Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto.
Dante ha appena superato con Virgilio la porta dell'Inferno e ha raggiunto l'Antinferno, il luogo dove sono le anime degli ignavi, coloro «che visser sanza 'nfamia e sanza lodo», non facendo propriamente il male ma nemmeno operando il bene, così che tanto la misericordia divina li sottrae all'Inferno quanto la giustizia li esclude dal Paradiso. Poiché Dante non indica espressamente il nome di quell'anima, già i primi commentatori della Divina Commedia si posero il problema di dare un'identità al personaggio: in grande maggioranza essi si trovarono d'accordo nell'identificarlo in Pietro Angelerio da Morrone, l'eremita eletto papa il 5 luglio del 1294 e che assunse il nome di Celestino V: salito al soglio pontificio il 29 agosto successivo, egli rinunciò al papato dopo 107 giorni.
Celestino V, sguardo sereno ed altero, entrò nella sala del Concistoro, si avviò verso il trono tenendo stretta una pergamena arrotolata e rivolto ai Cardinali lì riuniti disse: "Molti di voi si stupiranno della mia decisione ormai irrevocabile di rinunciare al pontificato". Detto questo srotolò la pergamena e ne lesse il contenuto ai presenti, senza tradire la minima emozione: "Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe (di questa plebe), al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale."
Detto questo si alzò dal trono, raggiunse il centro della sala e qui, tra lo stupore generale, seduto a terra, cominciò a spogliarsi delle vesti papali. Tolse dal capo la tiara e la depose sul pavimento, si tolse l’anello, si spogliò del piviale rosso, della stola e della cotta. Si alzò in piedi e rivestì il suo vecchio e logoro saio. Austero, sereno e a fronte alta, Celestino attraversò la sala e se ne andò. Ma quello fu solo l’inizio.
Al suo posto venne eletto Benedetto Caetani, il famigerato Bonifacio VIII, il quale si preoccupò subito di evitare che la sua Chiesa si trovasse ad affrontare la minaccia di uno scisma a causa dell’inconsueta esistenza in vita di un ex papa.
Poteva forse il Vaticano permettere una simile circostanza? Poteva rimanere con le mani in mano il Vaticano, quello stesso Vaticano che in precedenza aveva già dimostrato grande “attenzione” per i suoi casi più clamorosi? C’è ancora bisogno di ricordare l’incredibile vicenda della Papessa Giovanna? C’è ancora bisogno di ricordare l’infame processo inscenato nel IX secolo al cadavere di Papa Formoso?
Celestino era un uomo semplice, non poteva sopportare un mondo fatto di intrighi politici. Il suo unico desiderio era quello di poter tornare alla solitudine del suo eremo, dove poter pregare indisturbato ed avvicinarsi in questo modo alla sua idea di fede.
Ma non glielo permisero. Bonifacio temeva per le sorti della chiesa, e per la legittimità della sua elezione che taluni già avevano messo in discussione. Celestino V fu catturato e rinchiuso nella torre nel castello di Fumone, ma egli se ne rallegrò: “Ho desiderato una cella e una cella ho avuto, così come è piaciuto alla tua pietà Signore mio Dio”. Gli venne tolta la libertà di parlare con chiunque, ma anche di questo egli si rallegrò, essendo fortissimo il suo desiderio di vivere in totale solitudine. Trascorreva le sue notti su una tavola di legno e un tappeto, ma anche di questo egli si rallegrò, perché ciò lo avrebbe avvicinato a Dio. La sera del 19 maggio 1296 Celestinò V esalò l’ultimo respiro e soltanto 17 anni dopo le campane di Avignone annunciarono, per tramite di Papa Clemente V, la Santità di colui “che fece il gran rifiuto”.
Ma solo dopo oltre due secoli dalla sua morte cominciò a circolare il sospetto che la morte di Celestino non fosse del tutto naturale: nella chiesa di Santa Maria a Maiella, in un singolare affresco (ora scomparso) era raffigurato Celestino pregante, e dietro di lui un uomo che gli poggiava sulla testa un grosso chiodo, sollevando contemporaneamente un martello. Nel 1610, nella basilica di S. Maria di Collemaggio (AQ), durante una ricognizione delle spoglie di Celestino, fu riscontrato un bizzarro foro nella sua calotta cranica. Un abate aveva pochi anni prima rinvenuto, murata nella chiesa di S. Spirito a Maiella, una cassetta contenente un “chiodo lungo mezzo palmo e più, ligato con certi pezzi di sangue”. Un chiodo che si adattava perfettamente al foro nel cranio del Santo. Un chiodo che si diceva fosse l’arma usata da un emissario di Bonifacio VIII per ammazzare Celestino.
Lo scandalo era alle porte. Le alte sfere vaticane si ritrovarono improvvisamente con una bella gatta da pelare. Come mettere a tacere le voci che andavano facendosi più insistenti? La “fortuna” venne incontro alla Santa Sede, facendo in modo che l’arma del delitto scomparisse misteriosamente.
Nel 1888 le spoglie di Celestino V vennero nuovamente riesumate e sottoposte ad autopsia. Questo il referto: “Nel punto più sporgente della bozza frontale sinistra, a livello della metà del margine sopraorbitale, distante da esso circa quattro centimetri, esiste un forame rettangolare, a margini retti, senza nessuna lesione ossea circostante. Il lato orizzontale del rettangolo misura circa 5 millimetri; l’altro, verticale, circa 9 millimetri. Il foro penetrante in cavità, lascia nettamente distinguere i tre strati cranici, tavolato esterno, diploe, tavolato interno. La superficie di frattura è alquanto più chiara della superficie esterna del cranio”. I periti stabilirono altresì che: 1) L’origine della suddetta lesione non possa essere accidentale, ma sia da dipendere dalla mano dell’uomo col sussidio di un adatto strumento; 2) Nell’ipotesi che tale strumento sia un chiodo di forma comune, il tratto di esso penetrato in cavità, abbia a valutarsi di circa cinque centimetri.
Nel 1998 la salma venne trafugata da ignoti e ritrovata in un cimitero vicino a Rieti; l’istituto di anatomia dell’Aquila – dopo aver confermato l’esistenza del buco nel teschio – sottopose i resti a varie analisi, TAC compresa. Nella conferenza stampa che ne seguì gli esperti dichiararono tuttavia di non aver trovato nessun elemento di rilievo. In seguito i risultati della TAC andarono accidentalmente perduti.
E oggi? Oggi un altro Papa decide di compiere lo stesso difficile passo. Molti dicono che un Papa dimissionario sia un avvenimento mai accaduto prima. Invece è accaduto. Oh si che è accaduto. Sono passati otto secoli. Il suo predecessore fu condannato dal Sommo Poeta alla dannazione eterna. Cosa rimarrà di questo Papa nella memoria dei nostri discendenti? Ai posteri l'ardua sentenza.
Dante ha appena superato con Virgilio la porta dell'Inferno e ha raggiunto l'Antinferno, il luogo dove sono le anime degli ignavi, coloro «che visser sanza 'nfamia e sanza lodo», non facendo propriamente il male ma nemmeno operando il bene, così che tanto la misericordia divina li sottrae all'Inferno quanto la giustizia li esclude dal Paradiso. Poiché Dante non indica espressamente il nome di quell'anima, già i primi commentatori della Divina Commedia si posero il problema di dare un'identità al personaggio: in grande maggioranza essi si trovarono d'accordo nell'identificarlo in Pietro Angelerio da Morrone, l'eremita eletto papa il 5 luglio del 1294 e che assunse il nome di Celestino V: salito al soglio pontificio il 29 agosto successivo, egli rinunciò al papato dopo 107 giorni.
Celestino V, sguardo sereno ed altero, entrò nella sala del Concistoro, si avviò verso il trono tenendo stretta una pergamena arrotolata e rivolto ai Cardinali lì riuniti disse: "Molti di voi si stupiranno della mia decisione ormai irrevocabile di rinunciare al pontificato". Detto questo srotolò la pergamena e ne lesse il contenuto ai presenti, senza tradire la minima emozione: "Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe (di questa plebe), al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale."
Detto questo si alzò dal trono, raggiunse il centro della sala e qui, tra lo stupore generale, seduto a terra, cominciò a spogliarsi delle vesti papali. Tolse dal capo la tiara e la depose sul pavimento, si tolse l’anello, si spogliò del piviale rosso, della stola e della cotta. Si alzò in piedi e rivestì il suo vecchio e logoro saio. Austero, sereno e a fronte alta, Celestino attraversò la sala e se ne andò. Ma quello fu solo l’inizio.
Al suo posto venne eletto Benedetto Caetani, il famigerato Bonifacio VIII, il quale si preoccupò subito di evitare che la sua Chiesa si trovasse ad affrontare la minaccia di uno scisma a causa dell’inconsueta esistenza in vita di un ex papa.
Poteva forse il Vaticano permettere una simile circostanza? Poteva rimanere con le mani in mano il Vaticano, quello stesso Vaticano che in precedenza aveva già dimostrato grande “attenzione” per i suoi casi più clamorosi? C’è ancora bisogno di ricordare l’incredibile vicenda della Papessa Giovanna? C’è ancora bisogno di ricordare l’infame processo inscenato nel IX secolo al cadavere di Papa Formoso?
Celestino era un uomo semplice, non poteva sopportare un mondo fatto di intrighi politici. Il suo unico desiderio era quello di poter tornare alla solitudine del suo eremo, dove poter pregare indisturbato ed avvicinarsi in questo modo alla sua idea di fede.
Ma non glielo permisero. Bonifacio temeva per le sorti della chiesa, e per la legittimità della sua elezione che taluni già avevano messo in discussione. Celestino V fu catturato e rinchiuso nella torre nel castello di Fumone, ma egli se ne rallegrò: “Ho desiderato una cella e una cella ho avuto, così come è piaciuto alla tua pietà Signore mio Dio”. Gli venne tolta la libertà di parlare con chiunque, ma anche di questo egli si rallegrò, essendo fortissimo il suo desiderio di vivere in totale solitudine. Trascorreva le sue notti su una tavola di legno e un tappeto, ma anche di questo egli si rallegrò, perché ciò lo avrebbe avvicinato a Dio. La sera del 19 maggio 1296 Celestinò V esalò l’ultimo respiro e soltanto 17 anni dopo le campane di Avignone annunciarono, per tramite di Papa Clemente V, la Santità di colui “che fece il gran rifiuto”.
Ma solo dopo oltre due secoli dalla sua morte cominciò a circolare il sospetto che la morte di Celestino non fosse del tutto naturale: nella chiesa di Santa Maria a Maiella, in un singolare affresco (ora scomparso) era raffigurato Celestino pregante, e dietro di lui un uomo che gli poggiava sulla testa un grosso chiodo, sollevando contemporaneamente un martello. Nel 1610, nella basilica di S. Maria di Collemaggio (AQ), durante una ricognizione delle spoglie di Celestino, fu riscontrato un bizzarro foro nella sua calotta cranica. Un abate aveva pochi anni prima rinvenuto, murata nella chiesa di S. Spirito a Maiella, una cassetta contenente un “chiodo lungo mezzo palmo e più, ligato con certi pezzi di sangue”. Un chiodo che si adattava perfettamente al foro nel cranio del Santo. Un chiodo che si diceva fosse l’arma usata da un emissario di Bonifacio VIII per ammazzare Celestino.
Lo scandalo era alle porte. Le alte sfere vaticane si ritrovarono improvvisamente con una bella gatta da pelare. Come mettere a tacere le voci che andavano facendosi più insistenti? La “fortuna” venne incontro alla Santa Sede, facendo in modo che l’arma del delitto scomparisse misteriosamente.
Nel 1888 le spoglie di Celestino V vennero nuovamente riesumate e sottoposte ad autopsia. Questo il referto: “Nel punto più sporgente della bozza frontale sinistra, a livello della metà del margine sopraorbitale, distante da esso circa quattro centimetri, esiste un forame rettangolare, a margini retti, senza nessuna lesione ossea circostante. Il lato orizzontale del rettangolo misura circa 5 millimetri; l’altro, verticale, circa 9 millimetri. Il foro penetrante in cavità, lascia nettamente distinguere i tre strati cranici, tavolato esterno, diploe, tavolato interno. La superficie di frattura è alquanto più chiara della superficie esterna del cranio”. I periti stabilirono altresì che: 1) L’origine della suddetta lesione non possa essere accidentale, ma sia da dipendere dalla mano dell’uomo col sussidio di un adatto strumento; 2) Nell’ipotesi che tale strumento sia un chiodo di forma comune, il tratto di esso penetrato in cavità, abbia a valutarsi di circa cinque centimetri.
Nel 1998 la salma venne trafugata da ignoti e ritrovata in un cimitero vicino a Rieti; l’istituto di anatomia dell’Aquila – dopo aver confermato l’esistenza del buco nel teschio – sottopose i resti a varie analisi, TAC compresa. Nella conferenza stampa che ne seguì gli esperti dichiararono tuttavia di non aver trovato nessun elemento di rilievo. In seguito i risultati della TAC andarono accidentalmente perduti.
E oggi? Oggi un altro Papa decide di compiere lo stesso difficile passo. Molti dicono che un Papa dimissionario sia un avvenimento mai accaduto prima. Invece è accaduto. Oh si che è accaduto. Sono passati otto secoli. Il suo predecessore fu condannato dal Sommo Poeta alla dannazione eterna. Cosa rimarrà di questo Papa nella memoria dei nostri discendenti? Ai posteri l'ardua sentenza.
Certo che è successo nei primissimi secoli della chiesa ci sono stati anche altri casi, così come ci sono stati casi di Papi deposti e anche un caso di 2 o più Pontefici che convissero più o meno facendosi la guerra tra loro in varie fasi del medioevo.
RispondiEliminaNel caso di Benedetto XVI, massimo rispetto per la sua decisione, credo che finirà dentro qualche monastero di clausura e per il resto della sua vita ad estranei, familiari, giornalisti e curiosi verrà impedito di entrare in contatto con lui.
Mi sembra che l'ultimo papa dimissionario fosse durante la cattività avignonese, ma in quel momento c'erano ben tre papi (un altro papa ad Avignone e un antipapa, due dei quali non si sono dimessi e hanno fatto una brutta fine). Si è però attesa la morte del dimesso prima di nominare un nuovo papa. Altri tempi. Che dire, dal punto di vista umano massimo rispetto. È una decisione forte e proprio non riesco a dire "me ne infischio". Probabilmente, si dice, trascorrerà la restante parte della sua vita proseguendo gli studi in un monastero.
RispondiEliminaDecisamente c'è voluto un gran coraggio. E' un gesto di cui il mondo si ricorderà per chissà quanti secoli a venire. Massimo rispetto.
Eliminadi casi effettivamente ce ne son stati tanti, ma questo di benedetto XVI è una rinuncia per "sopraggiunta incapacità", un gesto di grandissima responsabilità, ed effettivamente la sua è una scelta senza precedenti, che apre molti dibattiti anche sul seguito...La Chiesa avrà molto su cui interrogarsi adesso! Grazie per questo post!
RispondiEliminaGrazie! ;)
Elimina