sabato 3 settembre 2016

Ghost in the well

Nel corso della prima parte di questo speciale ci siamo addentrati nella meandri della leggenda di Okiku, quell’affascinante personaggio del folklore giapponese al quale la saga di Ring deve in qualche modo la sua stessa esistenza. La vicenda di Okiku, uno dei fantasmi più celebri e celebrati del paese, si tramanda ormai da diversi secoli (almeno quattro, stando alle testimonianze giunte sino a noi), e nel corso del suo lungo cammino i suoi contorni si sono più volte alterati, come è normale che avvenga quando la sopravvivenza di una leggenda è affidata alla narrazione orale, lasciando spazio a un incredibile numero di variazioni sul tema.
Abbiamo già descritto alcune di queste versioni qualche mese fa e tutte hanno in comune il finale tragico, quello che vede la giovane serva Kiku gettata in un pozzo e lì abbandonata a una lenta agonia. L’assassino il più delle volte è identificato in un samurai ribelle, Aoyama Tessan o Asayama Tetsuzan, un uomo reso folle di desiderio a causa del suo amore non corrisposto. In altre, rare occasioni si è preferita una soluzione più romantica, lasciando al succitato samurai la più positiva parte del paladino della giustizia. Comunque vadano le cose, Okiku trova una delle morti più terribili che si possano immaginare e, com’è quasi superfluo sottolineare, lo spirito di Okiku, una volta abbandonate le spoglie mortali che lo tenevano prigioniero, si trasforma in un temibile onryō (怨霊), un inarrestabile “terminator” vendicativo che non farà fatica a trovare la strada di ritorno dal regno dei morti.
Quello a cui non avevamo accennato, e lo faremo oggi, è la versione più edulcorata del dramma, e probabilmente anche la più celebre. Come già accennato, si tratta in buona sostanza di una storia d’amore, se pure portata alle estreme conseguenze. Siamo ben lontani dalle vicende che varranno a Sadako la genesi delle caratteristiche che conosciamo ma, come spesso accade nel cinema e nella letteratura moderni, Kōji Suzuki e Hideo Nakata preferirono dare maggiore enfasi al lato macabro della questione anziché concentrarsi sui fatti che trasformarono in dramma una vicenda dalle tinte rosa.
Per raccontare il lato più romantico di Okiku, facciamo ora un salto indietro di cinquant’anni e andiamo a scoprire un vecchio film quasi dimenticato che fu girato da un regista giapponese piuttosto celebre a quel tempo. Toshikazu Kōno riprese quel vecchio spettacolo kabuki Banchō Sarayashiki, di cui abbiamo parlato diffusamente la volta scorsa, ribattezzandolo Kaidan Banchō Sarayashiki (Ghost in the Well, 1957) e trasformandolo in un incredibile mediometraggio di quarantacinque minuti, girato in quel bianco e nero d’epoca che, visto oggi, contribuisce a rendere l’esperienza cinematografica davvero unica.
Ma come? Non avevamo detto tempo addietro che il primo a portare sullo schermo le vicende di Sadako fu il regista Chisui Takigawa, che con il suo Ring: Kanzenban, nel 1995, anticipò di ben tre anni il successo di Hideo Nakata? E adesso? Stiamo forse spostando indietro la questione di ulteriori 40 anni? In un certo senso è proprio così e non c’è nulla di cui stupirsi, considerato che stiamo parlando di una storia vecchia di secoli. Nella pratica però non va dimenticato che Sadako è inequivocabilmente farina del sacco dello scrittore Kōji Suzuki, e sarebbe forse eccessivo sottrargli, in poche righe, il merito di tutto ciò di cui abbiamo parlato sino a ora. D’altra parte, Ghost in the well ci racconta proprio tutta un’altra storia, sebbene al pari di Ring sia stato ispirato dalla stessa vicenda.

Siamo a Yoshiwara, il quartiere del sesso dell’antica Edo, dove facciamo subito la conoscenza di Harima Aoyama (Chiyonosuke Azume), uno dei samurai di grado più elevato dello shogunato Tokugawa. Aoyama è proprio come potremmo aspettarcelo per via della sua giovane età: una testa calda, sempre in cerca di una scusa per sguainare la spada. Proprio nell’antefatto di Yoshiwara, egli si troverà coinvolto nel diverbio che segnerà il suo destino. Harima Aoyama non è una brutta persona: il suo sentimento nei confronti della giovane serva Okiku appare sin dall’inizio sincero, nonostante gli ovvi impedimenti dovuti alla netta differenza di classe sociale. La stessa Okiku, dopo un iniziale tentennamento, si accorge della profondità dei sentimenti di Aoyama e volentieri inizia a cedere alle sue attenzioni, acconsentendo implicitamente a rimanere nell’ombra nella paziente attesa che il suo signore possa trovare il modo di rendere pubblico il loro amore. Ma le cose non sono così semplici nel Giappone feudale e minacciose ombre si addensano all’orizzonte: lo Shogun, venuto a conoscenza dei fatti di Yoshiwara, decide di prendere seri provvedimenti nei confronti di uno dei partecipanti alla rissa che, contravvenendo alle sue disposizioni, ha disturbato la quiete pubblica, e lo invita bruscamente al suicidio rituale. Prima che lo stesso provvedimento colpisca anche Aoyama, il capofamiglia riesce a organizzare rapidamente per lui un matrimonio “politico” con una fanciulla di pari grado sociale: in cambio della protezione del futuro suocero, che si impegna a intercedere presso lo Shogun per salvare la vita di Aoyama e garantire la sopravvivenza dell’intero clan, la famiglia della sposa riceverà una preziosa collezione di piatti finemente decorati che da generazioni rappresenta il più grande vanto della famiglia di Aoyama. Una collezione celebre per la sua bellezza ma che, leggenda vuole, è anche stata per secoli la vera chiave della fortuna della famiglia: con una simile prospettiva, il futuro suocero è ben lieto di acconsentire subito alla celebrazione del matrimonio.

Come avrete senz’altro capito, siamo di fronte a una della tante storie di amori impossibili di cui scrittori di ogni epoca hanno inondato pagine su pagine. Anche il tragico finale, che vedremo tra un attimo, non ha nulla da invidiare a vicende ben più note a noi occidentali. Okiku e Aoyama si struggono di passione e sofferenza, ma nulla possono fare per opporsi al volere del fato. Giunge il fatidico giorno dell’incontro di Aoyama con la famiglia della sposa, il giorno in cui è prevista la consegna dell’inestimabile dono. È la stessa Kiku a doversi occupare della preparazione dei piatti, ma il destino vuole che, fra un sospiro e l’altro, alla giovane serva uno di questi scivoli di mano e si infranga a terra. Quale punizione può essere adeguata per rimediare, almeno in parte, a un simile disastro? La preziosa collezione è ora incompleta e Aoyama sa che questo sarà la fine della sua casata; la promessa di matrimonio non potrà più essere onorata e, dietro l’angolo, si profila la lunga ombra vendicatrice dello Shogun. Aoyama sa che dovrà uccidere Okiku con la sua stessa spada, se non altro per mantenere integro il suo onore di samurai, ma la sua mano non riesce a sollevarsi sull’oggetto del proprio amore. Okiku se ne accorge e, rendendosi conto della situazione, cerca di convincere l’amato a rinunciare a ogni indugio, ben disposta al sacrificio pur di alleviare la sua colpa e mettere a tacere la propria sofferenza, e pur di offrire ad Aoyama una possibilità di riscatto sociale. Ma la mano del samurai non accenna ancora a colpire. Colta dalla disperazione, Okiku afferra un altro piatto e, questa volta volontariamente, lo infrange a terra. Travolto dall’ira, Aoyama trova la forza di portare a termine il suo dovere. Per un attimo lei sembra cambiare idea, lo prega di non ucciderla e gli ricorda la sua promessa d’amore, ma è troppo tardi. Ferita a morte, Okiku si trascina in cortile, verso il pozzo e, traboccante d’amore, vi cade dentro.
Il seguito non starò qui a raccontarlo nel dettaglio, visto che magari avrete voglia di recuperare Ghost in the well e godervelo in santa pace sullo schermo di casa. Sappiate solo che la storia d’amore tra Aoyama e Kiku non si conclude con la morte di quest’ultima, ma questo immagino fosse facilmente prevedibile.

Curiosamente, in questa versione della leggenda Okiku si trasforma in uno Yurei (fantasma), ma non in un Onryo (fantasma vendicativo), il che rappresenta un particolare davvero unico e singolare rispetto alla norma. D’altra parte non è solo il rancore a poter trascendere la morte, bensì anche un amore profondo e irraggiungibile, meglio ancora se mai appagato. È con questa stessa premessa che il regista ha innestato temi che riguardano la tradizione e l’onore, cioè due temi cardine della filmografia legata alla figura del samurai, su un tipico canovaccio da kaidan, permeando però il tutto di un romanticismo struggente che finisce per prevalere. Comunque sia, mancando del tutto il tema della vendetta definire questo film un horror sarebbe riduttivo...

Affermare che il primo Ring cinematografico sia questo “Ghost in the well” del 1957 vorrebbe forse dire peccare di presunzione o, molto più semplicemente, non andare molto a fondo nella questione. Un’opera talmente celebre come il Banchō Sarayashiki non ha certamente dovuto attendere così tanto per poter vantare una trasposizione sul grande schermo. Secondo IMdB infatti vi sono stati numerosi altri tentativi, più o meno riusciti, in tal senso, ma il tempo, la distanza e la cultura a noi così estranea probabilmente non hanno permesso all’eco di tali opere di giungere sino a noi. Il celebre database online farebbe infatti riferimento a diversi Banchō Sarayashiki, la maggior parte dei quali risalenti all’epoca del muto. In rigoroso ordine cronologico esisterebbero: un Banshû sarayashiki, cortometraggio del 1911; un Shin sarayashiki, cortometraggio del 1911; un Shin sarayashiki, cortometraggio del 1912; un Banshû sarayashiki, cortometraggio del 1913 interpretato da Kangorō Nakamura e Ichinojo Ichikawa; un Bancho sarayashiki, cortometraggio del 1914 diretto da Shozo Makino e interpretato da Matsunosuke Onoe; un Banshû sarayashiki del 1918 diretto e interpretato da Matsunosuke Onoe; un Shin sarayashiki del 1921; un Bancho sarayashiki del 1922 diretto da Jirō Yoshino e interpretato da Genōsuke Sawamura, Tachibana Arashi e Genjūrō Sawamura; un Shin sarayashiki del 1923 diretto da Shirō Nakagawa e interpretato da Ritoku Arashi, Shōzō Arashi e Hōshō Bandō; un Bancho sarayashiki del 1923 diretto e interpretato (ancora!) da Matsunosuke Onoe; un Shin sarayashiki del 1924, diretto da Zanmu Kako e interpretato da Shirōgorō Sawamura; un Banshû sarayashiki, cortometraggio di 8 minuti del 1929 interpretato da Sôsuke Matsui (Aoyama) e da Kazuko Tukushi (Okiku).
Abbandonando l’epoca del muto, ma sempre in epoche antecedenti la nostra “Sadako del ‘57”, saltano fuori due ulteriori versioni: un Bancho Sarayashiki (aka Plate-counting Ghost of Bancho) del 1937 diretto da Taizo Fuyushima e interpretato da Kazuo Hasegawa (Aoyama) e Kinuyo Tanaka (Okiku); un Bancho sara yashiki: Okiku to Harima (aka A Samurai's Love) del 1954, diretto da Daisuke Ito e ancora una volta interpretato da Kazuo Hasegawa (un Aoyama di vent’anni più anziano) e Keiko Tsushima (Okiku).

Che dire quindi di Kaidan Banchō Sarayashiki (Ghost in the Well, 1957)? In tutta onestà, il film di Toshikazu Kōno, che è evidentemente stato solo l’ennesimo di una lunga serie, è stato scelto per questo speciale sul blog solo perché è stato l’unico tra i tanti che sono riuscito a recuperare (vorrei potervi dire dove, ma giuro che non lo ricordo). Provate comunque a cercarlo, se ho destato in voi un po’ di interesse. Se proprio non riuscite a trovare Ghost in the Well, potete comunque ripiegare sul (relativamente) recentissimo Banchosara Yashiki (2002), quarto episodio della serie giapponese 100 tales of horror (sul tubo lo trovate qui). Sebbene sia stato accantonato il particolare del pozzo, il tasso di tragedia nella vicenda rimane immutato e, detto tra noi, ogni tanto un’edificante storia di amore eterno non fa male.

Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta la parte 16 in un totale di 100Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. L'articolo è inoltre parte dello Speciale Ghost in the Well che è iniziato qui lo scorso aprile. Buona lettura! P.S.: Possiamo spegnere la 16° candela...

19 commenti:

  1. Un chiarimento, anche se forse lo hai già precisato altrove. Tradizionalmente, prima del film del 1995, la tendenza prevalente era quella di considerare il fantasma uno Yurei o un Onryo?

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    1. La tendenza prevalente, per tradizione, è quella descritta in questo post, nella quale Okiku non è affatto un Onryo. Il fantasma di Okiku è un fantasma romantico, lo spirito di una donna innamorata che ritorna dall'oltretomba per potersi ricongiungere all'oggetto del suo amore.
      E se devo dirla tutta, anche se non sembra, nemmeno Sadako è esattamente ciò che si può definire un fantasma vendicativo...

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  2. La storia d'amore è bella, ma l'epilogo più efficace per me resta la trasformazione di Okiko in fantasma vendicativo.

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    1. Sicuramente più efficace per via della nostra cultura, così profondamente diversa da quella giapponese. In Giappone, come rispondevo poc'anzi a Ivano, era invece quella romantica la versione prevalente. E poi devi pensare ad un popolo che ha fatto del suicidio rituale la sua bandiera: l'onore della casata valeva pur bene qualche collo accarezzato dalla katana.

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    2. Sì, lo capisco bene, anche perché tutto ciò che è giapponese esercita su di me un fascino particolare (escluso il cibo!)

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    3. Anch'io ero prevenuto sul cibo giapponese, poi sono andato laggiù in vacanza per due settimane e mi sono dovuto ricredere. Fidati, si mangia molto meglio in Giappone che in molti paesi europei.

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    4. Concordo... avendo una cugina sposata a un cuoco giapponese ci sono stati mesi in cui non ho mangiato quasi altro.

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  3. Aspettavo con ansia la ripresa di questo speciale che adoro sin dall'inizio! Splendida chicca, questa che citi: vedo se riesco a trovarla.
    Gran periodo, quello, per il cinema giapponese: qualche anno prima del film che citi viene portata su pellicola per la prima volta la figura "nuova" che spopola sui giornali di sinistra: il ninja! :-P

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    1. Vorrei poterti dire dove trovarla ma sinceramente non me lo ricordo... PS.: I ninja sono di sinistra? Ma dai!?!

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    2. Ahahah anch'io sono caduto dalla nuvola ninja, ma i cronisti parlano chiaro: gli scrittori di sinistra rielaborarono personaggi classici (come Robin Hood) e li riscrissero adattandoli. Il popolo ce l'aveva con la classe politica che non aveva pagato per la guerra, così si inventarono la figura del ninja, che nulla ha a che vedere con la spia e terrorista del medioevo. Su "Bandiera rossa" uscirono le avventure di un ninja giustiziere che in pratica difendeva gli umili dai potenti: addirittura nel film capolavoro "Il castello dei gufi" il ninja accusa lo shogun di aver fatto soffrire la povera gente! (Cito a memoria, ma il concetto è questo).
      Poi ogni cultura si è inventata i propri ninja, ma originariamente erano eroi del popolo, protagonista di storie fintamente medioevali in realtà attualissime.

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    3. Posso vantare un'ignoranza abissale sul tema ninja. Non ho nemmeno visto il film con le tartarughe, giusto per farti capire il livello. Grazie per questa piccola curiosità! Davvero notevole!

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  4. I "fantasmi romantici" sono una tradizione letteraria molto antica in Giappone, dove d'altronde la religione suggerisce una permanenza spirituale dei propri cari molto ravvicinata, a partire dalla festa dell'o-bon in cui ogni famiglia attende che i propri morti "passino" nella casa e lascia loro cibo e altri doni.
    La vicinanza tra i vivi e i trapassati è assai sentita.

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    1. ...e questo è uno di quegli aspetti da cui noi avremmo molto da imparare.

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  5. Ho aspettato un poco ma alla fine ci sono arrivato anche io alla tua ripresa di Ghost in the Well. Adesso corro a leggere gli altri post. ;)

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    1. Hai staccato per due mesi. Normale che tu adesso sia in affanno nel recuperare. Bentornato!!!!

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  6. A me piace anche questa versione romantica della storia, oltre a quella del fantasma ossessionante e ossessionato. Amore e vendetta sono comunque due temi forti, destinati a far fluire fiumi d'inchiostro in ogni epoca e in ogni latitudine.

    Anche le pastoie sociali che dividono gli amanti, le differenze di classe causano sempre molte sofferenze. Mi ricordo con particolare disagio e tristezza la storia narrata ne "L'età dell'innocenza" che è di una crudeltà indicibile pur senza che si versi una sola goccia di sangue.

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    1. Anch'io ho apprezzato moltissimo questa versione, forse perché tutto sommato mi è sembrata più realistica delle altre. Diciamo che mi ha solo messo un pochino in difficoltà in fase di stesura dello speciale GITW, ma alla fine ho trovato lo stesso il modo di ficcarcelo dentro.
      Eros e Thanatos? È il dualismo che fa girare il mondo...

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