Apocalisse (o apocalissi) s. f. [dal lat. apocalypsis, gr. ἀποκάλυψις «rivelazione»]. – 1. Titolo o designazione di scritti, canonici o apocrifi, contenenti rivelazioni relative ai destini ultimi dell’umanità e del mondo: l’A. di Abramo, di Mosé, di Paolo, di Pietro, ecc. In partic., il libro che ha questo titolo, accolto nel canone del Nuovo Testamento, attribuito tradizionalmente a s. Giovanni Evangelista. 2. fig. Come termine di riferimento o di confronto, catastrofe, rovina totale, fine del mondo, in frasi quali: visione d’a.; una notte da a.; sembrava venuto il tempo dell’apocalisse, e sim. (Treccani).
In questi ultimi tempi si parla di apocalisse un po' a sproposito. Viene facilmente da pensare, e questo lo ammetto, che la fine dell'umanità, contrariamente a quanto si pensava, stia avvenendo gradualmente attraverso una non meglio identificata pandemia, che ci spinge un giorno dopo l'altro verso un baratro di disperazione economica e sanitaria davanti al quale abbiamo già ampiamente dimostrato la nostra pochezza. Un'apocalisse come questa in realtà l'abbiamo già vissuta infinite volte e ogni volta in qualche modo ci siamo risollevati, perdendo magari qualche anno di vita, sacrificato in nome di un ideale che non sempre è stato il nostro. Penso alle guerre, alle carestie, alle grandi pestilenze del passato, in un arco di tempo che va dalle piaghe d'Egitto di quattromila anni fa ai più recenti genocidi in Ruanda o nella ex-Jugoslavia, ma più che altro penso a emergenze "minori" come, per chi se la ricorda (io avevo sei anni), la famosa austerity che fu imposta al nostro paese nel 1973, nel corso della quale, allora come oggi, furono penalizzati trasporti, cinema e ristoranti (della serie "il lupo perde il pelo")...
L'Apocalisse nel vero senso del termine è invece un termine che esprime qualcosa di ben più definitivo, come spesso e volentieri ci ha mostrato il cinema di genere catastrofico: dalle estinzioni di massa dovute a enormi meteoriti (i dinosauri, come sappiamo, non si ripresero), alle grandi glaciazioni (nemmeno i mammut si sono più visti in giro), ai continenti che si inabissano nell'arco di un giorno e una notte (gli atlantidei ne sanno qualcosa), fino ad arrivare agli eccessi, finora solo immaginati, delle guerre atomiche, delle invasioni aliene o dei mondi in collisione. C'è solo l'imbarazzo della scelta. Ed è proprio una di queste apocalissi il comun denominatore dei due racconti che costituiscono l'ossatura del primo numero di Lampadedromie, progetto letterario ideato e curato da Lorenzo Nicotra e Fabio Lastrucci, impegnati anche come autori dalle prime uscite della pubblicazione.
La collana aperiodica vara l’attività della casa editrice amatoriale Sidera Errantia, realtà indie che come recita il proprio nome (Stelle vagabonde) intende muoversi su orbite diverse, spaziando tra letteratura, saggistica, fumetto e illustrazione. Il volume 1 accosta una coppia di racconti che condividono gli scenari desolati di due possibili apocalissi, un tema reso purtroppo attuale dalla cronaca, sempre meno lontana dagli incubi della Twilight zone di Rod Sterling.
C'è solo l'imbarazzo della scelta, dicevo poco fa, e dovendo scegliere, se mai potessi scegliere tra una delle tante apocalissi possibili, probabilmente sceglierei una di quelle situazioni nelle quali, a prescindere da quale sia la causa, un uomo di mathesiana memoria rimane l'unico sopravvissuto in una terra disabitata. Ovviamente quell'uomo dovrei essere io, altrimenti cosa lo dico a fare. Sin da quando, ancora bambino, vidi quel famoso film con Chartlon Heston, ho sempre provato a immaginare cosa si possa provare a vivere in una situazione del genere: poter sfrecciare in auto sulle autostrade deserte fregandosene di semafori e divieti, poter prelevare dai supermercati tutto quello che serve senza dover far la fila alla cassa... cose di questo genere. Piaceri effimeri, questo lo so bene, che durano l'intervallo di un momento e poi svaniscono di fronte alle prime difficoltà materiali. Ma è meglio venir vaporizzati all'istante da un raggio cosmico oppure sopravvivere in solitudine cercando di mantenere in vita la fiammella della speranza? È quello che ci si chiede immergendosi nelle "atmosfere rarefatte e quasi oniriche" di “Polvere”, dalla penna di Lorenzo Nicotra.
"E venne il giorno in cui tutta la Terra non fu altro che un deserto arido e piatto, e la solitudine calò assieme al manto afoso che ricopriva il pianeta." è l'incipit. Non ci viene detto altro, ma è giusto così. L'autore fornisce esattamente la giusta quantità di informazioni di cui abbiamo bisogno per comprendere la situazione, senza impantanarci in informazioni inutili.
Due sconosciuti, evidentemente gli unici sopravvissuti, che si trovano a vagare in ciò che resta di un mondo irriconoscibile, hanno perso tutto ciò che li teneva in vita, le illusioni, le speranze, quelle che perlomeno si ostinavano a chiamare così ma in che realtà erano nulla, non significavano nulla. “Vivevo come vivevano tutti. Mi affannavo a perseguire degli obiettivi, creando di volta in volta sempre nuove mete, inseguendo dei progetti che sembravano essere l’essenza stessa della mia vita”. In un mondo morto e svuotato di tutto ciò che era, non rimane che la paura. Sopravvivere è dannatamente difficile, lo è più di quanto si creda. Non è solo una questione di riuscire a soddisfare i bisogni primari, bensì di trovare una motivazione, una nuova illusione da inseguire, non importa se effimera come la fiamma di una candela. Nicotra trova il perfetto equilibrio tra la tristezza e la speranza, tra la tragedia e l'amore più puro. Decisamente il miglior modo possibile per festeggiare la nascita di questa nuova casa editrice.
“Adeus – soliloqui dalla Fine del Mondo” di Fabio Lastrucci racconta invece il sanguigno corpo a corpo di un solitario superstite con ciò che resta della sua città, Napoli. Una fine del mondo che sopraggiunge in un momento particolare: la mezzanotte dell'ultimo dell'anno, istante in cui nel capoluogo campano "l'anno vecchio moriva sotto le raffiche di un mostruoso plotone".
Scelta bizzarra, ma non troppo: non so come sia veramente il Capodanno di Napoli, ma da quello che ne dicono i telegiornali (ai quali negli anni ho imparato a non credere) si direbbe la manifestazione che più di ogni altra si avvicina a una guerra in tempo di pace. La conta dei caduti, o nella migliore delle ipotesi delle dita lasciate sull'asfalto, è sempre stata una delle notizie più "attese" nella prima mattina dell'anno, quasi come se qualcuno facesse una riprovevole gara contro chi, l'anno precedente, aveva stabilito il più macabro dei record. Non so se sia ancora così. Il fatto che io non ne senta più parlare può anche voler dire che non faccio più caso ai telegiornali. Non so nemmeno dire se le strade di Napoli siano davvero il posto più pericoloso dove trascorrere il Capodanno: dal balcone di mio cognato, osservavo quest'anno Quarto Oggiaro andare letteralmente a fuoco, quasi come fosse in atto un attacco missilistico come quello che rase al suolo Baghdad trent'anni fa. "Guardavo Materdei in fiamme, la Sanità che soccombeva al peso delle esplosioni. Le arterie dei quartieri pulsanti di tamburi inferociti. Napoli scompariva sotto un velo da sposa". Ma poi l'ultimo dell'anno rimane alle spalle, e con il passare delle ore (oggi ormai solo dei minuti) tutto si quieta e rimane solo un gran lavoro per chi, alle prime luci dell'alba, dovrà rendere le strade di nuovo presentabili ai cittadini. Perlomeno, finora è sempre andata così. L'Autore partenopeo si immagina invece che, allo scoccare della mezzanotte, "in quel delicato momento di passaggio" avvenga una cosa straordinaria: "un colore rosa accecante si riversò nel cielo". Un caso? Una coincidenza? Oppure solo un macabro scherzo del destino?
Fabio Lastrucci non scrive all'interno di un genere, bensì permette alle sue storie di sfuggire i confini delle convenzioni per diventare qualcosa di intimo e indubbiamente weird. Vere e proprie "cartoline del finimondo", tra riflessioni e tuffi improvvisi nei ricordi dalla nostra giovinezza, “Adeus – soliloqui dalla Fine del Mondo” consolida l'attitudine di Lastrucci nell'avvertire i profondi mutamenti di quest'epoca e nel saper adattarsi ad essi. Senza dubbio una delle penne più sorprendenti di questa generazione.
L’antica tradizione napoletana delle corse con fiaccole, nata nella Magna Grecia, ha dato il nome a "Lampadedromie", collana digitale acquistabile su Amazon, che vede “correre” squadre di due o più autori sulla pista dell’insolito, passandosi il testimone di una torcia con cui affrontare ombre e visioni dell’immaginario weird.
Senza gli affanni e la competizione di una gara, le antologie della collana intendono essere una simbolica staffetta nelle mille sfumature del fantastico, horror, surreale, gotico, grottesco, etc. Agili batterie di racconti dove voci e stili diversi vanno a misurarsi sullo stesso tema o contrappongono dialetticamente i propri mondi, un mélange che le cover originali vogliono evocare omaggiando i surrealistici deliri di Dave Mc Kean.
Il capodanno napoletano non può essere descritto bisgnerebbe esserci, io ti posso dire che nel corso degli anni è molto cambiato. Ti direi che è una guerra come viene descritto nei telegiornali?
RispondiEliminaSi e No.
Il capodanno napoletano è ricco di fuoci d'artificio, il napoletano medio (anche se negli ultimi anni si è molto ristretto il fenomeno) effettivamente spara molti "botti", come li chiamiamo noi, ti posso dire che da bambino mi è capitato anche di vedere un mio vicino di casa che gettò in strada (storia vera come direbbe Cassidy!) un vecchio water! :( Festeggiare con molti fuochi d'artificio viene \veniva considerato un modo per esorcizzare il nuovo anno e per augurarsi che portasse solo cose belle. Girando per i quartieri, già all'inizio del periodo natalizio si possono notare tanti baracchini abusivi di vendita di fuochi. Poi ci sono famiglie come la mia o quella di Venusia che non hanno mai sparato nemmeno un petardo. Anni fa vissi con grande imbarazzo la richiesta di alcuni miei colleghi di lavoro veneti di portargli dei fuochi d'artificio da Napoli, mi rifiutai categoricamente di trasportare esplosivi in treno. E' pericoloso stare nelle strade durante il capodanno?
Anche lì SI e NO, dipende dalle zone e dai quartieri. Comunque come dicevo il fenomeno esiste ma si è molto ristretto nel tempo.
Venendo a Lastrucci, per me si dimostra sempre una garanzia per delle letture di qualità.
A me parevano già abbastanza pericolosi i "raudi" che, quand'ero ragazzino, tutti compravano legalmente in cartoleria. Certo, poi l'uso che se ne faceva era piuttosto discutibile (tipo accenderli e buttarli dentro una bottiglia di vetro) ma per fortuna nessuno si è mai fatto male. Ammetto che in più di un'occasione però mi sono cagato addosso e davvero non capisco come si poteva essere così stupidi.
EliminaLa gente che chiede di portar su roba in treno davvero non la capisco. Io non ti chiederei neanche le mozzarelle, perché so che sono comunque fastidi. Pensa che a me una volta hanno chiesto di portare in treno da Viterbo a Milano due fagiani morti in una borsa frigo. Ho elegantemente rifiutato. Neanche dipinto vorrei viaggiare con quello schifo come bagaglio a mano!
Con un ritardo davvero indecente ringrazio Obs per la bellissima e calzante recensione e anche il caro Nick per le parole di apprezzamento. Sono lieto di avergli ricordato scenari a lui familiari. Napoli resta sempre uno scenario forte per ogni tipo di storia. Lorenzo ed io, ora speriamo di riuscire a bissare la buona accoglienza di questo primo fascicoletto con l'imminente uscita del numero 2. Ancora grazie da parte nostra per l'attenzione e il sostegno!
RispondiEliminaFabio
Non ci sarebbe attenzione e sostegno se non ciò che scrivi (scrivete, in questo caso) non fosse di ottima qualità! Auguro a Lampadedromie una vita lunga e luminosa! Ciao!!
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