Seguivo il mio uomo a prudente distanza lungo il sentiero, ben attento a non farmi notare. La salita era ripida e faticosa, ma la mia volontà di procedere era più forte. Quella mattina mi ero alzato di buon’ora e mi ero appostato ad un angolo della piazza con la precisa intenzione di attendere Kukulkàn al varco. Qualunque cosa avesse in mente, qualunque cosa avesse intenzione di fare, io sarei stato la sua ombra. Non gli avrei permesso di dileguarsi nuovamente. Lo avrei seguito con discrezione e, solo al momento giusto, avrei rivelato la mia presenza. Indossavo un giaccone scuro che un precedente inquilino aveva dimenticato nella stanza dove alloggiavo. La fortuna sembrava avesse deciso di restarmi accanto: con quel giaccone addosso avrei meglio potuto nascondermi ai suoi occhi. Non dovetti attendere molto: nemmeno mezz’ora e il portone verde si spalancò e quel viso apparve sulla soglia. Eccolo. Era proprio lui, Kukulkàn o come diavolo si chiamava. Lo vidi esitare qualche secondo, guardarsi in giro e, dopo essersi sollevato il cappuccio sul capo, incamminarsi. Io gli tenni dietro.
Prese la strada che, uscendo dal paese, portava (a quanto dicevano le indicazioni) al sito archeologico. Mi unii ad un gruppo di turisti che aveva la stessa meta: così mescolato ad un gruppo di persone avrei dato meno nell’occhio. Il sentiero prese a salire sempre più ripidamente. La fatica dopo un po’ cominciò a farsi sentire, ma il mio uomo continuava a procedere di buon passo, senza dare alcun segno di incertezza, ed io non potevo essergli da meno. Per fortuna anche buona parte dei turisti ai quali mi ero unito riusciva a tenere un buon passo, per cui potevo continuare a rimanere nel gruppo.
Finalmente, dopo una curva, apparve in tutta la sua magnificenza la leggendaria piramide a gradoni che fu la tomba di Pacal il grande! Rimasi a bocca spalancata per un tempo indefinibile. Tutt’attorno la vegetazione non faceva altro che esaltarne le bellezza. La piramide era un vero capolavoro di ingegneria ed era davvero difficile credere che i Maya fossero stati in grado di idearla e realizzarla, in epoche così remote. Ma la piramide non era tutto. La visione dell’enorme palazzo reale, o di quello che ne restava, mi affascinava. Come avevo potuto vivere per tanti anni senza rendermi effettivamente conto della grandiosità degli antichi abitanti del Messico?
Mi ripresi da quell’attimo di sbalordimento appena in tempo per notare che il mio uomo stava proseguendo, ignorando completamente le rovine dell’antica città di Palenque. Il gruppo di turisti che mi faceva da copertura aveva iniziato a scattare foto: sembrava che non avessero la minima intenzione di proseguire. Non potevo attendere ulteriormente, anche a costo di rivelare la mia presenza, e mi affrettai nella direzione che Kukulkàn aveva preso. Oltrepassò la zona archeologica apparentemente sicuro di quello che stava facendo. Improvvisamente abbandonò il sentiero e si immerse nella vegetazione. Raggiunsi il punto dove lo avevo visto sparire: un muro impenetrabile di verde. Dovevo decidere in fretta: continuare a seguirlo o abbandonare la mia idea? Ancora pochi attimi e lo avrei perso completamente. Decisi di continuare. Che avevo da perdere? Per mia fortuna i segni del suo passaggio erano netti. Il verde era talmente fitto che era praticamente impossibile non lasciare tracce. Procedetti quindi con prudenza: sicuramente non mi poteva vedere, ma senz’altro mi poteva sentire. Continuai per diverse centinaia di metri attraverso un luogo che probabilmente mai prima di allora era stato calpestato da piede umano. Di tanto in tanto mi fermavo ad ascoltare. Nessun rumore giungeva alle mie orecchie. Kukulkàn probabilmente mi stava seminando. Per un attimo temetti di non riuscire più ad uscire da quel labirinto naturale che mi circondava ma, mentre già mi vedevo perduto, improvvisamente il muro di vegetazione terminò, e la mia vista poté spaziare su un panorama grandioso: avevo in qualche modo raggiunto una parete a strapiombo, sotto di me centinaia di metri di roccia. Mi bloccai appena in tempo. Sentii un rumore giungere da pochi metri più in là. Mi affacciai prudentemente: un piccolo e quasi invisibile sentiero portava da dove mi trovavo ad un piccolo cornicione di roccia dove Kukulkàn si era fermato, con lo sguardo fisso verso la parete di roccia, quasi in contemplazione, o forse indeciso sul da farsi. Trascorsero così una decina di minuti poi, improvvisamente, lo vidi muovere qualche passo in avanti, finché non scomparve ai miei occhi.
Con tutto il coraggio che avevo mi mossi e discesi lungo il pericoloso sentiero. Quello che vidi mi lasciò esterrefatto: c’era un varco nella parete, ma non una semplice grotta… era una… porta! Un’apertura perfettamente squadrata, lungo il cui perimetro si potevano osservare bassorilievi appartenenti alla stessa epoca alla quale appartenevano le rovine di Palenque. Non poteva che essere un manufatto Maya, forse l’ingresso di un tempio dimenticato e mai venuto alla luce. Mi guardai attorno: da nessuna posizione, dalla valle o dalle montagne oltre la valle, nemmeno con un buon binocolo, questo luogo poteva essere notato. Il luogo segreto perfetto! All’interno della soglia partiva un lungo e buio corridoio. Massi squadrati tutt’attorno mi fecero pensare che all’interno ci fosse molto di più di quanto potessi immaginare.
Raccolsi tutto il mio coraggio e mi avventurai nelle viscere della montagna, seguendo il percorso che uomini secoli prima di me avevano tracciato. Solo pochi metri dopo il buio era già impenetrabile. Mi fermai per un attimo, indeciso sul da farsi, ma il coraggio mi ritornò quando vidi un leggero chiarore in lontananza. Kukulkàn, che mi aveva preceduto, aveva evidentemente una torcia con sé. Non mi rimaneva che accorciare la distanza che si separava ed utilizzare quel vago chiarore come guida. Così feci. Camminai con passo leggero per non so quanto tempo. Di tanto in tanto avevo l’impressione che il mio uomo si fermasse. Più volte temetti di aver tradito la mia presenza, ed altrettante volte tirai un sospiro di sollievo al vedere che nulla accadeva.
Infine accadde. Mio Dio! L’orrore indicibile di cui miei occhi furono testimoni fu oltre il limite della sopportazione umana. Leggendo le pagine di questo diario qualcuno penserà si tratti solo dell’immaginazione di un folle, ma io so che non è così. Quello che apparve ai miei occhi una volta uscito dalla parte opposta fu un mondo che non avevo mai visto prima. Nonostante l’orologio al mio polso mi confermasse che non era nemmeno mezzogiorno, tutto intorno a me era buio. Un’immensa volta stellata illuminava leggermente il paesaggio brullo. Una pianura rocciosa si stendeva di fronte a me fino all’orizzonte. Il mio sguardo si soffermò sulle stelle: sebbene molte volte nella mia vita mi fossi dedicato all’osservazione del cielo, non riconoscevo nessuna di quelle costellazioni. Com’era possibile? Un chiarore alla mia destra attirò la mia attenzione: da dietro le mie spalle sopravanzava velocemente un enorme globo azzurro, grande almeno dieci volte la nostra luna, un impressionante pianeta circondato da una serie infinita di anelli. Fu allora che mi accorsi di non riuscire a respirare. L’aria, mi mancava l’aria! Guardai in basso e fu allora che notai…. un serpente! Mi guardava con occhi di fuoco; sollevò leggermente la testa, aprì la bocca ed emise un suono, una voce. E quella voce disse: - Vattene, ragazzo!
Non so come riuscii a fuggire. Mi voltai e corsi, corsi, corsi con quanto fiato avevo in gola. E mentre correvo un rumore fragoroso alle mie spalle mi avvertiva che tutto stava crollando.
Mi ritrovai non so come nella mia stanza, qui alla locanda, dove mi trovo ora cercando di finire di scrivere queste poche righe prima che la morte sopraggiunga. Io stesso non sono certo della mia sanità mentale, ma quello che vedo adesso, quando mi guardo allo specchio, è per me la prova tangibile che qualcosa di inspiegabile è avvenuto. Mi chiamo Manuel Mendoza e ho 23 anni, ma il volto che mi restituisce lo specchio è quello di un uomo che dimostra almeno cent’anni. Non ho idea di come ciò sia potuto succedere. Potrei solo azzardare delle ipotesi, sulla base di quelle poche conoscenze scientifiche di cui dispongo: quella soglia poteva essere il passaggio verso un mondo lontano, in termini di spazio o in termini di tempo, non lo so. Quello che so, che sento, è che la mia fine è vicina. Domani qualcuno entrerà in questa stanza e troverà il mio corpo senza vita. Forse quel qualcuno leggerà il mio diario… forse…..
Una folata di vento entrò dalla finestra, attraversò la stanza, e aprì le pagine di un libro appoggiato sul comodino. Un eventuale osservatore ora avrebbe potuto leggere le seguenti parole: “Kukulkàn, strettamente associato con Venere, la stella del mattino, è il nome che i Maya davano al dio Serpente. La mitologia narra che attraverso lo spirito di questo dio gli antenati ricevettero il sapere. Un giorno Kukulkàn lasciò la sua gente per intraprendere un viaggio verso i luoghi dai quali proveniva: prima di andare promise che sarebbe tornato.”
FINITO
Bello!:)
RispondiEliminaComplimenti! Ho fatto gli stessi passi di Manuel Mendoza nella grotta, tanto la descrizione era avvincente; ora però vado a specchiarmi:) Veramente bello.
RispondiEliminaQuello che è davvero bello è che voi mi abbiate seguito dall'inizio alla fine. Grazie. ^^
RispondiEliminaMa quindi Kukulkàn è l'equivalente Maya di Quetzalcoatl?
RispondiEliminaNo, non rispondere. Stasera leggo il making of. Sul piano narrativo, mi è sembrato un po' stringato il paragrafo in cui lui si avventura oltre la porta. Per il resto, il racconto scorre bene e, come dicevo poche puntate fa, riesci bene nel tuo intento mimetico - lo era? Spero di sì!
La risposta a tutte le tue domande nel "making of".
EliminaUn po' stringato dici? Si, forse si. Ma nella mia mente il protagonista avrebbe dovuto fare solo una piccola "toccata e fuga" da quel luogo. Tu l'avresti fatto diversamente?
Non so come l'avrei fatto, sinceramente. Te lo dirò quando avrò finito un certo mio raccontino di cui non anticipo nulla, dove c'è qualcosa di vagamente simile ma bilanciato diversamente.
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