martedì 20 novembre 2018

Orizzonti del reale (Pt.17)

Timothy Francis Leary (1920–1996)
LA PRIMA PARTE SI TROVA QUI

È giunto finalmente il momento di tornare a parlare di Timothy Leary, a cui a suo tempo avevo dedicato interamente la quinta e la sesta parte di Orizzonti del Reale. Non sarà facile, dato che si tratta di riprendere il filo di un discorso cominciato nel lontano marzo 2016, e non so se gradirete o storcerete il naso… ma direi che glielo devo, a Leary, a maggior ragione dopo tutto questo tempo, e considerato a quante storture e semplificazioni è sempre stata soggetta la sua figura. 
Molti non hanno ancora deciso se fosse un illuminato o un pazzo, un messia o un ciarlatano; prima di esaminare ancora i suoi scritti proverò quindi a ripercorrere la sua storia. 
Non mi dilungherò sulla prima parte della sua vita. Basti sapere che nacque a Springfield, nel Massachusetts, in una famiglia piuttosto normale, cattolica, e che fu uno studente brillante ma insofferente alla disciplina, con una formazione scolastica piuttosto singolare: dopo il college (una scuola gesuita), su richiesta del padre tentò la carriera militare, ma fu invitato a ritirarsi. (“Il preside della scuola superiore mi guardava calmo. Tu hai sistematicamente ignorato i principi su cui si basa questa scuola. L’imperativo categorico di Kant. Nessuno ha il diritto di fare ciò che, se da tutti fatto, distruggerebbe la società. […] Non voglio più vederti né parlare con te.”)
Alla fine del 1941 si scrisse alla facoltà di psicologia all’Università dell’Alabama, ma venne espulso. La chiamata alle armi fu in un certo senso la sua salvezza, perché gli permise di proseguire la sua formazione scolastica (in qualità di iscritto alla sezione di psicologia del programma di formazione specializzata dell’Esercito, gli si aprirono le porte della Georgetown University e della Ohio State University) e poi di fare tirocinio (era assegnato alla base aerea di Mattydale, vicino a New York, ma trascorse gli ultimi anni di leva operando come psicologo in una clinica di riabilitazione). Erano gli anni del secondo conflitto mondiale, ma al momento del congedo Leary aveva guadagnato il grado di sergente e numerose medaglie senza quasi, in pratica, sparare un colpo: riuscì poi a completare gli studi per corrispondenza e a laurearsi nel 1945, ottenendo il dottorato in psicologia clinica a Berkeley nel 1950. Nel frattempo, si era sposato ed era diventato padre.

Quando cominciò a esercitare, la sua carriera decollò in breve tempo: esercitava presso l'Università della California e presso il Dipartimento di Psicologia del Kaiser Hospital di Oakland, di cui fu il co-fondatore, ma aveva anche una società di consulenza privata e veniva sovvenzionato dal National Institute of Mental Health. La sua vita privata però andava a rotoli e le cose cambiarono drasticamente con il suicidio della moglie Marianne Busch, nel 1955; il secondo matrimonio con Mary Della Cioppa, avvenuto nel 1956, durò appena un anno. Nel 1958 la sovvenzione per la ricerca gli fu revocata e lui si trasferì in Europa con i figli, ma circa un anno dopo si ritrovò in ristrettezze economiche e dovette tornare a casa. Accettò quindi un lavoro a Harvard dove, oltre a operare come docente di psicologia clinica, prestava servizio al Centre for Personality Research (Centro per la Ricerca sulla Personalità), fondato dallo psicologo Morton Prince per indagare l’allargamento della coscienza, riallacciandosi però a una tradizione che in America era nata già negli anni a cavallo del secolo. Come molti psicologi del suo tempo, Leary non era convinto che il classico metodo del colloquio terapeutico con il dottore potesse essere davvero risolutivo per il paziente, ed era interessato alla terapia di gruppo; era deciso a portare a Harvard i metodi esistenziali-transazionali, per via dei quali era già diventato una figura controversa nella zona di Boston molto prima di intraprendere la sua ricerca sulle droghe, quando i suoi progetti sociali lo portavano nei bassifondi o negli orfanotrofi, tra la gente che non poteva permettersi uno psichiatra. 
Transazionale, ne ho già accennato in precedenza, indica che il controllo del dottore/scienziato sull’esperimento viene allentato, nella convinzione che nessuno meglio del paziente può conoscere il proprio disturbo e da cosa si è originato. Il terapeuta è più che altro un osservatore che collabora attivamente per trovare una soluzione al problema, senza però imporre al paziente la sua visione delle cose e il suo titolo professionale. 
“Transazionale significa dare alla ricerca il valore di una rete sociale, di cui lo sperimentatore è una parte. Lo psicologo non si tiene al di fuori degli eventi, ma riconosce la parte che egli vi ha e lavora in collaborazione con il soggetto al fine di giungere a degli scopi mutualmente selezionati.” 
Frank X. Barron (1922-2002)
Per ottenere dei risultati permanenti ci sarebbe voluto, pensava, uno stimolo esterno, qualcosa di così potente da sciogliere le ossessioni emotive dei pazienti. Fu in quel momento che un amico, il Dottor Frank Barron, gli parlò dei funghi. Alcuni studi avevano suggerito che i funghi allucinogeni avessero l’effetto non solo di provocare delle visioni, ma anche di stimolare il pensiero creativo. Il famoso viaggio di Leary a Cuernavaca risale proprio a questo periodo. Nell’agosto del 1960, durante una vacanza in Messico, Leary prese i funghi insieme all’antropologo, storiografo e linguista Gherart Braun; funghi “ipnotizzanti” ’nti si tho, che crescevano sui pendii dei vulcani vicino a Città del Messico, che gli erano stati dati da una vecchia curandera. 
All’epoca, Leary si definiva un razionalista e un umanista che non era più tentato dalle lusinghe del potere, dell’ambizione o del sesso, ma la visione portata dai funghi cambiò totalmente la sua percezione delle cose e in seguito la ricordò come un’esperienza fondamentale, che gli aveva insegnato di più sul cervello umano di tutti i suoi anni di ricerca nel campo della psicologia messi assieme. Broma theon, cibo degli dèi: così definivano i funghi gli antichi greci, e finalmente anche lui ne comprendeva il motivo. 
“La prima volta che vinsi la mente con la droga fu nell’agosto del 1960, a Cuernavaca. Mangiai sette Funghi Sacri del Messico e scoprii che la bellezza, la rivelazione, la sensualità, la storia cellulare del passato, Dio, il Demonio, tutto, si trovava dentro il mio corpo, fuori della mia mente.” 
Tornato a casa, quell’autunno, Leary fu informato del fatto che la casa farmaceutica svizzera Sandoz aveva sintetizzato il principio attivo della psilocibina. Ottenuta una partita di pillole, ideò degli esperimenti allo scopo di verificarne l’effetto sulla creatività, ottenendo consigli da parte di personalità come lo scrittore Aldous Huxley e il poeta Allen Ginsberg: i soggetti erano membri del suo staff e alcuni studenti laureati. Era il nucleo di quello che sarebbe diventato l’Harvard Psychedelic Project, ovvero il Progetto sugli Psichedelici di Harvard o, più semplicemente, Progetto Psilocibina, che suscitò da subito l’interesse dei più importanti esponenti del movimento psichedelico. Molti premevano perché la ricerca ottenesse un’approvazione medica e ufficiale, anche grazie all’autorevolezza garantita dal nome di Harvard, ma le cose non andarono come sperato e, nel 1963, Leary fu licenziato. 
A quel tempo gli psichedelici non erano ancora stati dichiarati illegali, ma il successo che riscontravano fra gli studenti e i membri della facoltà, così come il crescente interesse generale per le filosofie orientali, cominciava a preoccupare i vertici accademici, e non solo. Ma che cos’altro avvenne nell’arco di soli tre anni da cambiare così radicalmente il corso delle cose, e da trasformare un rispettato e ben pagato professionista nell’uomo più amato e insieme più odiato d’America? 

10 commenti:

  1. Ah, ma ti interrompi proprio sul più bello??? Crudele! ^_^

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  2. Trovare le risposte dentro se stesso è un principio che mi ha sempre interessato, anche se io l'ho scoperto tramite lo studio dello zen che contempla solo la meditazione. Mi incuriosisce questo approccio simile ma tramite l'aiuto di prodotti allucinogeni.

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    1. Molti credono che gli allucinogeni non siano altro che una “scappatoia” utilizzata dalle persone troppo pigre per meditare, ma è possibile invece che la meditazione, semplicemente, non sia adatta a tutti. Questa perlomeno è la mia opinione.

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  3. Curioso che Castaneda abbia iniziato a sperimentare con i funghi allucinogeni nella stesso anno 1960 e forse chissà anche nello stesso mese (che adesso non ricordo con precisione). Ma non mi risulta che si conoscessero.

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    1. Credo anch’io che non si conoscessero, o quantomeno, negli anni non ho mai avuto evidenza del contrario. Forse esiste qualche ‘forza’ cosmica che decide che i tempi sono maturi perché si verifichino certe coincidenze…

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  4. Sono felicissimo di questa nuova puntata di Orizzonti del Reale (il mio "format" preferito su Obsidian Mirror), talmente felice che te lo dico prima ancora di aver letto l'articolo! :)
    ...che ora vado a leggere.
    Un caro saluto

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    1. Non posso che iniziare a ringraziarti per la fiducia, allora!

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