Due sono le figure che la protagonista sceglie di tatuare sul proprio corpo nel romanzo “Serpenti e piercing”, recensito su questo blog pochi giorni fa: uno è il Qilin, ovvero l’unicorno della mitologia cinese, l’altro è un enorme drago senza occhi. Approfondire entrambe le figure, incredibilmente affascinanti, è lo scopo del post di oggi. Ma prima di tutto: voi credete alle coincidenze? Qualche mese fa stavo trascorrendo qualche giorno di vacanza in Giappone quando, complice una pioggia torrenziale, decisi di trovare rifugio per qualche ora nelle sale del museo nazionale di Tokyo. In particolare, uno degli ambienti situati proprio vicino all’ingresso non mancò di attirare la mia attenzione, in quanto dedicato ad uno strano essere dal bizzarro nome di Qilin, che avevo visto molte altre volte ma di cui non conoscevo il nome. Scattai le fotografie che vedete qui attorno, a corredo del testo, con il pensiero ad un eventuale post che, ne ero certo, prima o poi ne sarebbe scaturito. Passò il tempo e, come spesso succede, coinvolto in mille progetti, me ne dimenticai. Poi ecco “Serpenti e piercing”, ed ecco il Qilin che ritorna. Un post a questo punto è quasi d’obbligo.
Quella dell’"unicorno cinese" è una delle numerose leggende che il Giappone ha preso a prestito dalla Cina, anche se a dire il vero è diffusa con numerose varianti un po’ in tutti i paesi dell’estremo oriente. Questa creatura, nota in cinese come Qilin (麒麟), viene chiamata dai giapponesi Kirin (きりん) proprio come la comune giraffa, forse perché come lei è erbivora e tendenzialmente mansueta, tanto che si dice che per via delle zampe lunghe e sottili riesca addirittura a "camminare sull'erba senza disturbarla" (immagine molto buddista, non è vero? Eppure all'incapacità del Qilin di calpestare esseri viventi molti associano l'origine dell’antica pratica cinese di fasciare i piedi delle donne…).
Il nome Qilin si fa derivare da “Geri”, la parola somala per giraffa e in effetti l’identificazione del Qilin con la giraffa sembra sia dovuta a Zheng He, l’artista di corte che ne diede una famosa rappresentazione nel dipinto “Qilin Brings Serenity (rui) Ode" del 1414… Zheng He, che girovagò per l’Africa orientale partendo dal territorio dell’attuale Somalia, e riportò in patria come “souvenir” due esemplari di giraffa, che furono denominati appunto Qilin. All’epoca della dinastia Ming l'imperatore proclamò le giraffe creature magiche, la cui cattura aveva segnato la grandezza della sua potenza. Da allora il Qilin venne quasi sempre raffigurato come una giraffa stilizzata.
Fisicamente, però, se si eccettuano le corna il Qilin del folclore somiglia solo vagamente al ruminante africano (per esempio, il suo collo è molto più corto). Alcune descrizioni ce ne parlano come di una sorta di unicorno, motivo per cui in occidente è conosciuto appunto come "unicorno cinese", altre invece come di un essere dalla testa di drago e il corpo di tigre interamente ricoperto di scaglie; altre descrizioni ancora accennano a una creatura con zoccoli da cavallo, un solo corno sulla fronte, una coda da bue e il corpo di un cervo. L'arte giapponese lo rappresenta spesso più simile a un cervo rispetto all’arte cinese, ma non mancano esempi di dipinti in cui è raffigurato come un drago a forma di cervo e altre variazioni sul tema.
In letteratura il Qilin comparve per la prima volta nell’opera “Zuo Zhuan” o “Tso Zhuan (左傳), denominata anche “Chunqiu Zuo Zhuan” , "Cronaca di Zuo” o “Commentario di Zuo”. Del V secolo a.C., si tratta di uno dei più antichi testi cinesi di narrativa storica in prosa e si riferisce ad eventi relativi ad un arco temporale di 254 anni (dal 722 al 468 a.C.): non è chiaro se si tratti di un’opera autonoma o se sia un commento agli Annali delle Primavere e degli Autunni (era Chunqiu) da attribuirsi a Zuo Qiuming. In seguito il Qilin apparve in molte altre opere cinesi sia storiche sia d’invenzione, ma fu reso celebre soprattutto dalle rappresentazioni pittoriche.
Nonostante il suo aspetto inquietante, si dice che il Qilin compaia per accompagnare o per annunciare la venuta o il passaggio di un saggio, di un sovrano o di altra personalità illustre, e sarebbe quindi di buon auspicio: secondo il mito lo si potrebbe avvistare solo nelle zone governate da un regnante saggio e benevolo. Sempre secondo il mito, la stessa nascita di Confucio fu predetta dall'arrivo di un Qilin…
Il Qilin, oltre a camminare sulle acque, può volare, sputare fiamme dalle fauci ed esercitare svariati altri poteri magici. Normalmente non usa questi poteri, perché nonostante il suo aspetto inquietante ha una natura pacifica, ma può diventare feroce se percepisce che una persona pura di cuore è in pericolo: in tal caso può usarli per punire i malvagi.
Secondo alcune leggende inoltre il Qilin è un animale sacro (o familiare) alle divinità, pertanto è anche un simbolo di protezione, prosperità, successo e longevità e nella mitologia divenne la terza creatura più potente dopo il Drago e la Fenice. Questo si riflette anche nella gerarchia delle danze cinesi, dove il Qilin viene per terzo dopo questi due animali.
Con tutto il rispetto per la simpatica giraffa, mi sembra molto più interessante l’associazione del Qilin con il Drago, la leggendaria creatura serpentoide che in Cina simboleggia la forza e la buona sorte e che tradizionalmente era scelta per rappresentare il potere imperiale. Il Drago, come sapete, è preposto al controllo dell'acqua e delle sue manifestazioni naturali (pioggia, uragani, ecc.) ed è una delle tante manifestazioni dello yang nella dualità yin-yang.
Come nacque il mito del Drago non è chiaro, ma molti pensano che derivi da disegni stilizzati di altri animali come serpenti, pesci o coccodrilli. Del coccodrillo, in particolare, si sa che ha la capacità di percepire i cambiamenti nella pressione dell’aria che preannunciano l’arrivo della pioggia: questo potrebbe aver determinato il mito in base al quale il Drago è preposto al controllo degli elementi, soprattutto dell'acqua e delle sue manifestazioni (pioggia, uragani, ecc.).
Secondo alcuni studiosi, il fatto che il Drago racchiuda in sé le caratteristiche di vari animali potrebbe essere dovuto ad una rielaborazione dei simboli propri di Huang Di, il leggendario primo imperatore della Cina. La leggenda narra infatti che Huang Di, che aveva un serpente come stemma, si appropriasse degli emblemi dei nemici uccisi (alcuni dei quali erano mostri) accorpandoli nel proprio, creando quindi, figurativamente, una sorta di ibrido di vari animali.
La figura del Drago esiste anche in occidente, ma al giorno d’oggi è utilizzata prevalentemente come mera decorazione e non tanto per il suo simbolismo benefico di derivazione orientale, ma piuttosto rifacendosi alla connotazione più oscura, aggressiva e negativa che qui gli abbiamo attribuito (si pensi alla storia di San Giorgio e il Drago, o alla lontana parentela con la chimera della mitologia greca).
A proposito di draghi, c’è un racconto curioso che li riguarda che viene citato proprio nel romanzo “Serpenti e piercing”: è una leggenda sul pittore Zhang Seng You, un artista famoso per i suoi dipinti raffiguranti draghi, che visse al tempo delle Dinastie del Nord e del Sud (420-589 a.C.) e che fu molto apprezzato dall'imperatore Liang Wu. Eccola. Un bel giorno a Zhang Seng You fu chiesto di decorare i muri del tempio Andong di Nanchino. Egli disegnò quattro draghi nell’atto di gettarsi in un cumulo di nubi. Tutti apprezzarono la vivacità della scena, con quei draghi così vividi, ma un uomo gli chiese “Perché mai non hai dipinto le pupille nei loro occhi?" al che “Be', voleranno via se gli disegno le pupille" rispose Seng You. Ma nessuno gli diede credito. In molti pensarono ad una presa in giro, o peggio, e chiesero a gran voce che finisse il dipinto.
Su loro insistenza, Seng You dovette riprendere in mano il pennello per finire l’opera. Dopo un momento di esitazione egli punteggiò le pupille dei draghi. Due di essi si staccarono dalla parete immediatamente, prima ancora che Seng You potesse riporre il pennello. Si scatenò un forte vento, con tuoni e fulmini, e la folla fu presa dal panico: alcuni caddero e giacquero sullo stomaco, mentre altri si nascosero dietro a dei pilastri. Si udì un forte rumore e il muro si frantumò nel centro. I draghi si contorsero per un po' e poi volarono via, in alto nel cielo, fra le nuvole. Fortunatamente i due draghi senza pupille rimasero lì, pacificamente, sul muro dove erano stati dipinti.
Quella che ho appena raccontato è una delle numerose versioni della storia che si trovano in rete. Un’altra versione narra del grande artista Chang Seng-yu, che fu chiamato dall’Imperatore Wu-Ti a dipingere due grandi pareti all’interno del tempio “della Pace e della Gioia”. Si presentò con la sua squadra di aiutanti e apprendisti ed eresse subito un’enorme impalcatura sulla parete sud. La sua fama era talmente vasta in tutto il paese che centinaia di persone, curiose, stettero per giorni interi ad ammirare i suoi sapienti colpi di pennello che ben presto materializzarono un grandioso dragone giallo nell’atto di spiccare un salto verso il cielo. Gli occhi però no, quelli non li avrebbe dipinti perché “sua signoria il drago non si sarebbe mai accontentato di dimorare in terra, quando avrebbe potuto innalzarsi fino al regno dei fulmini e delle tempeste”. L’imperatore annuì: “Bene, maestro, allora facciamo in modo che essi rimangano a guardia della Pace e della Gioia del mio popolo”. Ma fu Lu Chao, uno degli apprendisti del Maestro, a dubitare: “Come può una figura fatta di pigmenti di colore indulgere al cielo? Il Maestro deve pensare che siamo tutti stupidi”. Così quella notte, non visto, Lu Chao si armò di lanterna, un pennello e un po’ di colore, quindi si arrampicò sull’impalcatura per aggiungere il dettaglio mancante. Una pennellata, un’altra e un’altra ancora. L’occhio era dipinto. Quando Lu Chao alzò la lanterna per osservare meglio, il terrore lo colse: il volto del drago, prima rappresentato di profilo, ora era rivolto verso di lui e lo stava guardando direttamente negli occhi. La mattina seguente il cadavere di Lu Chao fu rinvenuto sotto le macerie di ciò che era stata la parete sud. Chang Seng-yu commentò: “Non aveva compreso il mistero della pittura, non sarebbe mai diventato un grande artista.”
In altre versioni il pittore è un altro ed è diverso il periodo storico, e a chiedergli di disegnare le pupille è un monaco - quello che rimane costante è il finale.
Da questa leggenda è nato un proverbio che dice all’incirca “Portate alla vita ai draghi dipinti mettendogli le pupille negli occhi” oppure “L'ultimo tocco ad un disegno sia l'atto di aggiungere le pupille ad un drago”, la cui morale è che spesso basta un piccolo particolare chiave per dare significato ad un discorso o ad un’opera, e che spesso l'ultimo tocco è la parte più importante. La metafora del dare la vita a qualcosa di inanimato, con quel tocco finale ma essenziale che le dà completezza e valore, non è poi tanto diversa dalle implicazioni del mito del Golem…
C’è anche un altro insegnamento (constatazione?) che se ne può ricavare: un artista è colui che riesce a catturare l’anima del soggetto che rappresenta. Questa è l’essenza dell’arte sumi-e (shuimohua) che incarna lo spirito zen, un'arte che non vuole rappresentare il buono o il cattivo, il bello o il brutto, ma solo l’essenzialità delle cose, la loro pura e semplice natura. Se mi passate il paragone azzardato, è anche un po’ l‘essenza di quegli attori che per poter recitare efficacemente un ruolo devono prima immedesimarsi nel personaggio rappresentato, cercando di vivere i suoi sentimenti nella vita reale per poi trasporli in celluloide.
Pensandoci, non potrebbe significare anche che un’opera può avere un valore anche se è incompleta, o a volte proprio perché è tale? Chi potrebbe mai dire, ad esempio, che la Sagrada Familia non sia un’opera d’arte, sebbene sia ancora incompiuta? Non è forse questa anche la filosofia di wikipedia, l’eterno work in progress del popolo della rete? Chiunque può modificare le voci dell’enciclopedia e, proprio per questo, nessuna di esse è mai definitiva. Proprio come un drago senza pupille.
Tra le due leggende sui draghi preferisco quella del giovane Lu Chao.
RispondiEliminaMi sembra molto carica di significati.
Ottimo post!
E' vero. L'allievo che si prende gioco del maestro è destinato a fallire
EliminaGran bel post :)
RispondiEliminaHo solo un'infarinatura di mitologia orientale e, dato che mi incuriosisce molto, leggo praticamente ogni approfondimento che trovo :D
Si è vero, la mitologia orientale affascina anche me... ma credo che questo si era capito, visto quanto spesso ricorrono questi temi nel mio blog
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