venerdì 30 maggio 2025

Mystics in Bali: tra mito e frattaglie volanti

Sono passati quasi dieci anni dallo speciale thailandese “Bangkok Haunted” e ancora sono convinto si tratti di una delle cose migliori che abbia mai pubblicato qui sul blog. E non parlo di scrittura (non ho mai pensato di scrivere particolarmente bene), ma del fatto che credo di aver tratto il massimo dal poco materiale cinematografico a mia disposizione (come scrissi allora, “il cinema tailandese è molto restio a rivelarsi per intero.”). 
All’epoca avrei voluto proseguire nell’esplorazione del cinema folk horror del sudest asiatico, ma avevo sempre altro da fare e, semplicemente, la cosa mi è passata di mente, riaffiorando solo nei momenti meno opportuni. Faccio ammenda con questo timido tentativo, partendo da un film indonesiano che omaggia la figura che all’epoca più di tutte aveva colpito la mia immaginazione: Leyak/Leak, detta anche Palasik o Kuyang (il nome varia nei tre principali gruppi etnici del paese e anche la grafia a volte cambia, benché l’indonesiano usi in gran parte l’alfabeto latino). Leyak altro non è che l’equivalente della thailandese Krasue, un essere che si presenta sotto forma di una testa femminile con appese delle interiora sanguinanti che vaga di notte alla perenne ricerca di donne incinte per succhiare il sangue dei feti o dei neonati (vedi qui). Queste premesse sul folklore sono necessarie, altrimenti lo spettatore che fosse del tutto a digiuno di questi temi rimarrebbe spiazzato e finirebbe per capire ben poco di quello che sta guardando. 

venerdì 23 maggio 2025

Viviane Élisabeth Fauville

In una stanza disperatamente vuota una donna culla su una sedia a dondolo una bambina di pochi mesi. Ha l’impressione di avere commesso qualcosa di terribile, ma non ne è certa, tutti i suoi ricordi sono sfocati. Contempla la piccola quasi si aspettasse da lei una risposta, una rivelazione. Poi, un bagliore: ha quarantadue anni, ha abbandonato il bel marito che l’ha lasciata per un’altra e si è rintanata lì, in un appartamento spoglio, in un quartiere dov’è una straniera. Il giorno prima ha ucciso a coltellate il suo analista, incapace di alleviare le crisi di terrore di cui soffre, in segreto, da tre anni. Di quel che è stata – ambiziosa direttrice della comunicazione, moglie e figlia devota – non le resta che un nome, Viviane Élisabeth Fauville, regale e fragile relitto di un’esistenza inappuntabile, della scrupolosa obbedienza alle leggi dell’abitudine e della necessità. Certa solo del delitto che ha commesso, e del colpo di grazia che non potrà tardare, Viviane esce dai binari che guidavano il suo destino, si addentra in una Parigi oscura e parallela, affonda in un gorgo di insostenibile angoscia – sino all’esplosivo epilogo.

venerdì 16 maggio 2025

Possibly in Michigan

Quello che andiamo ad analizzare oggi è un perfetto esempio di "horror analogico", o analog horror, un sottogenere dell'horror di cui ignoravo l'esistenza sino a poco tempo fa, ma che ho scoperto avere una larga schiera di estimatori. No, in realtà non è esatto dire che non lo conoscevo; diciamo piuttosto che ignoravo fosse mai stato classificato come un genere a se stante. Di cosa si tratta? Semplicemente di un'opera che si basa sull'idea che la tecnologia analogica possa essere utilizzata per catturare eventi paranormali o soprannaturali, creando un'atmosfera di mistero e terrore. Nel contempo, e per quanto mi riguarda è la cosa più interessante, nonostante il mistero e il richiamo alla metafisica si tratta di una tecnica cinematografica che fa leva su timori fin troppo reali e concreti, come quello di essere osservati senza saperlo oppure di poter perdere la percezione di cosa è reale e cosa non lo è.
Sebbene il formato più comune dell'horror analogico sia quello del cortometraggio (e quindi pensato per un pubblico di nicchia), non mancano esempi in cui i media analogici possono ritagliarsi, in una sorta di metacinema, uno spazio all'interno di film veri e propri, spesso riuscendo a diventare l'elemento centrale della trama. È il caso della videocassetta maledetta di "The Ring", che è un perfetto esempio di come la tecnologia analogica possa essere utilizzata per creare un'atmosfera ansiogena, o di quei lungometraggi che utilizzano la forma del "found footage", quali "The Blair Witch Project" (1999), "V/H/S" (2012), "Paranormal Activity" (2007), "The Last Broadcast" (1998) o "Grave Encounters" (2011). 

venerdì 9 maggio 2025

Upa

Gianni, divorziato e senza soldi, si ritrova a dover convivere con un padre che non ama, proprio mentre quest’ultimo sta sviluppando i primi sintomi dell'Alzheimer. Quando il padre inizia a parlare di una figura invisibile che è entrata in casa sua con l’inganno, lo tormenta ogni notte, e gli pone domande sempre più atroci, tutti considerano le sue visioni come semplici allucinazioni dovute alla malattia. Ma con il passare dei giorni strane e inquietanti manifestazioni iniziano a verificarsi. Con l’emergere di ombre misteriose nella loro vita, Gianni è costretto ad affrontare un angosciante interrogativo: e se suo padre avesse ragione?

Il titolo è intrigante quanto basta: una sola parola di tre lettere che inizialmente non dice nulla, ma che potrebbe portare ovunque. Poi c'è la grafica di copertina che, seppur palesemente realizzata da un'intelligenza artificiale (sono tempi duri, questi, per gli illustratori in carne e ossa), fa davvero paura. E lo dico nel senso buono del termine: quegli occhi bianchi e quella bocca irragionevolmente spalancata trasmettono un orrore che, come promette il sottotitolo, dovrebbe essere interiore piuttosto che il contrario.

venerdì 2 maggio 2025

The Lady in the Sea of Blood

Non so nemmeno perché mi sto mettendo a scrivere di ‘sta roba. Forse solo perché ho un post da pubblicare oggi, e non avendo nulla di pronto scrivo qualcosa che richiede il minimo impegno; conto infatti di scrivere questo post in una decina di minuti, considerato che non mi occorre nemmeno perdere tempo con il film in oggetto, talmente superflua ne è la visione. 
In realtà qualche minuto ce lo persi qualche tempo fa, ma lo feci in maniera smart. Detto in altri termini, un cortometraggio di trenta minuti scarsi guardato ai tempi con velocità 8x (ma a posteriori avrei potuto osare anche di più) mi ha rubato giusto il tempo di un caffè espresso, ed è esattamente il tempo che ho sacrificato io. 
Partiamo dal titolo, “The Lady in the Sea of Blood” (血の海の美女), che riassume perfettamente il contenuto di questa assurda creazione: c’è appunto una donna e c’è un mare di sangue. Sarebbe bastato che nel titolo il regista avesse aggiunto “in the bathroom”, specificando appunto l’ambiente dove si svolge l’intera vicenda, e non ci sarebbe stato più nulla da spoilerare. 
La locandina è quanto di più truculento un essere umano possa concepire, e ammetto di essere stato combattuto fino all’ultimo sul fatto di postarla qui sul blog oppure andarci giù pesante con la censura. Alla fine ho optato per lasciarla così com’è (nessuna censura da queste parti), ma credo che dovrò trovare una soluzione diversa quando (e se) deciderò di spammare l’esistenza di questo post sui social.  
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