LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI
Il progetto Orizzonti del Reale riprenderà presto il suo corso, ma qui, oggi, intendo prima di tutto riannodare il fil rouge che unisce John Allegro a uno degli artisti più visionari di tutti i tempi, Alejandro Jodorowsky. Un fil rouge che, naturalmente, è incarnato da “La montagna sacra” (The Holy Mountain), il film del 1973 che Jodo ha trasformato in esperienza estatica e alchemica. Sì, perché "La montagna sacra" è un esercizio intellettuale di ricerca ontologica, ma anche un’avventura sensoriale cui bisogna consentire di penetrarci sotto la pelle; un'opera che ha resistito alla prova del tempo e ancora oggi conserva intatta la sua vena surreale (uso un termine forse improprio, ma non me ne viene in mente uno migliore) e dissacratoria. È anche un’opera che va affrontata con un minimo di conoscenza del personaggio Jodorowsky e della cultura psichedelica, perché in caso contrario la sua visione rischia di rivelarsi sterile oppure frustrante e scioccante, per via dell’ambientazione in un Messico grottesco, da incubo, dove la religione è soprattutto iconografia, e dell’esibizione di nudità, sesso e violenza.
La montagna sacra è il luogo dove vivono i Nove Immortali, esseri umani che hanno appreso come sconfiggere la morte, e gli uomini nel corso della loro storia millenaria le hanno dato molti nomi diversi: montagna dell'lsola del Loto, montagna Meru dell'lndia, montagna dei taoisti, Karakorum dell'Himalaya, montagna dei Filosofi, montagna dei Rosacroce, montagna cabalistica di San Giovanni della Croce... Lo scopo del viaggio è, ovviamente, carpire il segreto dei Nove Immortali: per cosa vale la pena infatti affrontare peregrinazioni e prove d’ogni genere se non per inseguire l’antico sogno dell’umanità, la vita eterna?
A una prima parte ambientata nel Circo dei Rospi e dei Camaleonti, nel quale viene messo in scena in chiave comica lo sterminio degli Aztechi da parte dei colonialisti spagnoli, nella parte centrale del film viene mostrata la trasformazione “alchemica” degli escrementi umani in oro e vengono poi svelate le sette misteriose figure che, guidate da una versione moderna di Gesù Cristo, andranno alla ricerca della montagna sacra (un probabile rimando, come i più arguti hanno rilevato, ai pianeti del sistema solare).
Siamo lontani anni luce da quelle pellicole (soprattutto documentari e film sperimentali) che della psichedelia vogliono mostrare, nel bene e nel male, l’impatto sociale. Il film è la parodia di un epos, con personaggi derelitti che simboleggiano un’umanità altrettanto derelitta, del tutto immeritevole di sopravvivere, e non è un caso che il suo Cristo Redentore non sia altro che un volgare ladruncolo. Ancor peggio sono coloro che lo accompagnano nel suo viaggio: avidi costruttori di armi e oggetti-simbolo del consumismo di massa, e perfino manipolatori mentali capaci di installare nella mente i più meschini bisogni. L'Alchimista li invita a distruggere i propri beni materiali, ma soprattutto a dimenticare il proprio Io individuale “vacillante, inquieto, incerto, pieno di desideri, distratto, confuso”, a rinunciare “alla famiglia, al passato”, al “fedele animale” che è il loro corpo, perché la via per l'immortalità è lastricata di rinunce; fatto questo potranno rinascere in un nuovo corpo, l'Universo.
L'uomo ha imparato a coltivare la terra indebolendo le piante. Le piante selvatiche restano come erano al momento della Creazione. Esse sono le umili guardiane del segreto. Il fiore sa. Non hai che da chiedere. Come le piante selvatiche menzionate nel film, i semi di un culto/cultura dell'espansione della coscienza dalle origini antichissime sono sopravvissuti fino al nostro presente e talvolta riescono ad attecchire. Ma è in quell'ultimo baluardo della mondanità alla base della montagna sacra che Jodorowsky getta lì, quasi distrattamente, il suo più importante insegnamento. La Croce era un fungo ed era un fungo anche l'Albero del Bene e del Male. La Pietra Filosofale degli alchimisti era… l'LSD. Il Libro dei Morti è un trip e l'Apocalisse descrive un'esperienza alla mescalina. In questi flaconi ci sono tutte le montagne sacre e dentro questo bellissimo giovane c'è l'eternità!
La presenza della macchina da presa e della troupe nel luogo dove avrebbero dovuto trovarsi i Nove Immortali rivela però la finzione nella finzione. Il regista-Alchimista ci svela che noi siamo solo immagini, sogni, fotografie. La vita, come il cinema, è un'illusione. I protagonisti del film non troveranno l'immortalità, ma se saranno destinati (almeno per un po') a tornare alla propria vita di tutti i giorni, lo faranno profondamente cambiati dall'esperienza. E del resto, se noi siamo “la terra, il verde, l'azzurro, gli altri”, che bisogno c'è di scalare la montagna sacra? Se vita e morte sono solo due diversi piani della realtà, due stati della coscienza, che bisogno abbiamo di cercare il segreto dell'immortalità? Noi, tutti noi, siamo allo stesso tempo sia vivi che morti. Noi siamo già immortali.
A fare da contraltare a “La montagna sacra” c’è un film bellissimo che però è anche un pessimo manifesto della cultura psichedelica. Per qualche motivo, non riesco a pensare all’uno senza pensare anche all’altro: questi due film incarnano due modi opposti di guardare alla questione, e sta a ognuno decidere in quale dei due rispecchiarsi. “Stati di allucinazione” di Ken Russell (Altered states, 1980) è la trasposizione di un romanzo del 1978 di Paddy Chayefsky. Una trasposizione molto libera, a quanto pare, dato che lo stesso Chayefsky la rinnegò dopo aver scritto una prima versione della sceneggiatura, poi rimaneggiata dal regista.
Nel 1967 il fisiologo Eddie Jessup è alle prese con esperimenti sull'isolamento e sulla deprivazione sensoriale eseguiti su alcuni volontari e anche su se stesso. In retrospettiva quelli sembrano essere stati tempi caratterizzati da una profonda irrequietezza, che spingeva molte persone alla ricerca di una via di scampo da una vita omologata e borghese. Jessup, in questo senso, è un vero figlio del suo tempo, ma è anche una persona con un vissuto molto particolare alle spalle: un'infanzia scandita da visioni di angeli e santi cui è seguita la perdita totale della fede, e la nascita del dubbio che la vita non sia altro che un orrore privo di senso. Da adulto, Jessup ha però un rapporto irrisolto con la spiritualità. La sua esistenza e la sua carriera lavorativa sembrano votate alla ricerca ossessiva di un (bari)centro: la verità sul significato della vita e, di conseguenza, della morte. Deluso dalla filosofia orientale, insoddisfatto anche della scienza, che gli permette uno sguardo molto superficiale sui fenomeni che va esplorando, qualche anno dopo programma un viaggio in Messico durante il quale avrà modo di partecipare all'antico rito di una tribù locale accompagnato dall'assunzione della loro bevanda sacra. Una bevanda dal potente effetto psichedelico.
L'esperienza è folgorante, per lui e per noi, assaliti in quelli che sono forse i minuti più visionari del film da un caleidoscopio di immagini fungine, schemi cellulari, visioni apocalittiche nelle quali passato e futuro, inferno e paradiso, si intrecciano, l'ego si dissolve lasciando il posto a un sentimento primitivo che non è razionale, non è morale, ma è puro desiderio di sopravvivere. Tornato a casa, Jessup sintetizza il principio attivo vegetale di quella bevanda per usarlo durante i suoi esperimenti, ma ovviamente i risultati non saranno quelli sperati.
Questo personaggio è ispirato non tanto alla figura di Timothy Leary quanto a quella del neurofisiologo John C. Lilly, uno dei pionieri della ricerca sugli stati alterati di coscienza nonché inventore della vasca di deprivazione sensoriale. Entrambi, Leary e Lilly, erano personalità infinitamente più interessanti di Jessup, così come la finzione non è affatto una versione migliore della realtà, ma è spesso vero il contrario. Leary fuse le sue esperienze con i funghi e l'LSD con la filosofia orientale, Lilly si convinse che esiste un’intelligenza che guida l’universo, ma Jessup alla fine del film è molto più povero, spiritualmente parlando, di quanto non fosse all'inizio. Ma andiamo per gradi.
Parlando di "The Addiction" avevo accennato all'annosa questione filosofica se l'inferno possa essere considerato uno stato della mente. “Stati di allucinazione” comincia con una riflessione di questo stesso genere, con Jessup che paragona la schizofrenia a un altro stato di coscienza non meno vero e reale, per chi lo vive, di quello delle persone “normali”. La vasca gli causa uno stato di trance, lo mette in contatto con i suoi ricordi e con i suoi demoni interiori, ma anche con una sorta di memoria collettiva, un'energia tangibile che non scompare mai, in un concetto di spazio-tempo che molto deve ad alcune teorie della fisica. Quando però comincia ad assumere la droga tutto cambia, e lui comincia a mostrare segni di regressione genetica che, si suppone, sono causati dall'azione cosciente di un sé primitivo e a quanto pare molto potente, in grado di influenzare la nostra realtà. Inizialmente regredisce in una sorta di cromagnonoide, condizione che gli fa provare il momento “più sublime” della sua vita (!), ma nei minuti finali diviene una forma cellulare sempre più indistinta, destinata a perdere consistenza e a disperdersi insieme alla sua identità individuale e alla sua coscienza.
Poi… la storia va alla deriva. Per quanto mi riguarda, se mi passate la metafora culinaria, il film comincia a somigliare a un minestrone fatto con ingredienti mischiati a caso: il risultato non è affatto insapore, ma è certamente indigesto. Peccato, perché è proprio quando tenta di incasellare per forza una vicenda dalle premesse così inusuali in una cornice di suspense dai toni orrorifico-misterici, e soprattutto quando sprofonda in quell’imbarazzante finale, che “Stati di allucinazione” perde gran parte della sua potenza. Si scomodano religione, filosofia, scienza, principi vedici per poi tradire il tutto. Il protagonista, dopo aver percorso la scala evolutiva nel “verso” sbagliato, invece di essere sospinto verso la saggezza cosmica del Tutto arriva alla conclusione che prima e dopo la morte non c'è nulla, e l'unica verità è in ciò che noi chiamiamo "vita". Sul punto di annegare nel mare cosmico prova un terrore grandissimo, tende le mani per cercare un appiglio e lo trova… nell'amore. La famiglia per lui rappresenta ciò che la scialuppa è per il naufrago, il simbolo concreto della sua identità terrena. Molto umano, non c'è che dire, se non fosse che in precedenza non aveva fatto altro che sacrificare l'amore alla ricerca della verità…
Davvero il tunnel cellulare agognato da tutte le generazioni di psiconauti porta da un lato a un passato primitivo e dall’altro a un abisso di vuoto, il nulla più totale, da cui solo l'amore ci può salvare? Se lo scopo era quello di ribadire un esistenzialismo umanista, allora quel finale consolatorio non ha senso (come consolarsi pensando che l'amore, come tutto il resto, è transitorio e destinato a perire e trasformarsi in nulla?). Un epilogo da far cadere le braccia (le mie, almeno); qualunque altra cosa, dalla psicosi collettiva alla totale regressione fisica di Jessup, avrebbe avuto più senso. Un finale dove Jessup raggiungesse la trascendenza non credo sia mai stato neppure contemplato, e questo è emblematico di un ambiente culturale (non solo cinematografico) in cui non ci si fa problemi a scomodare demoni e fantasmi, ma in cui parlare di evoluzione spirituale è quasi tabù. Anche Dio non è un soggetto comune, a meno di non imbastire la solita trama trita e ritrita del prete "socialmente utile". E la trascendenza? E la ricerca spirituale come pratica personale, intima, anche condotta fuori dai canoni? Non pervenute.
Nella vita reale ho visto fin troppo spesso sfide intellettuali ammantarsi di una falsa aura di spiritualità e tramutarsi in cocenti fallimenti. Questo film è parimenti poco spirituale e poco eversivo, ben lontano dall’approcciare argomenti complessi come la memoria cellulare nel modo giusto. Abbastanza, forse, per il cinefilo che è in me, ma in senso assoluto davvero poca cosa.
La montagna sacra è il luogo dove vivono i Nove Immortali, esseri umani che hanno appreso come sconfiggere la morte, e gli uomini nel corso della loro storia millenaria le hanno dato molti nomi diversi: montagna dell'lsola del Loto, montagna Meru dell'lndia, montagna dei taoisti, Karakorum dell'Himalaya, montagna dei Filosofi, montagna dei Rosacroce, montagna cabalistica di San Giovanni della Croce... Lo scopo del viaggio è, ovviamente, carpire il segreto dei Nove Immortali: per cosa vale la pena infatti affrontare peregrinazioni e prove d’ogni genere se non per inseguire l’antico sogno dell’umanità, la vita eterna?
A una prima parte ambientata nel Circo dei Rospi e dei Camaleonti, nel quale viene messo in scena in chiave comica lo sterminio degli Aztechi da parte dei colonialisti spagnoli, nella parte centrale del film viene mostrata la trasformazione “alchemica” degli escrementi umani in oro e vengono poi svelate le sette misteriose figure che, guidate da una versione moderna di Gesù Cristo, andranno alla ricerca della montagna sacra (un probabile rimando, come i più arguti hanno rilevato, ai pianeti del sistema solare).
La presenza della macchina da presa e della troupe nel luogo dove avrebbero dovuto trovarsi i Nove Immortali rivela però la finzione nella finzione. Il regista-Alchimista ci svela che noi siamo solo immagini, sogni, fotografie. La vita, come il cinema, è un'illusione. I protagonisti del film non troveranno l'immortalità, ma se saranno destinati (almeno per un po') a tornare alla propria vita di tutti i giorni, lo faranno profondamente cambiati dall'esperienza. E del resto, se noi siamo “la terra, il verde, l'azzurro, gli altri”, che bisogno c'è di scalare la montagna sacra? Se vita e morte sono solo due diversi piani della realtà, due stati della coscienza, che bisogno abbiamo di cercare il segreto dell'immortalità? Noi, tutti noi, siamo allo stesso tempo sia vivi che morti. Noi siamo già immortali.
A fare da contraltare a “La montagna sacra” c’è un film bellissimo che però è anche un pessimo manifesto della cultura psichedelica. Per qualche motivo, non riesco a pensare all’uno senza pensare anche all’altro: questi due film incarnano due modi opposti di guardare alla questione, e sta a ognuno decidere in quale dei due rispecchiarsi. “Stati di allucinazione” di Ken Russell (Altered states, 1980) è la trasposizione di un romanzo del 1978 di Paddy Chayefsky. Una trasposizione molto libera, a quanto pare, dato che lo stesso Chayefsky la rinnegò dopo aver scritto una prima versione della sceneggiatura, poi rimaneggiata dal regista.
Nel 1967 il fisiologo Eddie Jessup è alle prese con esperimenti sull'isolamento e sulla deprivazione sensoriale eseguiti su alcuni volontari e anche su se stesso. In retrospettiva quelli sembrano essere stati tempi caratterizzati da una profonda irrequietezza, che spingeva molte persone alla ricerca di una via di scampo da una vita omologata e borghese. Jessup, in questo senso, è un vero figlio del suo tempo, ma è anche una persona con un vissuto molto particolare alle spalle: un'infanzia scandita da visioni di angeli e santi cui è seguita la perdita totale della fede, e la nascita del dubbio che la vita non sia altro che un orrore privo di senso. Da adulto, Jessup ha però un rapporto irrisolto con la spiritualità. La sua esistenza e la sua carriera lavorativa sembrano votate alla ricerca ossessiva di un (bari)centro: la verità sul significato della vita e, di conseguenza, della morte. Deluso dalla filosofia orientale, insoddisfatto anche della scienza, che gli permette uno sguardo molto superficiale sui fenomeni che va esplorando, qualche anno dopo programma un viaggio in Messico durante il quale avrà modo di partecipare all'antico rito di una tribù locale accompagnato dall'assunzione della loro bevanda sacra. Una bevanda dal potente effetto psichedelico.
L'esperienza è folgorante, per lui e per noi, assaliti in quelli che sono forse i minuti più visionari del film da un caleidoscopio di immagini fungine, schemi cellulari, visioni apocalittiche nelle quali passato e futuro, inferno e paradiso, si intrecciano, l'ego si dissolve lasciando il posto a un sentimento primitivo che non è razionale, non è morale, ma è puro desiderio di sopravvivere. Tornato a casa, Jessup sintetizza il principio attivo vegetale di quella bevanda per usarlo durante i suoi esperimenti, ma ovviamente i risultati non saranno quelli sperati.
Questo personaggio è ispirato non tanto alla figura di Timothy Leary quanto a quella del neurofisiologo John C. Lilly, uno dei pionieri della ricerca sugli stati alterati di coscienza nonché inventore della vasca di deprivazione sensoriale. Entrambi, Leary e Lilly, erano personalità infinitamente più interessanti di Jessup, così come la finzione non è affatto una versione migliore della realtà, ma è spesso vero il contrario. Leary fuse le sue esperienze con i funghi e l'LSD con la filosofia orientale, Lilly si convinse che esiste un’intelligenza che guida l’universo, ma Jessup alla fine del film è molto più povero, spiritualmente parlando, di quanto non fosse all'inizio. Ma andiamo per gradi.
Parlando di "The Addiction" avevo accennato all'annosa questione filosofica se l'inferno possa essere considerato uno stato della mente. “Stati di allucinazione” comincia con una riflessione di questo stesso genere, con Jessup che paragona la schizofrenia a un altro stato di coscienza non meno vero e reale, per chi lo vive, di quello delle persone “normali”. La vasca gli causa uno stato di trance, lo mette in contatto con i suoi ricordi e con i suoi demoni interiori, ma anche con una sorta di memoria collettiva, un'energia tangibile che non scompare mai, in un concetto di spazio-tempo che molto deve ad alcune teorie della fisica. Quando però comincia ad assumere la droga tutto cambia, e lui comincia a mostrare segni di regressione genetica che, si suppone, sono causati dall'azione cosciente di un sé primitivo e a quanto pare molto potente, in grado di influenzare la nostra realtà. Inizialmente regredisce in una sorta di cromagnonoide, condizione che gli fa provare il momento “più sublime” della sua vita (!), ma nei minuti finali diviene una forma cellulare sempre più indistinta, destinata a perdere consistenza e a disperdersi insieme alla sua identità individuale e alla sua coscienza.
Davvero il tunnel cellulare agognato da tutte le generazioni di psiconauti porta da un lato a un passato primitivo e dall’altro a un abisso di vuoto, il nulla più totale, da cui solo l'amore ci può salvare? Se lo scopo era quello di ribadire un esistenzialismo umanista, allora quel finale consolatorio non ha senso (come consolarsi pensando che l'amore, come tutto il resto, è transitorio e destinato a perire e trasformarsi in nulla?). Un epilogo da far cadere le braccia (le mie, almeno); qualunque altra cosa, dalla psicosi collettiva alla totale regressione fisica di Jessup, avrebbe avuto più senso. Un finale dove Jessup raggiungesse la trascendenza non credo sia mai stato neppure contemplato, e questo è emblematico di un ambiente culturale (non solo cinematografico) in cui non ci si fa problemi a scomodare demoni e fantasmi, ma in cui parlare di evoluzione spirituale è quasi tabù. Anche Dio non è un soggetto comune, a meno di non imbastire la solita trama trita e ritrita del prete "socialmente utile". E la trascendenza? E la ricerca spirituale come pratica personale, intima, anche condotta fuori dai canoni? Non pervenute.
Nella vita reale ho visto fin troppo spesso sfide intellettuali ammantarsi di una falsa aura di spiritualità e tramutarsi in cocenti fallimenti. Questo film è parimenti poco spirituale e poco eversivo, ben lontano dall’approcciare argomenti complessi come la memoria cellulare nel modo giusto. Abbastanza, forse, per il cinefilo che è in me, ma in senso assoluto davvero poca cosa.
CONTINUA
Bellissima analisi! Non amo particolarmente Jodo, ma "La Montagna Sacra" rimane uno dei suoi film migliori
RispondiEliminaGrazie Nick 😊. In questo caso mi interessava soprattutto mettere al confronto i film di due “grandi” sullo stesso tema, perché le differenze rappresentano bene anche le differenze di vedute delle persone comuni sull’argomento.
EliminaI film visionari mi prendevano un po' quando ero più giovane, adesso decisamente meno... Non so se riuscirei a portare a termine la visione.
RispondiEliminaImmagino che anche tu ti riferisca più che altro a Jodo, o no? Comunque, a me è accaduto esattamente il contrario: certe cose le apprezzo di più adesso che un tempo… mi piace pensare che questo avviene perché sono cresciuto “culturalmente” col passare degli anni, e non perché sono invecchiato e su di me fanno più presa i film concettuali che quelli che puntano sull’azione ^_^ (anche se tutto si può dire tranne che questi siano film noiosi e privi di avvenimenti!)
EliminaD'accordo con te sull'analisi di "Stati di allucinazione", TOM... pure a me sono cadute le braccia, tanto è vero che pur con il mio interesse quasi collezionistico per questo genere di cinema, quel film è assente dalla mia videoteca.
RispondiEliminaPer quel che riguarda invece "La montagna sacra", siamo decisamente ad altri livelli. Jodorowsky ha citato come sue ispirazioni principali "La salita al Monte Carmelo" di San Giovanni della Croce e "Il monte analogo" di René Daumal, ma ve ne sono anche altre di identificabili. Per esempio, per quel che riguarda la formazione del gruppo di ricercatori, ci sta anche pensare ai pianeti, ma c'è un'ispirazione molto più diretta e riconoscibile, che è quella di "Incontri con uomini straordinari" di G.I.Gurdjieff, mistico-filosofo che è sempre stato uno dei principali punti di riferimento di Jodorowsky (è Gurdjieff, per esempio, il primo in assoluto ad aver parlato dell'enneagramma). Anche in "Incontri con uomini straordinari" viene organizzato un gruppo di ricercatori chiamato i Cercatori della Verità, del tutto analogo a quello de "La montagna sacra", compresa la presenza di una donna al suo interno, e anche loro danno inizio a un lungo viaggio iniziatico, denso di ostacoli e avventure.
Sì, il collegamento con "Il monte analogo" di René Daumal è cosa nota e ho visto che viene menzionato in molte recensioni de "La montagna sacra", ma non avendolo letto neanche di striscio ho preferito non citarlo neppure. (Ricordo che del libro avevi parlato pure tu sul tuo blog, forse solo “en passant”… ma al momento non ricordo esattamente in che occasione. Ecco, in quel momento mi avevi fatto venir voglia di procurarmi il libro, ma finora la cosa è rimasta relegata nel limbo dei buoni propositi.) Idem per Gurdjieff, che conosco solo di fama. Immagino che nel film siano presenti moltissimi altri riferimenti, molti dei quali saranno lampanti solo per lo stesso Jodorowsky (e magari a chi come te lo ha conosciuto di persona). Insomma ho preferito concentrarmi sulla mia interpretazione del film piuttosto che gettarmi in una “caccia all’indizio” che mi avrebbe visto perdente in partenza. ^_^
EliminaIn realtà lo stesso romanzo "Il monte analogo" è ispirato agli insegnamenti di Gurdjieff, di cui Daumal era un simpatizzante.
EliminaE ricordi bene: sul blog l'ho citato solo "en passant", sebbene due volte. Una volta in una puntata della blog novel Solve et Coagula e l'altra in un meme.
Ecco quel che ne ho scritto nella seconda occasione:
"In qualche punto della Terra esiste un territorio con una circonferenza di almeno diverse migliaia di chilometri, sul quale si innalza il Monte Analogo. Il basamento di questo territorio è formato da materiali che hanno la proprietà di curvare lo spazio intorno a sé in modo tale che tutta la regione sia rinchiusa in un guscio di spazio curvo." (cit.)
Questa curvatura dello spazio rende la montagna invisibile ai normali metodi di esplorazione scientifica. Solo un rigoroso apprendistato della percezione metterà in grado un pugno di uomini, guidati da Pierre Sogol a bordo dello yacht Impossibile, di trovare il continente e il suo "luogo" di approdo: Porto-delle-Scimmie.
P.S. Ho da poco scoperto che mi hanno censurato la condivisione del tuo post su fb... non risponde ai loro standard su sesso e nudo. Sono una banda di completi idioti, non si può definirli in altro modo.
Ora hai risolleticato la mia curiosità, me tapino: mi ci vorrebbe un’altra vita per affrontare certe letture. ☹
EliminaSì, ora che me lo hai detto ricordo entrambi i post (ahimè mi sono arenato con la blog novel, anche se non per mancanza di interesse. Temo che per portarmi in pari ci vorrà molto tempo e dovrò decidermi a copiare/incollare i testi dei vari post in un unico file di Word, perché leggere così tanto a video mi uccide. Spero non ti dispiaccia.)
P.S. Sesso e nudo? Ma dove sarebbero? Altre volte ci sono andato giù anche più pesante con te11e e cu1i...
Forse hanno intravisto una punta di blasfemia nelle immagini che ho scelto?
Per la blog novel, non preoccuparti, ché mi sono arenato anch'io, nel senso che non avendo più il tempo di realizzare lo stesso numero di post di prima e per tutti i mesi dell'anno, ho dovuto fare una scelta: o solo la blog novel o gli altri post. E almeno per ora ho scelto la seconda soluzione. Se poi, le cose dovessero tornare come un tempo, allora farei ripartire tutto. Ma per ora è già difficile così.
EliminaP.S. Anch'io ci sono andato spesso più pesante di così e i post su fb finora me li avevano sempre passati. Boh!
Grazie! È vero, ci sarebbero un milione di cose da dire, ma io come al mio solito mi sono soffermato molto di più sul contenuto che sulla forma. ^_^
RispondiEliminaTrovo registi come Jodorowsky e Russell molto stimolanti: per quanto uno possa vederli e rivederli, i loro film lasciano sempre la sensazione di non riuscire ad afferrarli fino in fondo.
Che sorpresa e che film!
RispondiEliminaPensa che ignoravo del tutto l'esistenza di Jodorowsky - ebbene sì, che confesso una lacuna non da poco nella mia formazione cinematografica! - fino ai primi del Duemila, quando per puro caso sul neonato Sky sono inciampato in "Santa Sangre" (1989), che magari non sarà il più famoso dei suoi titoli ma mi ha colpito in modo così profondo come non mi capitava più con un film! La potenza visiva di una madre onnipresente e senza braccia ricordo che ha fatto vibrare corde che non sapevo di avere. Non seconda l'idea di cinema frugale e allo stesso tempo perfetta: nessun effetto digitale di cancellazione braccia, che finisce per essere autoincensante, solo un'attrice con le mani legate dietro quand'è inquadrata davanti e davanti quand'è inquadrata dietro. Cinema allo stato puro! Ricordo che ero deciso ad approfondire il regista ma all'epoca non era facile trovare film e quando lo è diventato mi sono reso conto che non ne avevo il coraggio. Ancora oggi dubito di poter affrontare un autore che sappia disturbarmi così nel profondo...
So "Stati di allucinazione" vai dritto al cuore, e so che molti sono rimasti delusi: io invece lo venero, ma probabilmente per motivi diversi. Avrò avuto sui 12 o 13 anni quando l'ho visto in TV... e mi ha distrutto di paura.
Non sto parlando della paura che mi ha messo addosso la prima visione de "La Cosa" di Carpenter, parlo di una paura inspiegabile se non la parola "atavica": Russell ha colpito ogni mio precedente stato evolutivo spaventandolo a morte!
Ogni immagine composta dal regista scuoteva una paura diversa, ogni secondo del film mi ha provocato sofferenza, addirittura quando Hurt si limitava a parlare ricordo ondate di paura che attraversavano il mio giovane cuore. Ogni volta che aprivano quella maledetta camera di deprivazione sensoriale smettevo di respirare, e quelle immagini di una caverna ancestrale ricorrente erano picchi di dolore. Non posso che definire la visione di quel film come sofferente e sofferta, in ogni singola scena. E nessun altro film di Russell ci è riuscito, anzi "Gothic" m'ha parecchio infastidito...
Come film "Stati di allucinazione" lo considero ancora un gioiellino ma ovviamente è puramente "di genere": è un classico mad doctor che si perde nella sua invenzione, ma proprio perché canonico in ogni sua singola scena è ancora più difficile creare un prodotto non banale!
Capisco quello che intendi a proposito di "Stati di allucinazione", a livello filmico è una bellissima esperienza, e non nego che sia davvero inquietante in un modo sottile e “atavico” (che termine perfetto hai scelto!), è a livello concettuale che non riesco a sentirlo mio, visto il mio coinvolgimento in un certo tipo di tematiche. Lo considero un grosso scivolone per un regista come Russell, che in altri momenti si è dimostrato molto più anticonvenzionale e acuto nelle sue analisi, aldilà del fatto che i suoi film possano piacere o meno. Per il resto anche io amo molto “Santa Sangre”, anche se in modo diverso da “La Montagna Sacra”. ^_^
EliminaArrivato oggi da fb in seguito a mio reclamo:
RispondiEliminaCiao Ivano,
Il tuo post è di nuovo disponibile su Facebook. Ci dispiace per l'errore.
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