Mi aggiravo per il paese con aria smarrita. La sera doveva essere calata già da qualche ora. I pochi passanti che incrociavo passavano via veloci, forse erano gli ultimi ritardatari che si affrettavano verso le loro case dopo una dura giornata. Solo pochi negozi avevano ancora le saracinesche sollevate, prevalentemente dei bar. Come potevo essere stato così stupido? Due giorni di viaggio, due interi giorni su quella maledetta corriera ed eccomi qui, completamente solo in un luogo sconosciuto, senza la minima idea di cosa fare, senza nessun posto dove andare. Quel maledetto individuo si era dileguato senza una parola. Dove era andato? A quale fermata era sceso? Che diavolo. Se non voleva avermi tra i piedi, tanto valeva che non si facesse trovare l’altra mattina alla fermata. Perché trascinarmi in un viaggio senza senso fino a qui? Già, qui… ma che posto era questo? Non avevo nemmeno la minima idea di dove mi trovassi. Maledizione.
Ad ogni modo non potevo continuare per molto ad agire passivamente. Tra poche ore anche l’ultimo bar avrebbe chiuso ed io dovevo prima di tutto risolvere il problema della notte incombente. Non avevo preventivato l’ipotesi di dover passare la notte all’addiaccio. In questo paese doveva senz’altro esserci una locanda o qualcosa di simile in cui cercare ospitalità fino alla mattina seguente, e quale miglior posto di un bar per ottenere le informazioni che mi servivano? Mi affacciai su quella che aveva tutta l’aria di essere la piazza principale. C’erano diversi bar lungo il perimetro, alcuni coraggiosi avventori conversavano comodamente seduti sui tavolinetti posti all’esterno, ogni tanto si sentivano delle risa. Questo paese non era poi così morto come in un primo momento mi era sembrato.
Al centro della piazza c’erano alcune bancarelle che offrivano specialità locali: dolciumi, liquori, vasetti di marmellata. Nessuno tuttavia sembrava interessarsene. Mi avvicinai ad una di queste: la sua offerta si limitava a delle bizzarre fette di una torta di colore bianco, tutt’altro che invitante. La bancarella successiva sembrava più interessante: una di quelle tipicamente per turisti, con una vasta esposizione di statuette di terracotta, per lo più busti di quelli che mi sembravano sovrani o guerrieri Maya, o Aztechi. Più in là altri souvenir: una lunga fila di piramidi a gradoni, di tutte le dimensioni, da pochi centimetri fino ad una più grande, alta quasi mezzo metro. Mi avvicinai incuriosito. Alla base di tutte le piramidi era riportata un’unica parola rivelatrice: “PALENQUE”. Bingo! Alla fine ero quindi giunto a destinazione? Il sito archeologico doveva per forza essere nei paraggi, non si sarebbe altrimenti spiegata la prevalenza di souvenir di Palenque, rispetto per esempio alla più nota Chichen Itza, i cui souvenir si trovano un po’ ovunque in tutto il Messico. Il mio sguardo si pose su alcuni libri esposti in uno degli angoli meno visibili. Mi avvicinai e ne presi uno il cui titolo era “Miti e leggende Maya”. Ecco l’occasione per cominciare quello che proprio il giorno prima mi ero ripromesso di fare: approfondire la conoscenza degli antichi abitanti di queste terre.
Con il mio nuovo libro sottobraccio mi incamminai attraverso la piazza verso quello che, tra i tanti bar, sembrava essere il più invitante. Entrai nel locale: due grossi lampadari pendevano dal soffitto, sulle pareti tutt’attorno dei dipinti raffiguranti scene di barche e marinai, completamente fuori posto in un paese come questo. Una ragazza dai lunghi capelli neri stava riempiendo il bicchiere di un tizio seduto dall’altra parte del bancone. Alla mia sinistra quattro uomini giocavano a carte in silenzio. Io mi sedetti ad un tavolino giusto alla mia destra e appoggiai a terra il mio zaino.
- In cosa posso servirla? – La ragazza dai lunghi capelli neri si era avvicinata.
- Vorrei una birra per cortesia… e uno di quei sandwich laggiù.
- Va bene. Nient’altro?
- Un’informazione, se posso…
- Sicuro.
- Conosce per caso un posto dove posso passare la notte qui nei paraggi?
- Niente di più facile. Può passare la notte proprio qui da noi. Abbiamo delle camere a disposizione; non sono un granché in fatto di comfort, ma le lenzuola sono pulite e il prezzo è ragionevole.
- D’accordo, va bene. Allora mi fermo.
La ragazza si allontanò. Dopo qualche minuto ritornò con la mia ordinazione ed un mazzo di chiavi.
- Queste sono le chiavi della stanza. Uscendo dal bar, pochi passi sulla destra e troverà un portone verde. Da lì potrà accedere alla sua stanza a qualunque ora, anche in piena notte quando il bar sarà chiuso. Questa è la chiave del portone e quest’altra la chiave della stanza 103, al primo piano. Si ferma solo una notte?
- Sì, solo stanotte
- Benissimo. Naturalmente le chiediamo il pagamento anticipato.
- Naturalmente – risposi.
Allungai una banconota alla ragazza e lei si allontanò dicendomi che mi avrebbe portato il resto da lì a poco. Che fortuna, pensai. Non avevo proprio voglia di vagabondare per ore alla ricerca di un letto. Avrei terminato il mio pasto e sarei salito subito in camera. Avevo proprio bisogno di una notte di riposo, dopo tanto tempo trascorso su quella maledetta corriera.
- Ecco il suo resto.
- Grazie mille.
Aprii senza convinzione il libro che avevo appena acquistato, lo sfogliai dapprima rapidamente, e quindi mi soffermai su uno dei capitoli iniziali che narrava la leggenda del Chivo Huay: un essere mostruoso, dalla testa di capra e il corpo di un essere umano. Chi lo aveva avvistato ripeteva che fosse dotato di terrificanti occhi rossi e che fosse solito avvicinarsi nottetempo alle abitazioni per aggredire il bestiame e cibarsene.
Chiusi il libro. Ero molto stanco. Mi alzai e mi avvicinai al bancone per dare la buonanotte alla ragazza del bar che, pensando di non essere osservata, si stava sistemando il trucco.
- Buonanotte, signorina. È stata molto gentile.
- Buonanotte a lei - rispose la ragazza.
- Ah, un’ultima cosa…. Ha mica visto passare di qua un tizio con una tonaca, il viso sottile e allungato, baffi ben curati e barba a punta?
- È un suo amico? – mi rispose. Quella risposta aveva aperto in me una speranza.
- Non proprio – risposi prudentemente – è che assomiglia molto ad una persona che conosco….
- Beh… Allora diciamo che lo potrà constatare lei stesso domattina. Ha preso anche lui alloggio qui da noi, se non sbaglio proprio in una delle camere del primo piano…
Non credevo alle mie orecchie. L’avevo trovato, quel dannato traditore, ma questa volta non mi sarei fatto abbindolare così facilmente.
- Sa una cosa?
- Cosa?
- Credo che mi fermerò qui anche domani notte.
Niente male, anche se forse hai dilungato molto nel primo dialogo tra il protagonista e la ragazza:
RispondiElimina"- Ecco il suo resto.
- Grazie mille." Forse se ne può tranquillamente fare a meno ai fini della trama.
Per il resto è sempre eccellente.
Mi ero reso conto fin dall'inizio che l'episodio di oggi sarebbe stato il vero punto debole di tutto l'ambaradan.
EliminaQuando ho iniziato a scrivere questa 4° parte, nelle mie intenzioni avrebbe dovuto essere l'ultima; poi, mentre andavo avanti, senza rendermene conto avevo già buttato giù 4mila battute e mi sono trovato davanti ad un bivio: andare avanti nelle mie intenzioni, scrivendo un unico post da 12mila battute (che sarebbe stato forse troppo difficile da digerire) oppure inserire dei riempitivi qui, per raggiungere una lunghezza significativa, e aggiungere in coda una 5° parte extra.
Come vedi ho optato per la seconda soluzione. E, aggiungo, questo spiega pure la citazione del Chivo Huay, anche lui tutto sommato superfluo ai fini della narrazione. In altre parole ho fatto quello che ho fatto per pure esigenze di blogging. Grazie per il commento.