lunedì 10 settembre 2012

Nevermore (Pt.2)

Continua oggi la nostra esplorazione dell'universo Nevermore, iniziata il mese scorso. Per chi se la fosse persa, la prima parte di questo post è disponibile qui. Dopo “Dreaming…” venne “Dead Heart in a Dead World”. Era ormai il 2000. Per molti questo disco rappresenta il picco creativo della band; io non sono del tutto d’accordo, ma ammetto che si tratta una pietra miliare della loro discografia. Sicuramente si tratta del loro disco più melodico e “radiofonico”, se mi permettete l’azzardo; e include anche una cover di “The sound of silence” di Simon e Garfunkel, ma così stravolta da sembrare una vera e propria canzone dei Nevermore. Anche in “Dead heart…” le tematiche più prettamente filosofiche si mischiano a quelle politiche e ad amare osservazioni sulla realtà e sulle (mancate) qualità intrinseche dell’umanità. In tal senso, il titolo del disco è abbastanza esplicativo… "How did it come to this, Narcosynthesis" (Narcosynthesis) Il disco si apre subito con una decisa presa di posizione contro la nostra società (la narcosintesi, o narco-ipnosi, consiste nell’uso psichiatrico di sostanze stupefacenti, in genere scopolamina o barbiturici, combinate con tecniche di ipnosi, per curare disturbi da stress post-traumatico, ma anche casi di schizofrenia ed ossessione. L’efficacia di tale pratica è ancora dibattuta, per non parlare dei suoi aspetti etici).

"Within the dark communion of self awareness / There lies a void called ego / An endless fusion of stillness and chaos / To bring its death can bring rebirth" (We disintegrate). In questo brano Dane propone un concetto molto caro a Leary, quello del potere dell’ego. Il nostro ego sociale è infinitamente meno importante del nostro ego “atomico”, ma possiede l’inquietante potere di offuscarlo, ed è solo mettendolo da parte che il nostro risveglio è possibile. La canzone prosegue su questo tono, come un inno alla libertà… della mente: "I want to change the lines / And purify the divide / Are we ever free or slaves to technology?".

"Inside four walls, inside four walls my friend / They took away your freedom / And the pigs still preach their lies / Inside four walls, inside four walls my friend / They took away your freedom / But they'll never take your mind" (Inside four walls) Questi sono versi di protesta contro l’ipocrita sistema giuridico americano, che ha condannato un suo amico ad una lunga detenzione per possesso di stupefacenti, benché fossero destinati all’uso personale, mentre infligge pene molto meno severe a chi si macchia di crimini violenti.
“And one by one we crawl, and two by two / Into the mouth of madness, we seek the perfect view” (Evolution 169)
"The three will fall / Save us from the flood / Washed away we drown […] In the mass destruction the bringer shows his form / Technology the beast /The seventh crown” (The river dragon) La canzone è un ammonimento contro i pericoli insiti nella tecnologia, scritta in un linguaggio (ironico?) di sapore biblico.
"The sheep are made to follow / Choke back the puke and swallow / The sheep are told to divide / The engines of hate still grind" (Engines Of Hate)
"And I still believe in nothing / Will we ever see the shape of tomorrow? / Into the empty storm, into the formless loss of hope, Where we can forget the game" (Believe In Nothing) Ancora terminologia cara a Leary… ma siamo ben lontani dalla sua idea di “rivoluzione” non violenta:
"Burn your gods and kill the king / Subjugate your suffering / Dead heart in a dead world" (Dead heart in a dead world)

Personalmente amo molto “Enemies of Reality”, il successivo disco datato 2003: questo è in assoluto il mio album preferito insieme a “Dreaming Neon Black”. I Nevermore lo fecero rimasterizzare nel 2004 perché non erano soddisfatti del risultato originale, e in effetti dopo il “restauro” i brani ci hanno guadagnato decisamente in potenza, e non solo. Tuttavia io avevo apprezzato parecchio anche la prima versione, e questo la dice lunga sulle mie competenze musicali. Seriamente, per me conta molto di più l’aspetto emozionale di un disco piuttosto che la perfezione tecnica, e l’emozione nella prima versione c’era già tutta.

All’epoca Dane affermò che il titolo dell’album gli era stato ispirato dalla visione del film “eXistenZ” di David Cronenberg, cosa che gli consentiva di fornire un indizio su come interpretare le liriche in esso contenute senza doverle spiegare esplicitamente, com’è da sempre sua abitudine… In “Enemies of Reality” i testi, se possibile, sono più critici e disincantati che in precedenza, ma sembrano anche una sorta di esortazione, di mantra. Che fosse un più maturo tentativo di Dane di provocare quel cambiamento nella realtà attorno a sé che Leary si auspicava?
“Open wide and eat the worms of the enemy / We are the enemies of reality, in a world that's unforgiving / Open wide, eat the words, become what you most fear” (Enemies of Reality) La realtà, ciò che chiamiamo comunemente vita, è un’illusione e Dane ci invita a prenderne coscienza. Il concetto viene ribadito anche nel brano seguente: "The sun in my hand becomes my despair / For I still want the truth / Play the fool so ignorant, deception is the game / Bleeding hearts and soiled minds / Reflect the state of our being" (Ambivalent). Quel “bleeding” messo lì, prima di “our being”, sembra l’ammissione che si tratti di una missione molto difficile anche per lo stesso Dane...
Segue un’ennesima critica alla televisione e, per esteso, ai mezzi di comunicazione di massa e alla tecnologia: “Scrape the pain off of my lips and watch our lives unwind / When I am in the camera eye self-immolation can never purify” (Never purify)
Dane afferma molto chiaramente qual è la strada che ha deciso di percorrere: egli è un viaggiatore (della conoscenza) ed esorta anche il resto dell’umanità a seguirlo nel suo viaggio, pur continuando in fondo a disprezzarla: "If you live life draped in sorrow / You will destroy the path we follow / Take my hand and walk in wonder / The patterns spin in random order / In observation, I analyze / All the aspects of humanity that I despise” (I, Voyager)

I restanti brani non sono meno interessanti. “What are we but men without eyes? / Swimming through the poison of design […] Create the infinite and expand the question / Count to number seven / Your day of rest creates infection, your imperfection” (Create The Infinite, con affettuosa dedica al cristianesimo annessa… Per lui, la religione è una farsa.)
“There is no stronger drug than reality / Twist and change, time is nothing, regret everything” (Noumenon, il noumeno di Platone e, soprattutto, di Kant. Questa canzone è una sorta di “riassunto” di una serie di concetti espressi ed ampliati in altri brani)
"We are cold when we are strong / In one breath we can still grow / These curious moments of shattered clarity / Stained sentient portraits of our damaged sanity" (Seed Awakening)

Ho scelto alcuni dei versi per me più rappresentativi, ma avrei potuto sceglierne altri e il risultato sarebbe stato il medesimo. È impossibile descrivere come le liriche di questo disco siano complesse, e di come rimandino l’una all’altra in una sorta di infinita spirale…
Fondamentalmente, quella di Dane è un’esortazione ad abbandonare il “gioco”, quella che noi riteniamo la realtà e che invece è una visione distorta del reale, inficiata da una morale ipocrita; ma, allo stesso tempo, egli dubita che i tempi siano maturi per questo, e difatti la sua critica all’umanità è qui più aspra che mai (i mezzi di comunicazione di massa, la religione… tutto cade sotto la sua falce). Forse sente intimamente che il fascino della “realtà” è ancora troppo forte, e sono pochi coloro che hanno il coraggio di distaccarsene; il suo stesso stato mentale continua ad oscillare fra ottimismo e pessimismo. Il brano che forse più di ogni altro riconduce alla passata produzione è "Seed Awakening": il seme a cui si fa riferimento sarebbe l’idea di Leary dell’illuminazione come primo passo verso un cambiamento effettivo della nostra esistenza quotidiana, con impatti sul mondo intero e sulla realtà certamente positivi, ma che in tutta onestà è molto difficile poter quantificare.

Il passo successivo fu “This Godless Endeavor”, del 2005. Altro disco notevole. Nei testi Dane si autocita, aggiungendo tasselli al suo rompicapo. Tematicamente le canzoni sono tutte pregne di significato e l’inizio è col botto: in "Born" Dane parla ancora di un seme, ma non si tratta di quello del disco precedente, bensì l’antitetico seme dell’ignoranza (“The seed of ignorance is born”), ovvero la conseguenza della spiritualità fallata dell’umanità (“No solution, the retribution of spiritual sickness begins”) che si diffonde nella totale indifferenza ed anzi con la connivenza dell’autorità religiosa. Nella seconda traccia, "Final Product", Dane parla del (nostro) prodotto finale, ovvero “a world in slow decay”, prosegue rimarcando “I'm told that all your seeds are black” e affermando che in molti (incluso lui, ci potrei scommettere…) sono nell’attesa di un “impending Armageddon” che è “inevitable and waiting”. In "My acid words" sembra che Dane esprima la frustrazione per una verità che sembra a portata di mano, ma che in realtà continua a sfuggire: “I've tried to reach the highest point of vision and my dreams appear fulfilled / But held before my eyes is a vision that now lies / Forever searching for the purpose are we running out of time”. Dane si dispera perché, come quelli di Cassandra, i suoi ammonimenti continuano a cadere a vuoto: “When I'm dead will you remember all the things I've tried to say? / This cancer inside of me destroying my life, when I rot in the ground will you care? / The sands of time are pointless in a useless ugly world / Nothing brings peace of mind, I leave nothing behind if my words are left unheard” e così non gli resta altro da fare che restare a guardare il “downgrade” di questo nostro mondo… In "Bittersweet Feast" egli ci ammonisce che “a war on freewill is coming” e “the holocaust of thought is dawning”… e divide l’umanità in categorie “animalesche“: the sheep, the pig, the lizards…

"Sentient 6" è l’ideale proseguimento di "The learning", il pezzo che concludeva "The Politics of Ecstasy”. Se "The learning" narrava di una macchina che diventa autoconsapevole emulando le “macchine di carne”, "Sentient 6" va oltre e ci mostra quella stessa macchina maturare odio e infine ribellarsi al suo creatore e suo Dio, l’uomo.
Sequence activate, trip the hammer to eradicate, I must eliminate / I will spread swift justice on their land / Termination imminent, cleanse the parasite insects, the heathens / I am the bringer of the end of time for man / I am not here, I am not far away / I am not here, I will eradicate mankind into the nothingness from whence they came”. Poiché l’uomo ha costruito le macchine a sua immagine, è destinato a perire per causa dei difetti congeniti che gli ha tramandato, tra cui la radice di tutti i mali, l’invidia: “I long to be more than a machine”. Ma mentre l’uomo che non crede in Dio si limita generalmente ad ignorarlo, nell’ipotetico futuro che Dane immagina le macchine senzienti percepiranno gli uomini come “parasite insects” che infestano la terra e come tali li rinnegheranno e distruggeranno. “Terminator” docet…

"Medicated nation", come "Narcosynthesis" in precedenza, è una critica alla società moderna in cui puntualmente si verifica un vero e proprio abuso di psicofarmaci: “All you feel and all you do, the medication controls you”. La tesi di Dane (e di Leary) è che bisogna effettuare un netto distinguo tra le sostanze che obnubilano la mentre e causano problemi fisici e dipendenza (come barbiturici, ansiolitici ecc.) e quelle psichedeliche, che invece sono in grado di permettere l’accesso agli stati di coscienza superiori; senza contare che le prime, contrariamente alle seconde, in genere sono legali e alla portata di tutti.
"The Psalm Of Lydia", come "This Godless Endeavor", è scritta con un linguaggio dalle molte reminescenze bibliche, ma è la seconda canzone, soprattutto, che assomiglia ad una parabola, il che in un certo senso è divertente: per essere uno che disprezza la religione, Dane dimostra una notevole attitudine predicatoria…
"When I blacked out in the winter months of Capricorn / I had a strange dream that I lived a thousand winter's gone / A thousand winter's faded gray and shuttered by the wind / To tell the tale of Lydia, her legacy begins uprising / Unveiling the absurdity in the tragedy of man / And it's hero the all seeing worm"

"A Future Uncertain" riprende in maniera più che mai evidente le tematiche di “Enemies of Reality”, e di "Seed Awakening" in particolare, a partire dall’esortazione iniziale “Let the seed awakening begin again”, ma le rende in un certo senso ancora più stranianti: “As we face the bleak horizon under crushing skies / The truth belying a future uncertain and dark / We are but one small race, all wear a human face / Yet our image is imperfect and flawed”, approfittandone per dipingere nuovamente il suo apocalittico scenario: “The end to this winding road, extinction of our race / If we all are to survive, there must come great change / I foresee the future, I see the coming plague”. I versi finali “Don't waste your life on worthless hate and contradiction” sono un’ennesima esortazione all’umanità, ma che siano riferiti anche a se stesso?
Chiude il disco "This Godless Endeavor". “We contemplate oblivion as we resonate our dissonance / In godless random interpretation / The universe still expands, mankind still can't understand / How to define you, so hide your face and watch us exterminate ourselves over you / Welcome to the end my friend, the sky has opened” Questo verso contiene una parola che trovo molto azzeccata, ed è dissonanza: è un vocabolo che dà molto su cui meditare, semmai i pezzi precedenti non avessero fornito abbastanza spunti.

Ci vollero ben cinque anni perché i Nevermore pubblicassero “The Obsidian Conspiracy”, quello che poi si sarebbe rivelato il loro ultimo disco. Sono passati due anni e mi sembra già un’eternità. Non posso credere che non ci saranno altri dischi dei Nevermore nella formazione storica!!
Per fortuna, nell’attesa Jeff Loomis e Warrell Dane pubblicarono i loro primi lavori solisti (rispettivamente “Zero Order Phase” nel 2007 e “Praises to the War Machine” nel 2008) e questo in parte servì a mitigare la “fame” da Nevermore.
Quando poi “The Obsidian Conspiracy” uscì stranamente non provai quella gioia che mi sarei aspettato. Per qualche ragione, questo disco è quello che ho ascoltato di meno, quello che sento meno “mio”. Sarà perché durante il lungo silenzio discografico dei Nevermore in gruppo è stato più volte (e profeticamente) dato per defunto, o perché per me aveva già raggiunto la perfezione in precedenza ma, a dispetto della sua innegabile qualità, raramente ho voglia di ascoltarlo. Devo dire però che in quei momenti il disco si piazza nel mio lettore CD per settimane e fatica ad uscirne…

Concettualmente, penso che con questo lavoro non vengano proposte grosse novità; i temi sono gli stessi a cui Dane ci abituati, ma comunque (mi pare) siamo di fronte ad un autore più maturo, capace di calibrare meglio i momenti di rabbia e di calma, alternando ai violenti proclami (la maggior parte) piccole gemme di pura poesia. Leggendo i testi, in effetti, mi è parso subito che alcune liriche fossero meno dirette, ma piuttosto assestate al limite del suggerito; come leggere pennellate in un affresco, che non aggiungono particolari significativi alla scena rappresentata, ma soltanto delle note di colore. Solo che il colore predominante qui è il grigio virato al nero…
"Feel the hook pulled by the system slave" (The Termination Proclamation)
"Sit upon your poison throne you little drone / Make your plans and shift your dreams /And smash them all to hell" (Your poison throne)
"And the Maiden spoke / Inside my shattered dreams / As if her soul was gone / She spoke of the land beyond" (And the Maiden spoke)
"The world is still a spinning ball of confusion / That no one understands" (Emptiness unobstructed)
"What have we become, the damage remains and cannot be undone" (The Blue Marble And The New Soul)
"Without morals we wither / We might as well be gone / I believe in the other world / We cannot right our wrongs" (Without morals)
"Blame the world or blame yourself / Or just accept what cannot change" (The Day You Built The Wall)
She comes to me in waves of shock until I'm drained / I accept her orders, I accept her pain / Until tomorrow, follow the sun / Until tomorrow, she comes in colors” (She comes in colors)
Credo che con gli anni Dane sia stato in grado di creare un proprio linguaggio ben riconoscibile. Sebbene molte delle sue idee siano mutuate dai testi di Leary, sarebbe ingeneroso dire che non vi ha aggiunto nulla. Soprattutto negli ultimi tre dischi, vedo un personalissimo simbolismo permeare i suoi concetti. Anche i testi hanno un aspetto nuovo: sono piccole parabole. Finalmente, sono poesia.

Giunto a questo punto, farò giusto qualche altra considerazione prima di tirare le somme.
Come potete immaginare, ciò che mi ha da subito intrigato di “The Obsidian Conspiracy” è il titolo. L’ossidiana, come tutte le pietre, ha un preciso significato e – ci si creda o meno – è la pietra della consapevolezza e dell’evoluzione. In cristalloterapia – e in misura ancora maggiore nel processo iniziatico – è utile alle persone troppo (o troppo poco) concrete, razionali a (ri)trovare chiarezza interiore, equilibrio e armonia attraverso la purificazione dell'ego. Solo tramite l’abbattimento dell'ego, infatti, è possibile progredire nello sviluppo della coscienza, che altrimenti risulta inesorabilmente offuscata dalla presenza di illusioni, desideri e obiettivi impossibili, ma anche paura ed egoismo. L’ossidiana è una sorta di “specchio” che riflette la nostra interiorità e ci rimanda una visione amplificata dei suoi difetti, delle verità e dei ricordi sepolti nel nostro inconscio e avvolti dall’oblio, delle emozioni represse, delle paure e dei tabù, della rabbia. L’ossidiana, ispirandoci a modificare i nostri abituali schemi di comportamento, ci aiuta a rimuovere i nostri blocchi interiori. Spesso questo processo non è indolore, perché la pietra può accentuare gli aspetti negativi della nostra personalità, ma ciò non deve spaventare, perché è soltanto attraverso la presa di coscienza del nostro lato oscuro che possiamo sperare di superarlo. Una volta però che intraprendiamo un tale percorso e lo portiamo a termine nulla può più farci paura, neanche la morte.

Alla luce di tutto ciò, che messaggio intendeva trasmetterci Dane intitolando questo disco “The Obsidian Conspiracy”? Se in “This Godless Endeavor” Dane cantava “we are the enemies of reality”, ma anche parallelamente “I am not your saviour”, in “The Obsidian Conspiracy” egli si spinge oltre affermando “the obsidian conspiracy is rising”. I Cospiratori sono quindi un’evoluzione dei Nemici?

C’è una cosa però che ancora mi sconcerta, ed è qualcosa a cui ho già accennato nella prima parte di questo post: le premesse da cui Dane parte sono le stesse di Leary, ma i due approdano a lidi completamente diversi. Questo di per sé non sarebbe un male, se Dane stesso non sembrasse solo ai primi passi della sua evoluzione spirituale… E qui la domanda sorge spontanea: come può una persona tanto intelligente e colta, che da sempre cerca di stimolare negli altri l’autoconsapevolezza, essere egli stesso incapace di compiere il passo necessario verso l’illuminazione? Per Leary, raggiungere l’estasi (indipendentemente da come) era solo il primo passo cui deve seguire un profondo cambiamento del proprio modo di vivere. L’uno senza l’altro è sterile. Ed è in questo senso che l’essere umano Warrel Dane sembra “vedere la luce” ancora da molto, troppo lontano. Il suo animo sembra intrappolato nelle sue emozioni (come spiegare altrimenti i suoi testi così rabbiosi?). E come Leary c’insegna, le emozioni sono la forma più bassa di consapevolezza. A parte il fatto, niente affatto trascurabile, che lo stesso stile di vita di Dane non mi sembra consono al ruolo di moderno sciamano (non dimentichiamo che per lungo tempo ha avuto seri problemi di alcolismo, anche se ora paiono superati). Per uscire da questo circolo vizioso non posso far altro che concedergli il beneficio del dubbio e pensare che, nella sua critica all’umana natura, egli includa implicitamente anche se stesso. D’altronde, se i Nevermore come gruppo sono morti e sepolti, questi fantastici musicisti hanno ancora una lunga carriera davanti a sé e, mi auguro, potranno darci ancora molto. E Dane, ad appena 43 anni, è ancora abbastanza giovane per decidere che direzione prendere, e mantenere, prima che il suo viaggio terreno si concluda.
Per concludere vorrei sottolineare che, se le canzoni dei Nevermore sono un concentrato di frustrazione e rabbia, questi però sono ingredienti base di gran parte del metal. Questo dunque fa di me - e di tutti i fruitori di questo genere di musica – una persona che non potrà mai arrivare all’illuminazione? Non necessariamente (dico io, l’ottimista), purché aldilà delle “pose” si sia disposti ad operare un cambiamento radicale di sé e della propria concezione della realtà. Perlomeno questa è la mia speranza, nonché mio personale “godless endeavor”.

4 commenti:

  1. Con questa seconda parte hai confermato il mio interesse. Naturalmente non ho ancora ascoltato nulla, ma ho qualcosa lì che attende. Nel bene e nel male, sarà "“Dead Heart in a Dead World".

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    1. Mi fa davvero piacere, e soprattutto spero che il CD ti piaccia. Mi rendo conto che non è musica per tutti… Per il resto, non ho certo la pretesa di aver sviscerato tutte le tematiche dei Nevermore, sia per motivi di spazio, sia perché solo l’autore può sapere con precisione quanti e quali riferimenti ha messo nei suoi testi…

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    2. Ti dirò, mi piace a tal punto che ti ho incluso in un dannato meme. Non volermene.

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