosi in tal modo alla filosofia che vede nel pensiero il motore della materia. Si tratta dello stesso assunto che sorregge il concetto di fotocinesi e che fra l’altro, nel libro, permette a Ryūji di crittare un messaggio per il suo amico Mitsuo nella sequenza genetica del virus Ring presente nel suo sangue. Sollecitando il cervello tramite i sensi, il video genera nel corpo un virus molto simile a quello del vaiolo, oppure trasforma il DNA cellulare dell’organismo ospite nel suddetto virus.
La seconda grande intuizione dell’Autore è suggerire un’analogia fra il metodo riproduttivo del DNA e quello della videocassetta. In altre parole, cancellando una parte del messaggio è stata introdotta una mutazione, e sappiamo bene che la base dell’evoluzione è proprio la mutazione. Più che al darwinismo classico, Suzuki (per bocca del personaggio chiave del suo secondo libro, Ryūji Takayama) sembra però quasi fare riferimento a quella che viene definita teoria delle mutazioni, secondo la quale, trascorso un certo lasso di tempo, gli individui di una specie tendono spontaneamente al cambiamento (la mutazione, cioè, sarebbe un processo in un certo qual modo volontario, più che un semplice adattamento all’ambiente): ecco, in quest’ottica è come se Sadako, così come il virus Ring, fosse un agente di questo cambiamento (o, in altri termini, uno shock per lo status quo), drastico ma necessario e avvertito inconsciamente dall’umanità, il cui più grosso problema – e stimolo - è riuscire a gestire la noia.

Riassumiamo, quindi, ciò che sappiamo del virus. Il virus viene comunemente definito come un’entità biologica elementare che parassita le cellule di altri organismi: in altre parole, è in grado di infettare una qualsiasi forma di vita (vegetale, animale, umana ma anche batterica) e, alimentato dagli enzimi delle sue cellule, replicarsi al suo interno, danneggiandola. Questo avviene tramite l’alterazione genetica delle cellule dell’ospite: è come se queste venissero “possedute” dal virus.
Tenete a mente questo concetto, perché a breve ci torneremo su. Il suo programmatico “suicidio” non sembra avere altro scopo che uccidere l’organismo ospite, perché è evidente che la sua morte causerà anche la morte del virus stesso, a meno che questo non riesca a trasferirsi in un nuovo ospite.
Ma la questione interessante è un’altra: può un virus definirsi vivo nel senso comunemente attribuito a questo termine? E se non è vivo, come può avere una sua forma di coscienza? Certo, si potrebbe anche disquisire a lungo su che cos’è la coscienza, ma non è questa la sede adatta…
La comunità scientifica sembra scissa: da un lato c’è chi afferma che i virus non sono altro che frammenti o detriti subcellulari o meglio, mitocondriali, di cellule morte, cioè che non solo non sono vivi, ma non lo sono mai stati; dall’altra c’è chi, pur affermando che il virus è composto da materiale genetico, DNA e proteine, si riproduce ed evolve per “selezione naturale”, ammettono con un pizzico di imbarazzo che è difficile considerare vivo qualcosa che, come il virus, non ha una vera e propria struttura cellulare e soprattutto non ha capacità di azione e movimento, e per questo hanno coniato per descriverlo la geniale definizione di organismo “ai margini della vita" (cito da Wikipedia).
Una cosa è certa: fuori e dentro, siamo tutti assediati dai virus. Ogni volta che una delle miliardi di cellule che compongono il nostro corpo muore, viene frantumata in particelle infinitesimali che vengono poi espulse dal corpo. Il processo è quotidiano: come disse il saggio, fin da quando veniamo al mondo moriamo un po’ ogni giorno. Se pensiamo al numero abnorme di esseri viventi che popolano la terra, possiamo comprendere come questa sia letteralmente infestata dai loro “scarti” fisiologici che sono, appunto, dei virus. E allora? Se è privo di metabolismo, in altre parole se non è vivo, come fa il virus a provocare le malattie? E che cosa rende alcuni virus mortali e altri, la maggior parte di quelli esistenti, fondamentalmente innocui?
Non sta a me, naturalmente, rispondere a queste domande. Posso solo ipotizzare che il virus sia una concausa, in grado di provocare la malattia solo in presenza di altre disfunzioni e patologie che determinano risposte diverse in organismi diversi. O forse, come suggerisce Sukuzi (che però non inventa nulla e si rifà a una tradizione di matrice olistica), in qualche modo la mente gioca un ruolo fondamentale ogniqualvolta il corpo si ammala. Il discorso è piuttosto complesso, come avrete senz’altro notato. Arrivati a questo punto è forse il caso di interromperci, fare un po’ di ordine, lasciarvi il tempo di assimilare tutto questo bordello, e riprendere tra qualche giorno il filo dei pensieri.

Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta la parte 23 in un totale di 100Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte dello Speciale Ghost in the Well che è iniziato qui lo scorso aprile. Buona lettura! P.S.: Possiamo spegnere la 23° candela...

11 commenti:

  1. Una cosa che mi ha sempre intrigato soprattutto nei film è il rapporto tra le teorie evolutive all'avanguardia e l'impiego di uno strumento analogico quale il VHS che stava già diventando superato, questo è un altro particolare straniante che si va ad aggiungere a tutti quanti gli altri.

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    1. È proprio quello che intendevo dire in apertura. Quando i libri furono scritti il supporto CD-ROM era già disponibile, quindi verrebbe da chiedersi come mai Suzuki abbia invece scelto una videocassetta come veicolo della maledizione di Sadako. Ma a parte il fatto che in quegli anni le videocassette erano ancora diffusissime in ambito domestico, credo che la risposta sia ancora più semplice: dato che la trama prevedeva che la parte finale del messaggio venisse cancellata, non c’erano altre opzioni, perché una cassetta è facilmente manipolabile da chiunque, un CD no.

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  2. Che immagine potente, l'unione di Sadako e il vaiolo! Mi ricordo che ho letto il romanzo di Suzuki con la bocca aperta, tanto ero intrigato da queste idee, io che mi aspettavo solo una semplice storiella horror...

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    1. Concordo. Ovviamente Suzuki non ha scelto un virus qualunque, ma uno che la scienza ha combattuto con ogni mezzo proprio a partire dagli anni ’50 prima di riuscire a debellarlo: questo, credo, proprio per sottolineare la strenua volontà del virus di sopravvivere…

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  3. Post trascinante come pochi. A ottobre rischi una nomination ;-)

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    1. Ma no! E' ordinaria amministrazione. Mi sto riferendo semplicemente a un appuntamento mensile che ci vede più o meno tutti coinvolti intorno al 18-19 del mese.

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  4. Premetto che conosco pochissimo l'argomento: non ho letto i libri e ho visto solo il primo film. Ma la tua riflessione mi è sembrata interessante in ogni caso.
    Mi piacciono le riflessioni sulla genetica e sulla mutazione e, visto il titolo del mio blog dormiente, puoi immaginare dove voglio andare a parare.
    Insomma, secondo me alla tua analisi si potrebbe mettere un punto fermo tirando fuori il concetto di meme, ovvero un'unità replicativa non biologica ma solamente informazionale (se siete curiosi andate a vedere uno degli ultumi capitoli de "Il gene egoista" di Dawkins). Il meme sta al cervello - alla coscienza dell'uomo o se vuoi ai suoi neuroni - come il gene sta al brodo primordiale. A un certo punto, casualmente, nasce, e si riproduce senza scopo, solo perché la sua "forma" (forma fisica, forma logica, forma artistica) ha i requisiti per auto-replicarsi sfruttando il materiale (in questo caso umano e tecnologico) dell'ambiente.
    La grande idea di Ring sta nell'unire questa prospettiva memetica al soprannaturale.
    Avevo visto il film tanto tempo prima di sapere cosa fosse un meme, non avrei mai collegato. Grazie per questo tuo post ;)

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    1. Ciao Timetrapoler e benvenuto sul blog. Molto interessante il tuo intervento! Sono contento che il mio ragionamento non ti sembri proprio campato per aria – sapevo che era nato da reminescenze di qualcosa di letto o appreso in passato (non necessariamente in ambito scientifico) e che in qualche modo devo aver assimilato, ma al momento d scriverne non sono riuscito a tirar fuori dalla memoria dei ricordi più precisi. Mi viene in mente però che se Suzuki è effettivamente partito dal concetto di meme, lo ha poi in un certo senso “tradito” nel momento in cui ha fatto sì che la vicenda prendesse il via dalla volontà di Sadako e del virus di sopravvivere, nel senso che la volontà di un essere umano non è paragonabile a quella di un virus, o di un gene qualunque, e si esprime a un livello molto diverso. Insomma è in questa “commistione” che sta l’anomalia della storia, ma d’altra parte come anche tu dicevi è questo che la rende grande. Non so se mi sono spiegato ^-^
      Le mie conoscenze scientifiche sono piuttosto basilari e anche per questo ho rinunciato ad ampliare “l’esame scientifico” della trilogia, che si è esaurito in pratica con il post successivo, anche se ti confesso che questa parte dello speciale è forse quella che mi sono divertito di più a scrivere. Per concludere, grazie per il tuo contributo :)

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  5. Ho saputo proprio di recente che il vaiolo fu una delle concause che determinarono il crollo dell'Impero Romano: decimò e indebolì la popolazione, compresi naturalmente gli effettivi dell'esercito, e gli imperatori furono costretti a chiamare membri delle popolazioni germaniche per rimpolpare l'esercito. Si tende a dimenticarlo oggi, ma il vaiolo era davvero devastante un tempo, come le epidemie di peste, e uno dei più resistenti.

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    1. Non lo sapevo, o forse lo avevo dimenticato. I libri di storia (e i professori) spesso tendono a sorvolare su particolari come questi che vengono considerati, chissà perché, ormai quasi superflui. Da quando poi è stato praticamente debellato, si parla molto poco del vaiolo…

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