Si approssima alla conclusione il lunghissimo speciale che Obsidian Mirror ha dedicato a una delle icone horror più celebrate degli ultimi vent’anni. Ghost in the well, che ci sta tenendo compagnia da tempo immemorabile, ha messo in fila uno dietro l’altro ben ventitre articoli (il ventiquattresimo, quello conclusivo, uscirà come di consueto l’ultimo giorno del mese). Un lavoro mostruoso le cui dimensioni non mi erano ancora ben chiare quando, sul finire dello scorso inverno, ebbi la malaugurata idea di infilarmi in questo ginepraio. Per realizzare ventitre articoli io e la mia ragazza ci siamo guardati (spesso anche più di una volta) undici film, tra cui un vecchio classico anni Cinquanta, un remake coreano e due remake americani, due serie TV per un totale di venticinque episodi (visti e rivisti una seconda volta, perché non si sa mai possa esserci sfuggito qualcosa), ci siamo letti i libri di Kōji Suzuki, i manga di Hiroshi Takahashi, ci siamo bruciati gli occhi su internet alla ricerca dei tasselli più invisibili, ci siamo dannati l’anima a ragionare sui pro e contro, su ciò che andava assolutamente detto e su ciò che poteva anche andare taciuto, abbiamo sottratto ore al sonno per poter arrivare in tempo agli appuntamenti che ci eravamo prefissati. Ma, alla fine, siamo riusciti a concretizzare davvero quello che avevamo in mente? Abbiamo detto tutto quello che c’era da dire? Non proprio: ci vorrebbe come minimo un terzo mese di speciale per completare l’opera ma, ve lo dirò chiaramente, arrivati a questo punto non ne possiamo davvero più di Sadako.
Cosa avremmo potuto dire ancora, vi starete chiedendo?
Rimane sicuramente da ricapitolare la parte letteraria, quella relativa ai romanzi di Kōji Suzuki sui quali ci siamo soffermati solo marginalmente in questi mesi. Di Ring (リング Ringu, 1991), il primo romanzo della trilogia, abbiamo in verità avuto modo di discutere un po’ più a lungo proprio in apertura; a Spiral (らせん Rasen, 1995) e a Loop (ループ Rūpu, 1998), che assieme a Ring compongono la cosiddetta trilogia di Sadako, abbiamo fatto qualche accenno pochi giorni fa; poco e niente è stato invece detto su Birthday (バースデイ Bāsudei, 1999), il quarto volume della saga.
Ovviamente parlare di quarto volume di una trilogia suona un po’ sbagliato, non vi pare? In realtà tutto ciò ha un senso se pensiamo che Birthday è nato allo scopo di approfondire alcuni episodi marginali presenti nei tre volumi sopra citati, ed è a sua volta una trilogia.
Il primo racconto, Coffin in the Sky, narra le ultime ore di vita di Mai Takano, la ragazza che aveva un ruolo da co-protagonista nei primi due romanzi e, di conseguenza, nei primi due film di Nakata. Il racconto offre un punto di vista interessante dell’episodio, quello della stessa Mai. Il secondo racconto, Lemonheart, che sarà la base del film Ring 0: Birthday, affronta la storia di Sadako prima della sua morte, negli anni in cui la sfortunata giovane faceva parte del gruppo teatrale entro il quale fu in grado di mettere in mostra la parte più umana della sua personalità. Il terzo racconto, Birthday, approfondisce un personaggio del romanzo Loop sul quale non ci siamo mai soffermati, fornendo nuovi dettagli sull’annosa questione del virus. A mia discolpa, ricordo che Loop è l’unico tassello della trilogia di Kōji Suzuki a non essere mai stato adattato per il cinema, evidentemente a causa dell’alto budget necessario per mettere in scena una storia decisamente visionaria, a metà strada tra scienza e fantascienza. Non mi risulta che la raccolta “Birthday” sia mai stata tradotta in italiano: se dovessi sbagliami, mi auguro che qualcuno me lo faccia presente. Sicuramente non sono invece mai stati tradotti, in quanto recentissimi, il quinto e il sesto libro di Suzuki: il primo si intitola semplicemente S. (エス S., 2012), il secondo Tide (タイド Ushio, 2013).
E qui le cose cominciano ulteriormente a complicarsi. Le vicende narrate in S. sono sostanzialmente le stesse sulle quali si basano i due film “Sadako 3D” di cui abbiamo parlato di recente, quelle che hanno come protagonisti Takanori Andō e la fidanzata Akane Maruyama (che nel film si chiama però Akane Ayukawa). Ai due si aggiunge a sorpresa una nostra vecchia conoscenza, quel Ryūji Takayama che era morto nel primo romanzo e risorto nel secondo grazie a una manipolazione genetica.
Qui scopriamo che, colpo di scena, Akane sarebbe proprio la figlia di Takayama, partorita da una donna che avrebbe portato in sé il DNA di Sadako. Non solo: Seiji Kashiwada, l’artista suicida di cui abbiamo parlato pochi giorni fa, non sarebbe altro che una terza incarnazione di Ryūji Takayama! Non so voi, ma a me sta cominciando a venire un forte mal di testa.
Nel romanzo Tide ritroviamo nuovamente Seiji Kashiwada, e assieme a lui cominciamo a comprendere qualcosa di più del meccanismo che lo ha portato ad essere una nuova incarnazione di Ryūji Takayama.
Kashiwada, insegnante di matematica al liceo, riceve un giorno una sua studentessa che gli riferisce una strana storia relativa alla compagna Haruna Tajima, inspiegabilmente entrata in coma dopo aver visto un Dogū (土偶), una statuetta risalente al Giappone preistorico del periodo Jomon (14.000 aC) raffigurante una creatura antropomorfa che sembra indossare una tuta da astronauta (il Dogū è un manufatto che ovviamente ha parecchio contribuito alla diffusione delle teorie che vorrebbero gli antichi dèi di origine extraterrestre).
Ascoltando il racconto di Rie, Seiji, come guidato da una forza sconosciuta, ripercorre gli eventi che hanno avuto luogo nel Ring originale, scopre la rivelazione dei poteri di Sadako e, non ultimo, il sorprendente segreto della nascita di Ryūji Takayama… Direi che ce n’è abbastanza da impazzire.
Prima di chiudere questo speciale ci sarebbe però da spendere qualche parola anche sui manga di Hiroshi Takahashi, il quale, oltre che acclamato mangaka, fu lo sceneggiatore dei Ring di Hideo Nakata, del Ring 0 di Norio Tsuruta e il co-autore (non accreditato) dei due remake americani.
Usciti nelle fumetterie giapponesi a partire dal lontano 1999 per merito della casa editrice Kadokawa Shoten, le opere che attualmente si possono contare sono in tutto cinque: “Ring” (composto da due tankobon), “Ring 2”, “Ring 0”, “Birthday” e “Spiral” (volumi unici).
Le prime due opere, che poi sono anche le uniche firmate da Takahashi (le altre sono accreditate a Suzuki), coprono in maniera abbastanza completa ciò che abbiamo visto nella prima parte di questo speciale, vale a dire ripercorrono la storia di Sadako così come l’aveva interpretata Hideo Nakata.
L’episodio “Spiral”, così come avvenne al cinema, rappresenta un capitolo a se stante, adattandosi meglio all’omonimo romanzo di Kōji Suzuki (l’unico episodio nel quale Asakawa non è una donna ma un uomo).
A differenza di quanto visto al cinema, i manga “Ring 0” e “Ring: Birthday” divengono due episodi separati: mentre “Ring 0” ci mostra più o meno fedelmente quanto visto nel film (che a sua volta riprendeva l’episodio “Lemon Heart” del Birthday letterario), il manga “Birthday”, essendo a sua volta una trilogia, racconta storie leggermente diverse: "The Casket Floating in the Sky" è incentrato ancora una volta su Mai Takano e su come viene dannata dalla maledizione di Sadako, "Lemonheart" racconta del primo fidanzato della giovane Sadako, attrice di teatro, e infine la storia "Sadako" analizza in profondità sia la morte di Sadako che la sua rinascita.
I manga della serie Ring, usciti una decina di anni fa nella collana Planet Manga della Panini per sfruttare al massimo l’eco del remake americano, oggi sono più o meno tutti esauriti, ma con un po’ di pazienza credo non sia difficile riuscire a recuperarli in qualche fumetteria ben fornita o nel mercato dell’usato. Il prezzo di copertina di questi albi (€7 cad.) è forse troppo per leggere delle storie così già ampiamente note, ma un vero appassionato potrebbe alla fine decidere di fare questo investimento. La parte grafica dei manga, per dovere di completezza, è stata curata da tre diversi artisti: Misao Inagaki (Ring), Sakura Mizuki (Spiral) e Meimu (Ring 2, Ring 0 e Birthday). Una scelta, quest’ultima, a mio parere piuttosto discutibile.
Rimane solo un’ultima cosa di cui parlare oggi, vale a dire quel libro la cui copertina troneggia là in alto all’inizio del post. Credo non vi siano dubbi su quale possa essere stata l’ispirazione dell’autrice, no? Erin 'Rin' Chupeco, giovane scrittrice filippina giunta al successo pochi anni fa proprio grazie a “The girl from the well”, di fatto non tenta nemmeno di negare che la figura di Sadako abbia ampiamente contribuito alla stesura del suo primo romanzo. Tuttavia, dovunque andiate a leggere, all’autrice preme sottolineare che l’ispirazione le è venuta direttamente a monte, vale a dire dalla leggenda del Bancho Sarayashiki, da cui la protagonista ha ereditato anche il nome. Nella quarta di copertina si legge infatti: “Okiku è un'anima solitaria. Si aggira per il mondo da secoli liberando gli spiriti delle persone morte assassinate. Un tempo fu lei stessa una vittima, ma ora si vendica degli assassini togliendo loro la vita. Ma sgravare i fantasmi innocenti dai loro fardelli non può portare a Okiku la pace. Lei vaga incessantemente. Questo è il suo destino fino a che non incontra Tark. Sotto la pelle di quello strano ragazzo il male si contorce, intrappolato da una serie di complessi tatuaggi. Mentre quelli che gli sono più vicini lo temono, Okiku comprende che lui non è affatto un mostro. Tark ha solo bisogno di essere liberato dalla cattiveria che grava su di lui. C'è solo un problema: se il demone muore, il suo ospite è destinato a fare la stessa fine".
“The girl from the well” in realtà non è affatto un horror: come si legge nella presentazione del libro (e sul sito dell’autrice), esso è la prima parte di una saga Young Adult che ricorda molto da vicino “Anna Dressed in Blood” di Kendare Blake. Stando così le cose, e dite pure che sono prevenuto, non credo che leggerò mai questo romanzo. Mi viene la pelle d’oca sulla fiducia.
È invece interessante ciò che racconta Rin Chupeco sul suo blog a proposito di se stessa e di Sadako: "Lavoravo in un vecchio edificio e facevo un sacco di straordinari. A volte non riuscivo ad andar via prima delle 9 o le 10 di sera, un orario in cui ormai l’intero piano era buio e l'ascensore sferragliava e mi sentivo come se qualcosa mi stesse osservando da un angolo – nulla di strano, insomma. Io sono asiatica. Sono pallida, e all’epoca avevo una gran massa disordinata di capelli neri. I miei occhi sono più grandi di quelli che in genere avete voi cinesi. Mi vesto spesso di nero. E così, quando gli impiegati dei piani sotto il mio attendevano l’ascensore – e questo si apriva e loro si ritrovavano davanti una ragazza con un aspetto del genere, e per di più con i capelli bene in vista, perché la sua testa era piegata sul cellulare – questi non potevano fare a meno di urlare. Ciò faceva urlare anche me, e così andavamo avanti a urlarci in faccia per alcuni secondi finché non ci rendevamo conto che eravamo entrambi umani. Ciò mi è successo più volte di quanto possiate pensare. C'era questo povero signore giapponese che per poco non ha avuto un attacco di cuore. L'unica cosa buona che è venuta fuori da tutto questo è che mi sono fatta un sacco di amici fra le persone che lavoravano agli altri piani dell’edificio. Ancora oggi mi chiamano Sadako".
Rimane solo un’ultima cosa di cui parlare oggi, vale a dire quel libro la cui copertina troneggia là in alto all’inizio del post. Credo non vi siano dubbi su quale possa essere stata l’ispirazione dell’autrice, no? Erin 'Rin' Chupeco, giovane scrittrice filippina giunta al successo pochi anni fa proprio grazie a “The girl from the well”, di fatto non tenta nemmeno di negare che la figura di Sadako abbia ampiamente contribuito alla stesura del suo primo romanzo. Tuttavia, dovunque andiate a leggere, all’autrice preme sottolineare che l’ispirazione le è venuta direttamente a monte, vale a dire dalla leggenda del Bancho Sarayashiki, da cui la protagonista ha ereditato anche il nome. Nella quarta di copertina si legge infatti: “Okiku è un'anima solitaria. Si aggira per il mondo da secoli liberando gli spiriti delle persone morte assassinate. Un tempo fu lei stessa una vittima, ma ora si vendica degli assassini togliendo loro la vita. Ma sgravare i fantasmi innocenti dai loro fardelli non può portare a Okiku la pace. Lei vaga incessantemente. Questo è il suo destino fino a che non incontra Tark. Sotto la pelle di quello strano ragazzo il male si contorce, intrappolato da una serie di complessi tatuaggi. Mentre quelli che gli sono più vicini lo temono, Okiku comprende che lui non è affatto un mostro. Tark ha solo bisogno di essere liberato dalla cattiveria che grava su di lui. C'è solo un problema: se il demone muore, il suo ospite è destinato a fare la stessa fine".
“The girl from the well” in realtà non è affatto un horror: come si legge nella presentazione del libro (e sul sito dell’autrice), esso è la prima parte di una saga Young Adult che ricorda molto da vicino “Anna Dressed in Blood” di Kendare Blake. Stando così le cose, e dite pure che sono prevenuto, non credo che leggerò mai questo romanzo. Mi viene la pelle d’oca sulla fiducia.
È invece interessante ciò che racconta Rin Chupeco sul suo blog a proposito di se stessa e di Sadako: "Lavoravo in un vecchio edificio e facevo un sacco di straordinari. A volte non riuscivo ad andar via prima delle 9 o le 10 di sera, un orario in cui ormai l’intero piano era buio e l'ascensore sferragliava e mi sentivo come se qualcosa mi stesse osservando da un angolo – nulla di strano, insomma. Io sono asiatica. Sono pallida, e all’epoca avevo una gran massa disordinata di capelli neri. I miei occhi sono più grandi di quelli che in genere avete voi cinesi. Mi vesto spesso di nero. E così, quando gli impiegati dei piani sotto il mio attendevano l’ascensore – e questo si apriva e loro si ritrovavano davanti una ragazza con un aspetto del genere, e per di più con i capelli bene in vista, perché la sua testa era piegata sul cellulare – questi non potevano fare a meno di urlare. Ciò faceva urlare anche me, e così andavamo avanti a urlarci in faccia per alcuni secondi finché non ci rendevamo conto che eravamo entrambi umani. Ciò mi è successo più volte di quanto possiate pensare. C'era questo povero signore giapponese che per poco non ha avuto un attacco di cuore. L'unica cosa buona che è venuta fuori da tutto questo è che mi sono fatta un sacco di amici fra le persone che lavoravano agli altri piani dell’edificio. Ancora oggi mi chiamano Sadako".
Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta la parte 26 in un totale di 100. Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte dello Speciale Ghost in the Well che è iniziato qui lo scorso aprile. Buona lettura! P.S.: Possiamo spegnere la 26° candela...
Ormai questo ciclo è già leggenda, e manca ancora la parola finale...
RispondiEliminaScopro oggi che tutti i complimenti che ti ho fatto e ti farò vanno divisi a metà con la tua ragazza: spero provvederai :-P
In effetti all'inizio Ring poteva sembrare un fenomeno relativamente limitato, ma certo ora scopro questo oceano di materiale e apprezzo ancora di più il tuo lavoro di analisi... pardon, il "vostro" lavoro di analisi!
Mi tengo le pacche sulle spalle per l'ultima puntata...
Non ce l'avrei mai fatta da solo! Scrivere 24 pezzi in un tempo relativamente breve era al di là di ogni umana possibilità. Se fossi stato completamente solo avrei finito per lasciar trascorrere diversi mesi, con lo svantaggio che dopo un po' i ricordi dei film sarebbero svaniti costringendomi ad un continuo ripasso. Non è facile, anche solo a settimane di distanza, ricordarsi in quale dei tanti film (quasi tutti uguali) era successa una certa cosa anziché un'altra. Di conseguenza il lavoro andava fatto tutto e subito. Non so come fai tu a produrre tanto materiale di continuo e, dopo questa esperienza di Ring, ancora di meno me lo spiego. Tanto di cappello!
EliminaTi ringrazio, sono felicissimo che apprezzi l'ammazzata: la soddisfazione alla fine è però una bella energia liberatoria ;-)
RispondiEliminaSuperati i 40 anni la mia memoria già scarsa è andata a farsi benedire, così devo prendere appunti di tutto, pur in condizioni disagiate, perché non sai mai quando ti capita la cosa che devi assolutamente annotare perché fondamentale per la ricerca che stai facendo!
Il bello (o brutto) dei lunghi cicli è che poi magari quando hai tracciato le linee base scopri che il soggetto sta sguisciando via e devi lavorare per non andare fuori tema. Ormai preferisco usare i blog come "appunti" e vedere dove vanno i cicli e come sviluppano, per poi decidere come tirare le somme. Nella mia speranza c'è anche il bello di condividere con i lettori l'esperienza della ricerca: metto a loro disposizione tutti i tasselli così alla fine tiriamo insieme le somme.
Ti rinnovo i complimenti e attendo con trepidazione l'ultimo post dal pozzo :-P
Il bello e il brutto dei lunghi cicli è che virtualmente non finiscono mai. C'è sempre qualcosa che vorresti aggiungere, qualcosa a cui all'inizio non avevi pensato. Ad un certo punto però conviene trattenersi...
EliminaE io che credevo che Suzuki fosse un autore del passato e il discorso Ring dal punto di vista letterario concluso da un paio di decenni. Insomma, non ero granché aggiornato...
RispondiEliminaUno scrittore del passato? Direi proprio di no... Beh, qualcuno potrebbe affermare che Suzuki è in fondo un tizio che da vent'anni scrive sempre la stessa storia, ma in realtà questa cosa la si potrebbe dire di molti altri autori...
EliminaNon solo Suzuki scrive la stessa storia da almeno vent'anni ma lo fa in un modo che i lettori pur essendone perfettamente coscienti continuano a leggerlo e rileggerlo sperando in una piccolissima variazione che magari sia in grado di aggiungere elementi nuovi alla Storia.
RispondiEliminaIn fondo la materia di cui sono fatti i sogni (e anche gli incubi) è proprio questa: la passione dei fans.
In fondo è quello che ha fatto anche la Rowling, quella di scrivere sempre la stessa storia. Lo ha fatto anche gente come George Martin, Anne Rice o la Zimmer-Bradley... solo che in quei casi si chiamano saghe...
EliminaOrmai tu e Simona siete due sadakologi d'eccellenza! Complimenti per la maratona svolta nelle sue molte sfaccettature, e soprattutto per essere sopravvissuti entrambi. Si vede che Sadako ha ancora bisogno di voi... ! ;-)
RispondiEliminaComunque mi hai fatto molto ridere quando hai scritto del romanzo "Mi viene la pelle d’oca sulla fiducia", perché è la stessa cosa per me. Anzi, i romanzi possono essere anche più terrificanti dei film (naturalmente dipende sempre dalla bravura dello scrittore). Avevo letto due opere di King DOPO aver visto i film, e quella notte ho dormito molto male.
In qualche modo siamo sopravvissuti a Sadako e a questo lunghissimo speciale. Mi chiedo ancora adesso come abbiamo potuto...
EliminaSulla questione King... beh... direi che è risaputo che i film tratti dai suoi romanzi sono tutti delle boiate (a parte ovviamente Shining di Stanley Kubrick, che quel salame di King inizialmente aveva pure disconosciuto).