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Edogawa Ranpo è bravissimo ad infarcire il romanzo di una innumerevole quantità di autocitazioni. Non solo attribuisce al suo protagonista titoli di romanzi scritti precedentemente dello stesso Ranpo, ma include anche scenari appartenenti ad altri racconti, così dall’ingolosire il lettore alla conoscenza delle altre sue opere. Nel corso la lettura de “La belva nell’ombra” mi sono trovato di fronte ad una scena che ha fatto accendere un vago ricordo nella mia mente: la protagonista, Oyamada Shizuko, mostra a Samukawa una crepa nel soffitto dove qualche giorno prima le apparvero degli occhi feroci che la fissavano (qualli di Shundei introdottosi nel soffitto per spiarla?), Ci ho messo un po’, ma alla fine ho realizzato che una storia simile l’ho addirittura descritta in questo stesso blog qualche mese fa, nel post dedicato a Watcher in the Attic, un cortometraggio guarda caso inspirato ad un racconto di Edogawa Ranpo. Sulle prime ho creduto che, senza farlo apposta, fossi incappato nello stesso lavoro che ha dato vita a Watcher in the Attic, ma la trama nel suo complesso non mi tornava. Rileggendo il mio stesso post, mi sono poi ricordato di aver identificato la fonte di Watcher in the Attic in un racconto intitolato “L’uomo che camminava nei solai”. Quindi la scena descritta qui altro non può essere che una citazione che il nostro ha fatto di se stesso. Geniale, no?
Edogawa Ranpo, in Italia rimasto (ahimè) pressoché sconosciuto, fu un grande ammiratore degli scrittori di gialli occidentali, specialmente di Edgar Allan Poe, dal quale deriva il suo stesso nome (Edogawa Ranpo è infatti proprio la trasposizione fonetica del nome di Poe). Lo stile è molto simile a quello dei giallisti dell'epoca. A me per esempio ricorda molto Sir Arthur Conan Doyle, con il quale condivide la genialità e, se me lo permettete, l'ingenuità dei primi anni del secolo scorso (un lettore sgamato può intuire tutto già dalle prime pagine). Ma non è questa la vera forza de "La bestia nell'ombra" che, lo sottolineo nuovamente, è rappresentata dal disagio forzato nel lettore da un atomosfera carica di mistero, una trama seducente e opprimente, un perverso gioco a incastro dentro cui, nella miglior tradizione mystery, si dipana un indagine dai risvolti inquietanti. Personalmente però ho sempre preferito un altro tipo di giallo. Da ragazzo ho passato parecchie estati a divorare i gialli di Agatha Christie, di Ellery Queen e di Gaston Leroux. La grandezza di Agatha Christie, per esempio, stava nel portare il lettore continuamente fuori strada, sparpargliando tra le pagine una moltitudine di falsi indizi (mai però fuori contesto) e sfidandolo letteralmente a giungere alla soluzione prima del detective. Di questo qui nn c'è traccia. Al limite un vago abbozzo. Ad ogni modo rimando il giudizio completo su Edogawa Ranpo ad un altro momento, a quando avrò attinto almeno un altro paio di volte dalla sterminata produzione di Edogawa Ranpo.
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