“Il faraone Nephren-Ka le dedicò un tempio con un cripta senza aperture, e con l'ausilio della pietra fece cose tali per cui il suo nome fu cancellato da ogni monumento e da tutti i documenti. Fra le rovine del tempio maligno, distrutto dai sacerdoti e dal nuovo faraone, esso rimase celato finché il badile d'un archeologo non lo disseppellì per la dannazione del genere umano.”. (The Haunter in the Dark, HPL, 1935)
In chiusura del precedente articolo avevamo accennato al fatto che l’idea lovecraftiana di "Under the Pyramids" avrebbe avuto in seguito modo di influenzare gli scritti di vari autori, tra cui Robert Bloch. Non posso quindi esimermi dal citare “Fane of the Black Pharaoh” (Weird Tales, dicembre 1937), un racconto che l’autore di Psycho scrisse prelevando, in maniera abbastanza spudorata, il soggetto di "Under the Pyramids" e mescolandolo con un paio di spunti provenienti da “The Haunter in the Dark”, racconto, quest'ultimo, uscito sempre su Weird Tales nel dicembre dell’anno precedente.
Non si tratta di plagio, e su questo punto credo non ci piova, quanto dell’ennesimo omaggio all’amico-rivale che già aveva battezzato il protagonista del suo “The Haunter in the Dark” con l’inequivocabile nome di Robert Blake. Senza timore di spoiler, credo che tutti i lettori di Lovecraft sappiano che tale protagonista, al termine del racconto, viene fatto morire orrendamente; quel che forse non tutti sanno è che ciò fu una piccola rivalsa che Lovecraft si prese per “vendicare” la fine che Bloch aveva fatto fare al Maestro nel celeberrimo “The Shambler for the Stars” (Weird Tales, settembre 1935), il racconto in cui l’autore di Chicago aveva citato per la prima volta il famigerato grimorio “De Vermis Mysteriis”. Ma questa è evidentemente un’altra storia.
È chiaro, stavo dicendo, che “Fane of the Black Pharaoh” sia stato influenzato da "Under the Pyramids", anche perché, andando a ripulirli da tutti i particolari che li arricchiscono, l’ossatura dei due racconti è praticamente identica: in entrambi abbiamo un ingenuo occidentale alla bramosa ricerca di segreti dell’antico Egitto che viene guidato nelle profondità del sottosuolo, in una tomba inviolata, da un personaggio locale dal comportamento imperscrutabile.
A tal proposito, pare che Lovecraft prese spunto per il suo personaggio proprio dalla descrizione di uno dei quei papiri (nella fattispecie il Papiro del principe Setna Kha-em-ust, figlio di Ramses II), che egli trovò nell’enciclopedia dell’occultismo di Lewis Spence, che sappiamo egli possedeva. Del papiro, che si dice sia stato scoperto sotto la testa di una mummia nella Necropoli di Memphis, scrive l'egittologo Alfred Wiedemann nel suo libro “Popular Literature in Ancient Egypt” (1902): "Il primo testo, che ci è noto dal 1867, racconta di come Setna, abile nella pratica della negromanzia, venne a sapere da un vecchio di un libro magico contenente due incantesimi scritti dalla mano dello stesso Thot, il dio della saggezza. Setna chiese dove poter trovare questo libro e apprese che si trovava nella tomba di Nefer-ka-Ptah, figlio del re Mer-neb-ptah, e che qualsiasi tentativo di prendere lontano il libro avrebbe sicuramente incontrato un'ostinata resistenza”. Qui l’intera faccenda si fa decisamente più complessa, visto che lo stesso Toth, un personaggio più divino che umano, secondo certe teorie sarebbe vissuto (se mai è vissuto) in un’epoca di almeno ventimila anni precedente alla nascita della civiltà che noi oggi chiamiamo Antico Egitto. Se è vero quindi che Nefer-ka-Ptah aveva avuto tra le mani un testo vergato da Toth, significa che ciò che egli possedeva era, per lui, ancora più antico di quanto possa essere per noi il Vecchio Testamento. Le possibilità quindi che il Libro di Toth non sia altro che uno pseudobiblion sono altissime, e di conseguenza tutto ciò che ne deriva, dall’esistenza terrena di Nefer-ka-Ptah all’affidabilità di ciò che è scritto sul Papiro di Setna, viene a perdere stabilità come un castello di carte costruito sulla spiaggia. Sarebbe come dare una valenza storica al romanzo “Il libro proibito” (2015) di Christian Jacq, secondo volume della quadrilogia “Il figlio di Ramses”, che com’è noto ci racconta la stessa storia, con un linguaggio evidentemente più moderno, del Papiro di Setna.
Quella delle citazioni incrociate era un gioco frequente tra i membri del cosidetto "Circolo Lovecraft", un divertisement con continue strizzatine d'occhio tra il Solitario di Providence e i suoi giovani corrispondenti. Bloch poi, assieme a Kuttner e Derleth (ma lui lo fece per altri motivi, in quanto futuro editore di H.P.L) fu uno di quelli che continuò le citazioni e l'approfondimento dei Miti anche dopo la morte del loro maestro.
RispondiEliminaIn quanto alla tua digressione "Egizia" non vedo l'ora di leggere i tuoi approfondimenti futuri nelle prossime puntate.
E meno male che è esistito il "Circolo Lovecraft"! Viceversa non mi divertirei come sto facendo a scrivere questi piccoli articoli sul blog. Un altro autore che ha continuato per anni questo giochino di rimandi e citazioni è stato, come sai, Lin Carter, del quale torneremo ad occuparci prestissimo.
EliminaSarei impegnato in altro, ma quando ho visto apparire nel blogroll questo tuo post non ho resistito alla tentazione di sbirciare. "Libro di Thot", come certo saprai, è anche il nome dato da Alaister Crowley al suo mazzo di tarocchi, e mi chiedevo quindi se hai intenzione di spingerti abbastanza in là, con questa serie di post, da abbracciare anche questa parte del discorso.
RispondiEliminaTra l'altro, e questo forse non l'hai mai saputo, io e Lucius, alla fine di "The Pleasure of Pain", avevamo accarezzato la possibilità di avviare uno speciale a più voci su Crowley, ma poi io ho messo in pausa il blog e non se ne è fatto di nulla.
P.S. A me il tuo link al "post precedente" non funziona.
Questa serie di post per il momento rimarrà circoscritta alla figura di Nephren-Ka e agli autori del fantastico che hanno contribuito al suo mito. Non escludo di estenderlo però in futuro, visto che il finale (mancano ancora tre post) non è un finale di quelli convincenti, di quelli che puoi dire "ok ho scritto tutto".
EliminaMi ricordo di quel progetto su Alaister Crowley! Quasi certamente lo avevate varato nei commenti su questo o sul tuo blog. Peccato davvero che sia rimasto solo un progetto..
P.S.: Verifico il link. Sto iniziando a perdere colpi, mi sa. ^_^
Vi prego, fatelo uno specialone su Crowley!
EliminaMi interesserebbe enormemente! Mi piacerebbe farmene un'idea che sia un minimo mia e un po' più precisa di quella attuale (se mai fosse possibile) dato che a tutt'oggi sono in una gran confusione, leggendo libri che dicono tutto e subito dopo altri libri che dicono il contrario di tutto...
P.S. Il link ora funziona :)
Ah si, piacerebbe anche a me! Dobbiamo solo cercare di convincere Lucio e Ivano a mettersi sotto a scrivere! ^_^
EliminaMa il riferimento a storie scritte su antichi papiri è provato o anche Wiedemann fa riferimento a citazioni lette altrove? Chiedo perché certi testi storiografici di fine ottocento / inizio novecento hanno questa tendenza a citare fonti che in realtà non hanno consultato di persona ma solo letto genericamente altrove.
RispondiEliminaP.S.: il link non funziona neppure a me.
EliminaMi piacerebbe poterti assicurare sul fatto che Alfred Wiedemann abbia verificato accuratamente tutte le informazioni che ci ha tramandato sui suoi numerosi testi. In fondo stiamo parlando di un egittologo di fama mondiale, no? Nel suo caso però "egittologo" va inteso come "studioso della materia", il che significa che la sua conoscenza deriva da visite a musei e collezioni private, presso le quali di prodigava a copiare "testi inediti". Si sa per certo inoltre che le sue più celebri opere sull'Egitto neolitico devono molto al lavoro del coevo Jacques de Morgan (che certamente egli conosceva), uno che ha trascorso davvero metà della sua esistenza in Egitto scavando nelle necropoli, alla ricerca di cose di prima mano...
EliminaP.S.: Link sistemato. ^_^
Thanks for writting this
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