È questo un periodo di grandi cambiamenti: il mondo del lavoro si basa su regole diverse da quelle di appena pochi anni fa, la gente sta perdendo l’ottimismo, ci guardiamo ormai l’un l’altro con sospetto; cerchiamo di risparmiare, non andiamo più in vacanza, passiamo i Capodanni in casa. Stiamo seriamente pensando di cominciare a nascondere i nostri risparmi sotto il materasso visto che le banche, oggi più che mai, cercano di rimanere a galla giocando sporco con la vita dei propri correntisti. Senza parlare del clima, della natura impazzita con i suoi terremoti, i suoi tsunami, i suoi tornadi. Anche i meteoriti hanno fatto la loro parte, ricordandoci quanto siamo piccoli e insignificanti. Anche in questo piccolo miserabile paese avremo presto un nuovo Presidente della Repubblica e un nuovo (si fa per dire) Capo del Governo. In questo scenario poteva forse mancare un cambiamento epocale ai vertici della Chiesa Cattolica? Certo che no. E non sto parlando del solito avvicendarsi di un Papa, come avviene naturalmente quelle 5 o 6 volte in un secolo, no, questa volta il Vaticano si trova ad affrontare una situazione che mai era capitata nella sua storia recente: il dilemma di un Papa. La notizia ha fatto il giro del mondo in pochi istanti. Milioni di persone incredule hanno ascoltato le parole di un Papa stanco, e subito si è messa in moto quella fantastica macchina che fa tanto la gioia di noi blogger, che ci divertiamo a sguazzare in leggende e misteri: la “macchina della profezia”. Senza scomodare Nanni Moretti, che solo un paio di anni fa aveva anticipato tutto e tutti con il suo “Habemus Papam”, vorrei spendere due parole, ma giusto due, per ricordarvi la profezia di Malachia: la Chiesa, si dice, è destinata a finire sotto il regno del secondo Pietro e, fatto da non sottovalutare, l’ultimo Papa dovrebbe essere proprio il successore di quello attuale. Non ve la faccio lunga perché ne hanno parlato in molti ultimamente, tra cui la mia vicina di blog Pensiero Spensierato a cui vi rimando per ulteriori dettagli. Quello di cui si è parlato poco, o non si è parlato affatto, è della “profezia” che fece un certo “Herbie” Brennan sul finire degli anni Settanta: egli ebbe la visione di un futuro papa Benedetto XVI alle prese con un dilemma epocale, e ne scrisse in un racconto distopico pubblicato in Italia da Mondadori nella gloriosa collana “Urania”.
giovedì 28 febbraio 2013
mercoledì 20 febbraio 2013
This is my BOOMstick Award
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Comunicazioni di servizio
Con circa due settimane di ritardo dal suo concepimento, ecco sbarcare anche su "The Obsidian Mirror" l'ambito "BOOMstick Award”, ideato da HellGraeco (aka Hell), autore del famigerato blog noto con il nome di Book and Negative. Questo che vedete qui a fianco è il banner ufficiale, figlio della fantasia dello stesso Hell.
Che dire? Sono commosso. Mi fa enormemente piacere ricevere questo riconoscimento, come tra l’altro mi fanno piacere i riconoscimenti di tutti i tipi, da quelli grandi come questo fino al più semplice +1 lasciato su Google+ da un qualsiasi sconosciuto di passaggio. Il premio mi è stato assegnato nei giorni scorsi (quasi contemporaneamente) da due dei miei lettori storici, vale a dire Marcella (di Kokoro) e Marco (di Argonauta Xeno).
Le motivazioni? Marcella, a proposito di questo blog, ha scritto: “Entri in questo blog e ti getti dentro uno specchio fluido e navighi nei misteri, nelle curiosità, nella storia romanzata o non ufficiale; il tutto con una scrittura che coinvolge.”. Marco ha invece ricordato alcuni tra i miei post più recenti, premiandomi “perché queste storie di lupi mi sono proprio piaciute!”.
L’ennesimo meme, vi chiederete? Volendo ben guardare è proprio così: trattasi di uno di quegli ormai tenutissimi meme, che di tanto in tanto si fanno largo, incontrollati, nella rete. Ci sono però alcuni aspetti positivi che distinguono questo “award” dai propri simili: 1) non viene richiesta risposta ad una serie interminabile di domande, 2) non viene richiesta l’elaborazione di ulteriori quesiti per i successivi malcapitati, 3) l’assegnazione dell’award è un puro e semplice riconoscimento per l’attività del “vicino di casa”, il che di conseguenza fa in modo che 4) non si scatenino lunghi e interminabili “meme di ritorno”, usati sadicamente come ritorsione nei confronti dei cosiddetti “untori”.
Che dire? Sono commosso. Mi fa enormemente piacere ricevere questo riconoscimento, come tra l’altro mi fanno piacere i riconoscimenti di tutti i tipi, da quelli grandi come questo fino al più semplice +1 lasciato su Google+ da un qualsiasi sconosciuto di passaggio. Il premio mi è stato assegnato nei giorni scorsi (quasi contemporaneamente) da due dei miei lettori storici, vale a dire Marcella (di Kokoro) e Marco (di Argonauta Xeno).
Le motivazioni? Marcella, a proposito di questo blog, ha scritto: “Entri in questo blog e ti getti dentro uno specchio fluido e navighi nei misteri, nelle curiosità, nella storia romanzata o non ufficiale; il tutto con una scrittura che coinvolge.”. Marco ha invece ricordato alcuni tra i miei post più recenti, premiandomi “perché queste storie di lupi mi sono proprio piaciute!”.
L’ennesimo meme, vi chiederete? Volendo ben guardare è proprio così: trattasi di uno di quegli ormai tenutissimi meme, che di tanto in tanto si fanno largo, incontrollati, nella rete. Ci sono però alcuni aspetti positivi che distinguono questo “award” dai propri simili: 1) non viene richiesta risposta ad una serie interminabile di domande, 2) non viene richiesta l’elaborazione di ulteriori quesiti per i successivi malcapitati, 3) l’assegnazione dell’award è un puro e semplice riconoscimento per l’attività del “vicino di casa”, il che di conseguenza fa in modo che 4) non si scatenino lunghi e interminabili “meme di ritorno”, usati sadicamente come ritorsione nei confronti dei cosiddetti “untori”.
sabato 16 febbraio 2013
Antiche colpe di amori archiviati
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Tradimento
La sua stessa paura, la sua stessa infamia gli fan venire il voltastomaco, la lettera, leggera, gli pesa tra le mani. La carta della busta è sottilissima, non imbottita. Le righe si intravedono indistinte, qua e là, invano, prova a decifrarle. Leonida si sente invaso da un senso di desolazione, di dolore, di colpa e, tutt’a un tratto, da un’ira violenta contro Vera. Eppure sembrava che ormai avesse capito. Tutto era ormai superato, tutto sistemato nel migliore dei modi. Lui l’aveva apprezzata moltissimo per la sua comprensione, per essersi così bene adattata all’inevitabile. E ora questa lettera! È stato un puro colpo di fortuna che non sia capitata nelle mani di Amelie.
L’argomento del post di oggi è il tradimento: argomento tutt’altro che semplice, è evidente, ma soprattutto un argomento molto delicato da trattare in un blog, visto che si rischia di toccare nel vivo le corde più sensibili di chi anche per caso potrebbe capitare su queste pagine. Ogni riferimento a persone e situazioni reali, lo dico da subito, è completamente casuale. Precisazione dovuta al fatto che, statisticamente, il tradimento è una delle attività più comuni di noi esseri umani ed è altamente probabile che una buona parte di chi mi legge ci sia passato, in un modo o nell’altro. E quando scrivo “in un modo o nell’altro” intendo dire nella parte di uno qualsiasi dei tre attori del dramma: il/la traditore/trice, il/la tradito/a e l’oggetto del tradimento (cioè l’altro/a). L’ispirazione mi giunge dal romanzo “Una scrittura femminile azzurro pallido” (Eine blassblaue Frauenschrift), scritto nel 1941 da Franz Werfel, ma pubblicato per la prima volta soltanto 14 anni dopo e diventato un piccolo caso editoriale in Italia da quando, parecchi anni fa, fu pubblicato da Adelphi.
L’argomento del post di oggi è il tradimento: argomento tutt’altro che semplice, è evidente, ma soprattutto un argomento molto delicato da trattare in un blog, visto che si rischia di toccare nel vivo le corde più sensibili di chi anche per caso potrebbe capitare su queste pagine. Ogni riferimento a persone e situazioni reali, lo dico da subito, è completamente casuale. Precisazione dovuta al fatto che, statisticamente, il tradimento è una delle attività più comuni di noi esseri umani ed è altamente probabile che una buona parte di chi mi legge ci sia passato, in un modo o nell’altro. E quando scrivo “in un modo o nell’altro” intendo dire nella parte di uno qualsiasi dei tre attori del dramma: il/la traditore/trice, il/la tradito/a e l’oggetto del tradimento (cioè l’altro/a). L’ispirazione mi giunge dal romanzo “Una scrittura femminile azzurro pallido” (Eine blassblaue Frauenschrift), scritto nel 1941 da Franz Werfel, ma pubblicato per la prima volta soltanto 14 anni dopo e diventato un piccolo caso editoriale in Italia da quando, parecchi anni fa, fu pubblicato da Adelphi.
lunedì 11 febbraio 2013
Che fece per viltade il gran rifiuto
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Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto.
Dante ha appena superato con Virgilio la porta dell'Inferno e ha raggiunto l'Antinferno, il luogo dove sono le anime degli ignavi, coloro «che visser sanza 'nfamia e sanza lodo», non facendo propriamente il male ma nemmeno operando il bene, così che tanto la misericordia divina li sottrae all'Inferno quanto la giustizia li esclude dal Paradiso. Poiché Dante non indica espressamente il nome di quell'anima, già i primi commentatori della Divina Commedia si posero il problema di dare un'identità al personaggio: in grande maggioranza essi si trovarono d'accordo nell'identificarlo in Pietro Angelerio da Morrone, l'eremita eletto papa il 5 luglio del 1294 e che assunse il nome di Celestino V: salito al soglio pontificio il 29 agosto successivo, egli rinunciò al papato dopo 107 giorni.
Celestino V, sguardo sereno ed altero, entrò nella sala del Concistoro, si avviò verso il trono tenendo stretta una pergamena arrotolata e rivolto ai Cardinali lì riuniti disse: "Molti di voi si stupiranno della mia decisione ormai irrevocabile di rinunciare al pontificato". Detto questo srotolò la pergamena e ne lesse il contenuto ai presenti, senza tradire la minima emozione: "Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe (di questa plebe), al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale."
Detto questo si alzò dal trono, raggiunse il centro della sala e qui, tra lo stupore generale, seduto a terra, cominciò a spogliarsi delle vesti papali. Tolse dal capo la tiara e la depose sul pavimento, si tolse l’anello, si spogliò del piviale rosso, della stola e della cotta. Si alzò in piedi e rivestì il suo vecchio e logoro saio. Austero, sereno e a fronte alta, Celestino attraversò la sala e se ne andò. Ma quello fu solo l’inizio.
Dante ha appena superato con Virgilio la porta dell'Inferno e ha raggiunto l'Antinferno, il luogo dove sono le anime degli ignavi, coloro «che visser sanza 'nfamia e sanza lodo», non facendo propriamente il male ma nemmeno operando il bene, così che tanto la misericordia divina li sottrae all'Inferno quanto la giustizia li esclude dal Paradiso. Poiché Dante non indica espressamente il nome di quell'anima, già i primi commentatori della Divina Commedia si posero il problema di dare un'identità al personaggio: in grande maggioranza essi si trovarono d'accordo nell'identificarlo in Pietro Angelerio da Morrone, l'eremita eletto papa il 5 luglio del 1294 e che assunse il nome di Celestino V: salito al soglio pontificio il 29 agosto successivo, egli rinunciò al papato dopo 107 giorni.
Celestino V, sguardo sereno ed altero, entrò nella sala del Concistoro, si avviò verso il trono tenendo stretta una pergamena arrotolata e rivolto ai Cardinali lì riuniti disse: "Molti di voi si stupiranno della mia decisione ormai irrevocabile di rinunciare al pontificato". Detto questo srotolò la pergamena e ne lesse il contenuto ai presenti, senza tradire la minima emozione: "Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe (di questa plebe), al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale."
Detto questo si alzò dal trono, raggiunse il centro della sala e qui, tra lo stupore generale, seduto a terra, cominciò a spogliarsi delle vesti papali. Tolse dal capo la tiara e la depose sul pavimento, si tolse l’anello, si spogliò del piviale rosso, della stola e della cotta. Si alzò in piedi e rivestì il suo vecchio e logoro saio. Austero, sereno e a fronte alta, Celestino attraversò la sala e se ne andò. Ma quello fu solo l’inizio.
domenica 10 febbraio 2013
Kuchisake-Onna
martedì 5 febbraio 2013
Just... in... time
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In un futuro imprecisato, o forse piuttosto in una realtà alternativa, l’uomo è geneticamente progettato per l’immortalità virtuale: il suo invecchiamento cessa a 25 anni. Ma c’è un rovescio della medaglia: dopo i 25 anni è possibile vivere solo un anno in più, a meno che non si riesca a guadagnare, prendere in prestito o rubare altro tempo. In una realtà distopica in cui il tempo ha sostituito il denaro come valuta corrente, c’è un mondo che corre a due velocità, separato anche fisicamente da caselli per il pedaggio che solo i ricchi possono permettersi di valicare: nel ghetto, la gente ha pochi giorni, spesso poche ore a disposizione, ed è costretta a correre per sopravvivere, convivendo con la costante paura di venire “azzerati”; mentre nei quartieri alti i ricchi possono permettersi l’unico vero lusso possibile, la lentezza. Il mantenimento dell’ordine costituito viene garantito dai Custodi del Tempo, mentre un meccanismo di continuo aumento del costo della vita permette di preservare lo status quo, con le masse che continuano a morire perché l’élite della società possa vivere per sempre. Un uomo e una donna, novelli Robin Hood, si ribellano al capitalismo darwinista imperante, rubando il tempo ai ricchi per donarlo ai poveri. Un milione di anni rubati basterà per sovvertire l’ordine delle cose? Il finale, consolatorio alla maniera americana, fa intravedere la speranza: il seme è stato gettato e c’è la possibilità che attecchisca. Perché sono le rotture che predominano nell’evoluzione.
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